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[RP] Flores Florentiae - Les Fleurs de Florence

 
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Jul.



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MessagePosté le: Mar Avr 29, 2014 7:48 pm    Sujet du message: [RP] Flores Florentiae - Les Fleurs de Florence Répondre en citant

Mattina del 29 Aprile, Piombino

Il messaggio era arrivato veloce, rapido e inesorabile. Giuliano si era risoluto a servire la Patria sulla spinta degli augusti genitori che prevedevano per lui uno splendente futuro da figlio di una della casate più potenti della Tuscia, destinato sì a far parte delle schiere angeliche della Santa Chiesa ma anche conoscitore profondo delle cose umane. Quale incarico avrebbe quindi meglio potuto coniugare la celeste fede alla terrena politica se non quello di ambasciatore presso la Santa Sede? Glielo avevano proposto e lui, senza battere ciglio, aveva obbedito come era uso fare davanti ai due parenti. Aveva ormai dieci anni e, pensava, era tempo che entrasse in quel mondo che aveva sempre ritenuto "dei grandi". La cosa lo intimoriva un poco ma allo stesso tempo lo entusiasmava. Nessun problema quindi.

Il problema però giunse quando ritornò la risposta positiva del Gran Ciambellano e della Signoria unita a un altro messaggio scritto di pugno da Padre Valmarana: lui e sua madre, Signora di Firenze, dovevano recarsi appena possibile presso la Città Eterna. Il viaggio in sé non preoccupava il giovane de' Medici anzi il suo precettore gli aveva fatto crescere nell'animo un grande interesse per il mondo classico. Non era ancora un vero e proprio amore ma più che altro una sacrale reverenza verso qualcosa che si sa più grande e magnifico di noi stessi. Roma era la grandezza e il vanto d'Italia, caput mundi sia per gloria che per fede e la cosa non poteva che provocare un grandioso e maestoso senso di rispetto nell'animo di Giuliano. Il problema era un altro: da pochi giorni suo fratello Ludovico era tornato in città per fargli da padrino per il suo battesimo. De facto una sorpresa: pareva che incarichi ed impegni, infatti, lo tenessero a Pisa ancora per molto e invece aveva lasciato la città solo e soltanto per lui, l'ultimogenito dei Visconti della Val di Lima. Dio solo sapeva come il bimbo avesse sofferto per quella mancanza, dato che, grazie agli insegnamenti del padre, riusciva a nascondere abbastanza bene tutte le sue emozioni, cedendo solo con pochi intimi quali la madre, la sorella, la balia Clarice o anche l'anziana Nunzia.

Giuliano aveva un grande attaccamento per Ludovico. Ai suoi piccoli occhi egli appariva come la più perfetta creatura del mondo, l'incarnazione vivente di come doveva essere un vero figlio di nobili, quello che in fondo avrebbe dovuto essere anche lui ma che, nonostante ogni sforzo, non riusciva a imitare nella sua perfezione. La venerazione verso di lui era scontata, lo venerava come venerava il padre ma con Ludovico c'era qualcosa di più: provava anche dell'affetto per lui, un profondo affetto. Era come se un dio rivolgesse a lui, piccola briciola dispersa nel grande mondo, delle attenzioni. Come avrebbe quindi potuto lasciare la città? Con il rischio, tra l'altro, di non rivederlo più? Come avrebbe fatto senza perdere l'affetto di Ludovico? Gli pareva, insomma, di commettere il peggiore dei crimini, la più orribile delle empietà.

"Partiremo questa sera" gli aveva detto la madre visionando alcuni fogli che parevano importantissimi. "Oh" aveva fatto Giuliano non aspettandosi di dover lasciar Piombino così in fretta "Certo, maman..." aveva quindi risposto obbediente come suo solito. Il terrore gli colpì il cuore e l'animo: aveva paura di ferire Ludovico e allo stesso tempo di doverlo di nuovo perdere. Uscì dalla stanza: aveva avuto un'idea e ora sperava solamente, pregando santi e arcangeli, che fosse realizzabile.

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MessagePosté le: Jeu Mai 01, 2014 1:56 am    Sujet du message: Répondre en citant

Sera del 29 Aprile, Confini della Repubblica di Firenze

Giuliano era felice, sorridente mirava il mare che ormai si faceva scuro come il cielo. Ma lui era felice e tranquillo. Si voltò un attimo spostando la faccia dal finestrino della carrozza verso l'interno: Ludovico stava vagliando con attenzione un libretto dalla copertina nera, pareva essere molto interessato al suo contenuto forse (si diceva tra sé e sé il bimbo) conteneva qualche poesia o magari qualche nozione sulla caccia con il falco. La madre, nel frattempo, stava seduta sull'altro sedile davanti a loro scrutando alcune giallastre pagine di pergamena: il lavoro di Signora non finiva mai (il piccolo de' Medici lo aveva ormai ben compreso) nemmeno quando si era in viaggio. Tornò a guardare il panorama, era veramente felice che il fratello avesse accetto di venire con loro, in quel modo avrebbero potuto trascorrere del tempo insieme e questo per Giuliano era la cosa più bella di tutto il viaggio.

Prima di partire, uno dei discorsi più importanti era stato il seguito della Signora di Firenze e del legato fiorentino a Roma: una questione molto seria, in fondo era il modo di presentarsi di uno Stato a un altro e quindi una maggiore o minore grandiosità del seguito mostravano la potenza del Paese a cui si apparteneva, inoltre più il personaggio era importante più il suo seguito doveva essere grande e maestoso. Per fortuna il tempo fu sufficiente per rinvenire e sistemare casacche, stendardi, gualdrappe, divise, spade e stemmi, il vero problema fu trovare persone e cavalli che le indossassero. La praticità della Principessa era però intervenuta a decretare che sarebbero bastati 10 cavalieri e che 6 servi (tra questi anche il suo fido Cosimo) sarebbero stati più che sufficienti. Nessuno, vista anche la situazione, fiatò sulla decisione. Furono quindi tutti vestiti (sia le persone che i quadrupedi) di candido bianco e sgargiante rosso, su ogni testa un berretto purpureo, alla vita dei cavalieri spade ed else lucide oltre che argentee armature, d'ovunque fosse possibile il giglio fiorentino: essendo pochi avrebbero dovuto tramite l'eleganza e la preziosità delle vesti e degli ornamenti fare per 100. Il corteo, così conciato, pareva quasi (a voler essere sciocchi quanto un villico) un piccolo campo di fiori in movimento e in effetti era proprio questa l'impressione che davanti alla gente comune davano. "I fiori di Firenze! I fiori di Firenze!" urlavano i pezzenti dei vari paeselli e fattorie stupiti (e forse anche un po' atterriti) da quello che vedevano. Per loro era quasi un gioco, un distrazione dal duro e noioso lavoro quotidiano e quindi quando si presentava qualche "novità" di passaggio non pensavano altro che a divertirsi, di certo non comprendevano che quella era una legazione diplomatica in marcia verso la Città Eterna e quindi tutta la serietà e gravità conseguenti.

Dopo aver lasciato Piombino aveva raggiunto Follonica senza fermarsi, la cosa fu una piccola novità almeno per Giuliano: di solito ogni volta che la famiglia passava per la Baronia di Valle si era sempre soliti fermarsi almeno qualche ora ma questa volta fu diverso. Infatti ora stava entrando nel mondo dei "grandi" e quell'incarico, quel viaggio verso l'Urbe doveva essere una specie di iniziazione, un suggello del suo nuovo stato, di quel passaggio che Giuliano, nonostante tutto, non comprendeva del tutto. La sua mente era più occupata dalla curiosità di quello che avrebbe visto. Cosa gli avrebbe riservato Roma? Non si aspettava altro che magnificenza, gloria, bellezza. La cosa lo emozionava assai. Allo stesso tempo però era anche intimorito: avrebbe dovuto mostrarsi un degno rappresentante della Repubblica (oltre che a membro della nobile schiatta Medicea) davanti a un sacco di persone che lui non aveva mai visto prima. Per fortuna, prima di partire, aveva fatto delle prove per memorizzare le varie formule e i gesti con il suo precettore e ogni volta che la paura di fare brutta lo azzannava se le ripeteva nella mente come fossero preghiere. Cercava anche di ricordare tutte le varie di lezioni di grammatica latina che aveva fatto fin da quando aveva avuto 6 anni, di certo davanti a tutte quelle Eminenze ed Eccellenze gli sarebbe servito (o almeno così pensava).

Distolse ancora la sguardo dal finestrino poggiando la testa su un braccio del fratello. Cercava forse un poco di sicurezza e di tregua da quelle ansie in Ludovico anche solo tramite quel leggero toccarsi. Nel frattempo gli occhi gli si fecero sempre più pesanti, il sole ormai era quasi svanito al di sotto dell'orizzonte del mare e la campagna senese stava sparendo inghiottita dalla tenebre. Chiuse gli occhi per un momento, rivede Roma (o quella si immaginava essere Roma), pensò ai cardinali e ai vescovi, pensò alle responsabilità, pensò a Firenze e alla Repubblica, pensò quindi alla madre e al fratello che lo accompagnavo in quel tragitto di terra e di vita, e non riaprì più le palpebre.

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MessagePosté le: Jeu Mai 01, 2014 8:04 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Pomeriggio del 1 Maggio, Pressi di Roma

Avevano sostato per la notte in una borgata non molto distante da Grosseto ma che stava dirimpetto al Mare Nostro. Giunta l'alba, il corteo riprese quindi il corso dell'antica via Aurelia, costeggiando perpetuamente la grande superficie blu del Mediterraneo. Giuliano poté vedere in lontananza, a un certo punto, l'Isola del Giglio e poco dopo la città di Orbetello, sorpassata la quale incontrarono i confini dello Stato Pontificio.

Transitarono per il centro di Montalto, nel mentre che la gente, con la sua consuetudinaria semplicità, si accostava gettando qualche fiore o rametto: che fossero una legazione o un circo ambulante per loro poco importava, la cosa veramente fondamentale era che rompessero la ripetitiva vita di tutti giorni di quegli uomini fatta di campi, botteghe e famiglia oltre che di messe domenicali e bicchieri di vini alla solita taverna. In fondo dava piacere, sopratutto ai cavalieri che potevano avere in ciò una piccola consolazione dal caldo che provavano nelle loro armature. Il sole infatti svettava in alto e più che una primavera pareva quasi un estate anticipata, ma nemmeno gli astri potevano rompere le formalità e le giuste etichette. La gioia e le urla di allegria dei popolani, quasi fossero un esercito trionfatore ritornato in Patria, era l'unica cosa che li rendeva in qualche modo felici di stare dentro a quei scafandri di metallo.

Fu poi la volta dell'antica Tarquinia che non accolse i viaggiatori in modo diverso. Giunta la sera, si decise per un sosta a Civitavecchia ove fu trovata una locanda abbastanza spaziosa per sistemare ogni persona e sopratutto la Signora di Firenze e i suoi due figlioli. Ripresero quindi il loro cammino al sopraggiungere del mattino, sorpassarono Cerveteri ma si fermarono in vista di Roma in una borgata abbastanza lontana: dovevano essere tutti pronti e riposati prima di entrare nell'Urbe, era importante che la prima impressione fosse quella di un vero e proprio trionfo. Vennero quindi fatte pulire le casacche e le divise che durante il tragitto si erano sporcate di fango o di altro, furono strigliati i cavalli, lucidate ancora le armature, i foderi e le spade, a ogni servitore (posti in gruppi da 3 al lato destro e sinistro della carrozza) fu consegnato un stendardo che recasse il giglio di Firenze e un altro su cui era impressa l'aquila guelfa che ghermisce un drago. Anticamente infatti quello era stato lo stemma di Papa Clemente IV che l'aveva donato ai guelfi toscani in segno della Sua protezione alla causa di cui essi si facevano portatori in terra d'Etruria. La Principessa aveva ritenuto saggio esporre anch'essi a simbolo dell'immutata e immutabile fedeltà della Repubblica alla Santa Chiesa Romana e alla fede aristotelica. I cavalieri furono posti davanti alla carrozza in numero di 4 mentre gli altri 6 l'avrebbero seguita.

Quando partirono era pomeriggio inoltrato, avrebbero percorso la via Aurelia fino alle mure e, passando tramite Porta San Pancrazio, avrebbero al fine fatto il loro ingresso nella Città Eterna.

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MessagePosté le: Lun Mai 05, 2014 11:02 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Missive erano state inviate, e il segretario di Sua Eminenza il Cancelliere della Nunziatura, Demetrios il greco, era in attesa poco distante da Porta San Pancrazio.

L'attesa si era prolungata, ma era stata gradevole, comodamente seduto in una locanda con una bevanda fresca e un piccolo libro di dialoghi filosofici scritto in greco.
Finalmente Demetrios fu avvertito dell'arrivo di coloro che attendeva. La scorta era stata fermata e la carrozza con le insegne di Firenze e della fede aristotelica aspettava poco distante dalla locanda.

Demetrios, seguito da due servitori che avrebbe lasciato a far da guide, si presentò con impeccabile cerimoniale, recando i saluti del Cardinale Deversi-Aslan Borgia e riferendo le informazioni per i viaggiatori. Essi avrebbero potuto ristorarsi, riposare e prepararsi in un palazzo loro riservato, quindi sarebbero stati scortati a Palazzo San Benedetto.

Svolto l'incarico con intima soddisfazione, Demetrios lasciò i due servitori presso la delegazione e, congedatosi, precedette gli ospiti alla Nunziatura, per riferire a Sua Eminenza.

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MessagePosté le: Mar Mai 06, 2014 12:09 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Pomeriggio del 1 Maggio, Roma

I due servi del segretario della Deversi-Aslan Borgia li condussero quindi all'interno dell'Urbe.

Giuliano, che per via del cerimoniale aveva mantenuto gli occhi fissi sull'uomo venuto ad accoglierli, buttò finalmente lo sguardo fuori dalla carrozza per fare mente locale, emozionato di vedere cosa avrebbe potuto trovare nella città che è vanto e gloria d'Italia: rimase deluso. Quello che vide, intermezzato dai carri, muli ed altre carrozze che passavano anch'essi per quella via, fu un ammasso di rovine intrecciate a rovi secchi e a piante rampicante che si insediavano in ogni crepa che l'inclemenza del tempo avesse formato. Alcuni ruderi erano stati adattati come abitazioni da alcuni popolani intenti ora a badare spensieratamente a galline od alcune capre che pascolano liberamente tra colonne rotte e costruzioni in rovina come se fossero oggetti che nulla significassero. Allungò il viso per osservare la strada che stavano percorrendo: terra battuta, bruna e dura, schiacciata dal passaggio di carri e persone, unica vera cosa che non permetteva ivi la crescita dell'erba. Il de' Medici se ne ritornò al suo posto. Non poteva credere che quella fosse l'Urbe. Dov'era la gloria, la grandiosità, lo splendere del senato e del popolo romano? La santità che trasudava dall'imponenza delle sue chiese, dalla maestà delle sue reliquie?

Si disse tra sé e sé che magari quello era solo un sobborgo e che la "vera" città sarebbe magari iniziata dopo. Attese, ma non ci volle molto per capire che non era affatto così. Giunsero infatti a Ponte Cestio che la situazione, sebbene leggermente migliorata, non era quasi per nulla diversa: antichi palazzi e rovine del tempo che fu mezze distrutte e mezze raffazzonate come piccole dimore da bottegai ed altri villici, edifici costruiti con pezzi di quelle stesse rovine, povere stamberghe di legna o laterizio che per resistere erano state costruite accanto a strutture antiche ma ben più solide, ogni tanto qualche spiazzo, di pietra o terra battuta, impiegato impunemente come mercato.

Arrivarono quindi sull'isola tiberina: le case per lo meno da quel punto in poi parevano solide e fatte per sostenersi da sole. Ma, sorpassato Ponte San Bartolomeo, pervenne a loro un'improvviso e fastidioso odore: un mercato del pesce era stato posto tra quello che rimaneva degli archi e le colonne del Portico di Ottavia. Poco distante, il Teatro di Marcello: sembrava che qualcuno lo avesse preso a picconate, senza pensare alle torri e fabbricati che, nel susseguirsi dei tempi, gli erano stati addossati e che parevano dei grossi ed obbrobriosi bubboni di peste. Proseguirono ed incontrarono qualche dimora delle nobili famiglia romane ed alcune chiese, grandi, alte, moltissime ancora di un gusto risalente all'età precedente, ma lo squilibrio tra questi edifici e il resto della città, fatta di ruderi e case popolari, era tale che non riuscivano a migliorare il panorama anzi davano l'orribile sensazione di peggiorarlo. Giunsero quindi in quello che, volgarmente, veniva chiamato Rione Sant'Eustachio e fu lì che i due servi si fermarono indicando loro il palazzo riservato all'ambasciata fiorentina.

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