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[IT]San Gennaro

 
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Jolieen



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MessagePosté le: Lun Juil 08, 2019 8:39 pm    Sujet du message: [IT]San Gennaro Répondre en citant

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Agiografia di San Gennaro

I - La nascita

Gennaro nacque nell'anno di Grazia 27 a Torre del Greco, un piccolo borgo di pescatori che si affaccia tutt'ora sul Mar Tirreno.
Sono anni bui per le popolazioni campane, martoriate dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio.
Le condizioni di vita e sanitarie pessime fanno si che Gennarino come verrà chiamato in età infantile per il suo corpo esile e minuto, rimanga orfano di madre sin dalla nascita. Ella infatti muore di parto. Il padre del futuro Santo, come tutti i giorni era uscito in mare. Quando tornò a casa, al tramonto, apprese la terribile notizia dalle donne del paese: sua moglie era morta e c’era una bocca in più da sfamare. Complice la giornata di pesca poco fruttuosa, decise di abbandonare il pargolo fuori dalle mure della città. Qui Gennaro venne raccolto da una pia vedova senza figli di nome Marcella che lo portò nella sua residenza di Napoli.

II - L’infanzia

La donna nutrì subito un profondo affetto per il piccolo: lo accudì e lo crebbe come se fosse suo figlio, quel figlio che non ha mai avuto. Inoltre Marcella, grazie all'indennizzo per la morte del marito - perito anni prima in guerra -, poteva acquistare senza problemi quanta farina volesse quindi il pane non mancava mai visto che la vedova possedeva un piccolo forno a legna. La donna era spesso solita anche preparare il pane per tutti quei poveri che non potevano permetterselo, essendo per molti proibitivo il prezzo della farina - che ogni giorno saliva sempre di più a causa dei vari cataclismi che colpivano la Campania - il che l'aveva reso Marcella molto amata in tutta la città di napoli. Inoltre, ogni mattina ella si trovava sempre fuori casa un cesta piena di pesce che qualcuno lasciava la notte senza dirle nulla. Tutto quel pesce lo fece diventare molto intelligente.

Quando il Santo raggiunse l'età degli studi, Marcella che sognava per il suo figlio adottivo una splendida carriera nel foro partenopeo lo fece studiare presso un famoso avvocato del paese, tal Lucio, che a tutti gli effetti fu suo mentore.

III - L’incontro con Tito

Essendosi la sua madre adottiva ammalata di tisi, Gennaro, che ormai aveva finito il suo apprendistato, e Marcella decisero di partire per Roma. Ivi, gli aveva detto un medico al futuro Santo, si trovavano infatti sorgenti solforose, esattamente nei pressi del Tevere, grazie alla quali la donna sarebbe di certo guarita. Così ogni mattina il giovane accompagnava sua madre a queste terme e poi mentre lei passava lì le ore che abbisognava per sanarli egli raggiungeva il foro romano per migliorare nell'avvocatura. Qualche volta però si metteva sulle pietre poco distanti dalle terme per studiare ed essere vicino alla madre allo stesso tempo, il suo mentore gli aveva lasciato molti libri da studiare ed era molto difficile, in quei giorni, non vederlo immerso in qualche lettura di giurisprudenza.

Fu proprio mentre leggeva che incontrò Tito. Lo vide avvicinarsi ai malati delle terme che si curavano nelle acque termali e gli esortava a confessare i loro peccati all'Altissimo e seguire le parole dei due profeti, Aristotele e Christos, se avessero voluto raggiungere il Paradiso Solare. I malati vennero rapiti dalla religione aristotelica. Gennaro rimase affascinato da quell'uomo e dalle sue parole cosi carismatiche e sagge.
Un giorno Tito si avvicinò a lui, gli disse semplicemente:
“Il mio nome è Tito, sono stato il compagno di viaggio di Christos, il Secondo Profeta, e sono un suo Apostolo.”
Dopo essersi presentato chiese a Gennaro: “Vi vedo ogni giorno qui alla fonte intento sulle vostre letture, siete uno dei romani che raccolgono prove per giustiziarmi?”
Gennaro spiazzato dalle parole di quell'uomo e incredulo rispose: “Non sono qui per voi, sono qui per mia madre, sta molto male e le sono vicino nella sua malattia. Il mio nome è Gennaro.”
Rasserenato l’Apostolo continuò: “Scusatemi se vi ho importunato con una domanda talmente diretta ma non ho potuto far a meno di notare che state leggendo il libro delle accuse e delle pene in vigore … Ho temuto che steste preparando la requisitoria per la mia accusa.”
Gennaro comprese l’equivoco e sorrise alla serenità e alla semplicità di Tito e si offrì, in caso di processo di difenderlo da qualunque accusa gli venisse mossa. I due divennero ben presto amici e Gennaro unì allo studio della giurisprudenza lo studio della parola del Signore e si convertì. Fu proprio Tito nei pressi della fonte solforosa, a battezzarlo e ad introdurlo nella Comunità Aristotelica.
Iniziò ad andare a pesca insieme a Tito, Samot e Anacleto: un giorno, sulle calme rive del Tevere, discutevano tutti e quattro di pesca. Samot scherzosamente fece notare a Tito, che Gennaro molto più pratico di lui, riusciva a prendere pesci più grossi di quelli che prendeva lui e sempre scherzosamente disse: “Quando viene a pescare con noi, prende tutto il pesce che avremmo preso noi…”. Tito rispose: “Il fiume è grande, e ci sono tanti pesci. Se invece di far chiacchiere rimanessi in silenzio, prenderemmo tutti e tre, il triplo di quello che prenderebbe ognuno di noi da solo. Piu' sono i pescatori, maggiore sarà il pescato, è direttamente proporzionale.” Sia Tito che Samot si resero conto che con quella futile conversazione, avevano appena toccato uno degli aspetti cardine della Santa Chiesa Aristotelica, cioè la Diffusione della Fede: i pescatori erano simbolicamente i sacerdoti, i pesci rappresentavano i fedeli.

IV - L’ordinazione

In un caldo giorno d’estate, Tito, pronunciando le stesse parole pronunciate da Christos, si rivolse a Gennaro: "Vuoi unirti a noi? In questo caso avrai molto amore nel tuo cuore e mi seguirai, dandomi un po' del vostro tempo al meglio che potrai. Prendi distanza dai beni, dal lavoro, dagli attrezzi, dici addio alla tua famiglia ... Preferisci la semplicità e l'istruzione rispetto ai ricchi ornamenti e ai bellissimi gioielli. Poiché il nostro compito ci richiederà il sacrificio del bene personale per il bene collettivo, ma, in cambio, sarai accolto in santità tra i figli di Dio.
La strada sarà lunga e tortuosa, la via accidentata, l'orizzonte remoto, la salita ardua, ma il sole che brilla sopra di noi guiderà i nostri passi. Avremo problemi, discussioni, arrabbiature, passioni, esitazioni, ma l'amore e l'amicizia ci uniranno, e Dio ci supporterà.”
Tito accettò e fu ordinato sacerdote.

V - Il miracolo della colomba

Le condizioni di sua madre erano migliorate molto in quei mesi e l’autunno era alle porte. Gennaro comunicò quindi a Tito, Anacleto e Samot qualche giorno prima la decisione di ritornare a Napoli. I due erano dispiaciuti ma sapevano che egli avrebbe continuato a predicare la parola di Christos anche lontano da Roma. Aveva già preparato le valigie e si sarebbe congedato quel giorno stesso da i suoi fratelli.
Si trovavano a pranzo assieme agli altri apostoli quando accadde un evento straordinario. Samot leggeva una lettera di Paolo sulla necessità di scegliere un capo. Una persona ricordò che Christos aveva espressamente designato Tito, ma ciò non era avvenuto all'unanimità. Tito rimase in silenzio.

Fu allora che Gennaro aprì allora una finestra, miracolosamente entrò una colomba dentro la stanza e volò sotto le travi. L'uccello staccò delle erbe che vi erano appese che caddero sulla testa di Tito. Erano rametti di basilico, la spezia dei Re. Tutti riconobbero allora in esso un segno della regalità spirituale di Tito. Questi si alzò e disse:
“Miei amici, fratelli, io non sono un Re! Io non sono che il servo dell’Altissimo, e tutta la potenza quaggiù non viene che dalla riconoscenza per i suoi simili.”
Samot replicò: “Tito, tu sei il nostro Re spirituale. Tutti noi lo riconosciamo. Sei la nostra guida, la roccia della saggezza, nostro padre, il nostro papà."
Fu così che Tito divenne il primo “Papa” della Chiesa. Nominò quindi Gennaro primo Vescovo di Napoli e lo congedò.

VI - Napoli

I primi tempi a Napoli non furono di certo semplici. L’organizzazione della nuova comunità non era facile ma Gennaro poteva contare sempre su Tito, i due infatti continuavano a scambiarsi numerose missive. Assieme a Desiderio e Festo, due sacerdoti che il primo Pontefice gli aveva affidato per aiutarlo nel suo compito, aveva iniziato a far conoscere gli insegnamenti di Aristotele e Christos nel Napoletano, nel Beneventano e nel Casertano battezzando molte persone e portando aiuto ai più poveri.

VII - La fame

Ora accadde che una grave carestia colpisse in quegli anni le terre campane. Il pane ormai era scomparso, il pesce pareva essersene andato dalle acque del golfo, la frutta prima di maturare avvizziva, le bestie si ammalavano e morivano lasciando la loro carne piena di vermi o il loro latte marcio. Ormai per le strade della città di Napoli si lottava per la sopravvivenza e il vicino rubava al vicino, il fratello alla sorella, la moglie al marito. Si diceva addirittura che alcuni si erano messi a divorare i cadaveri pur di placare la fame. La criminalità si sparse e pareva ormai che la legge fosse morta. Il prefetto di Roma, che doveva governare la città, si era rinchiuso nel suo palazzo e cercava da lì di ripristinare l'ordine, ma invano: ogni giorno sempre più guardie disertavano e a malapena né aveva per impedire che la folla impazzita assaltasse la sua residenza.

San Gennaro però camminava per le strade della città portando conforto ai morenti e cercando di rincuorare i disperati, molti davanti al suo buon animo chiesero il battesimo prima di morire tra le sue braccia, nella speranza della vera vita là su nel Sole. E fu durante uno di questi giri che, un giorno, il Santo incontrò dei ragazzi che stavano lapidando un loro coetaneo per rubargli un misero pezzo di pane secco e raffermo.

"Fermatevi, nel nome dell Unico Dio!" disse il Vescovo interponendosi tra i bulli e la vittima.
"Vattene, uomo!" lo apostrofò uno dei ragazzacci "O uccideremo anche te, così ci saranno meno bocche da sfamare e potremo mangiare di più noi!". Gennaro nel frattempo si era tolto il suo mantello e lo aveva poggiato sulla schiena martoriata del povero ragazzo mormorandogli alcune parole all'orecchio. Poi si rivolse a quello che lo aveva apostrofato:
"Che grande sciocchezza mi dici! Uccidere tutti per avere più voi? Fate pure! Alla fine vi troverete ad ammazzarvi da voi fino a che né sarà rimasto uno solo e quando uno solo rimarrà e avrà tutto il cibo del mondo che né avrà avuto? La pancia piena certo, ma poi?".
I bulli rimasero ammutoliti da quelle parole, non sapevano che rispondere.

"Ragazzi" disse quindi il Santo con tono gentile. "Smettete di coltivare il vostro animo con la violenza! Prendete tutti i sassi che avete ancora tra le braccia e che volevate usare per uccidere questo vostro fratello nella disgrazia e seguitemi".
E quelli senza esitare lo seguirono. San Gennaro li condusse fuori dalla città in un campo poco distante. "Ecco, seppellite i sassi per terra, e pregate con me!". I ragazzi fecero quanto diceva il Vescovo, ripeterono le parole che l'uomo diceva e, miracolosamente, delle spighe di grano cominciarono a crescere dove avevano seminato i sassi.
Le colsero per portale al mulino, ma ogni volta che ne coglievano subito un'altra ne ricresceva. Accumularono tanto grano da fare pane per tutti gli abitanti di Napoli e anche per i villaggi vicini. I ragazzi aiutarono per sette giorni San Gennaro a preparare il pane e poi a distribuire a tutti i bisognosi, per ogni via e pertugio fino agli angiporti. Il settimo giorno, quando ebbero finito, il Santo si rivolse a loro con queste parole: "Ecco dunque cosa succede quando si coltiva il proprio animo con la fede! Non c'è più grande nutrimento per noi."

Era il 13 maggio.

VIII - Il fuoco

Le terre della Campania erano spesso funestate dal Vesuvio che molto spesso, in quegli anni, borbottava e sputava fuoco danneggiando molto spesso i campi vicini. Molti erano certi che prima o poi sarebbe esploso e che avrebbe distrutto tutte le città circostanti e impregnato l'aria di cenere e polvere, così alcuni avevano già fatto fagotto e se ne stavano partendo mentre altri che non potevano cambiar casa - per un motivo o per l'altro - rimanettero implorando e pregando gli dei pagani che li proteggessero, in cambio, infatti, sacrificavano il loro capo di bestiame più bello, e tante altre leccornie, condite con spezie pregiate e frutta esotica, e anche collane e suppellettili sacri. Gli abitanti di Napoli prendevano tutto questo e lo bruciavano sperando che il profumo dei loro sacrifici giungesse fino al monte Olimpo e accattivasse loro la benignità dei falsi dei che essi, offuscati dalla menzogne del paganesimo, credevano veri e potenti.

Alcuni però ricordando il miracolo della fame compiuto da San Gennaro e che essendo battezzati ed edotti nella vera fede lo consideravano giustamente un Sant'uomo o chi invece, perseverando nell'errore, lo credeva una specie di stregone o un semi-dio - figlio di Proserpina, che i gentili veneravano per aver buoni raccolti - vennero a implorarlo di calmare il Vesuvio che ogni giorno si faceva sempre più minaccioso. Il Vescovo dava a loro parole di conforto, citazioni dalle parole di Christos che Tito in persona gli aveva insegnato e aggiungeva alla fine:
"Ci compiaccia ciò che Dio vorrà". I questuanti alla sua porta si facevano ogni giorno sempre di più e tutti chiedevano la medesima cosa: che il Santo fermasse il vulcano e che salvasse le città vicine ma Gennaro rispondeva sempre con parole di conforto e finiva il discorso con il suo "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

Un dì, un'intero gruppo di uomini e donne, anziani ed adulti, ricchi e poveri venne a lui nel mentre stava percorrendo la via principale di Napoli facendoli ancora una volta tutti insieme sempre la medesima richiesta ma questa volta Gennaro rispose in modo diverso:
"Marco" chiamò volgendo il capo dentro la bottega accanto a lui. E un uomo ne uscì: era un povero ciabattino che guadagnava appena per nutrire e vestire se stesso e la sua famiglia. "Dimmi ti piacerebbe se chiedessi all'Altissimo di fermare l'eruzione imminente del Vesuvio?" domandò il Santo davanti alle facce stranite del gruppo venuto a fargli la stessa richiesta di sempre. Il ciabattino non ci pensò nemmeno un'attimo:
"No. Io voglio ciò che vuole l'Onnipotente perché egli è un padre benigno, ogni cosa che fa, la fa per il nostro bene.
Se il Vesuvio non erutterà lo ringrazierò per averci risparmiati.
Se esso erutterà e distruggerà i nostri beni ma ci lascerà in vita lo ringrazierò perché ciò che ha distrutto si vede che ci faceva vivere nel peccato senza che ce ne accorgessimo.
Se invece il Vesuvio erutterà provocando la nostra morte lo ringrazierò perché ci ha voluto ritrarre dalla vita per portarci nella sua grazia".

Il gruppo convenuto era esterrefatto, solo ora comprendevano ciò che Gennaro volesse veramente dire con la frase "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

A quel punto San Gennaro disse: "Marco, prendi la sacca con sette pezzi di pane e il tuo bastone. Ti piacerebbe recarti con me ai piedi del vulcano? Lì pregheremo per sei giorni e per sei notti, il settimo giorno torneremo a casa". Il ciabattino non perse tempo, fece quello che il Santo gli aveva detto e partì con lui. Il settimo giorno tornarono entrambi in città e dal momento in cui Gennaro mise piede a Napoli il Vesuvio smise di fumare e di fare qualunque rumore, pareva essere una montagna come un'altra.

Era il 16 dicembre.

IX - La peste

Una grave pandemia di peste colpì un giorno Napoli. Nessun medico pareva riuscire a trovare una cura, nessuna cura pareva dare la guarigione. Ormai Tito era morto e l'Imperatore Nerone aveva cominciato a perseguire i fedeli dalle chiesa di Christos.

Il Prefetto della città di Napoli però, memore di quanto aiuto gli aristotelici e in special modo Gennaro avevano dato alla città, non aveva osato denunciarli all'autorità imperiale e giacché spettava a lui il compito di amministrare la giustizia all'interno delle mura ogni volta che qualcuno giungeva a denunciare un qualche aristotelico egli gli dava qualche parola gentile, assicurandolo che avrebbe provveduto, ma in realtà lasciava che tali denunce cadessero nel vuoto.

La peste però aveva portato via anche quel buon uomo che sul letto di morte chiese a Gennaro di essere battezzato, potendo così entrare nella comunità dei veri credenti prima di giungere a mirare l'Altissimo nell'aldilà. In sua sostituzione fu mandato un altro uomo, pieno di collera e più che zelante a dare piena esecuzione alle empie volontà dell'Imperatore. Cominciò subito a dare la caccia agli aristotelici di Napoli, facendoli tutti decapitare dopo processi sommari. Sperava di portare a Roma la testa del loro Vescovo su un piatto d'argento da mostrare come un trofeo durante uno dei pantagruelici banchetti dell'Imperatore Nerone, sempre ben incline a queste amenità. Il nuovo Prefetto dovette però rimanere deluso, riusciva, ogni tanto ma non spesso, a scovare qualche adepto di Christos ed Aristotele ma non riusciva mai a trovare Gennaro.

Molti patrizi della città che si erano segretamente convertiti lo nascondevano, infatti, nelle loro dimore usando la loro influenza e prestigio per mettere i bastoni tra le ruote del nuovo Prefetto. Il Santo dal canto suo cercava, nonostante la persecuzione, di continuare la sua opera, sopratutto ora che la peste infuriava.

Il settimo giorno dopo che la pestilenza era iniziata, venne da lui una figlia di un patrizio di Napoli, ella si chiamava Cecilia.
"Ave, o episcopo" lo riconobbe lei per strada insieme a Desiderio e a Festo nel mentre distribuivano del pane a dei poveri appestati che invocavano l'intervento divino perché giungesse a salvarli.
"Ave, o figlia di Dio" rispose lui sorridendole.
"Vengo da te per farti una richiesta".
San Gennaro fece un cenno con la testa e domandò di quale richiesta si trattasse e appena gliela avesse fatta molto gentilmente, se fosse stato nelle sue capacità, l'avrebbe accontentata.
"Vorrei che mi aiutaste a pregare".
"Pregare per cosa, figliola?".
"Pregare per avere il coraggio di accettare il volere di Dio" rispose candidamente lei. Gennaro sorrise.
"Figliola" cominciò "Tu da sola con la tua fede hai salvato Napoli!" gli disse, lei si stupì, era troppo umile per crederlo pensò che il Vescovo avesse un eccesso di gentilezza.

Ma Gennaro alzò le mani al cielo, recitò una preghiera e all'improvviso ogni malato della città smise di tossire e si alzò come se nulla avesse, tutti i morti nei carri destinati ai roghi si levarono come se fino a quel momento avessero soltanto dormito, la peste era sparita e una dolce luce avvolgeva il viso e le vesti del Santo davanti allo stupore dei presenti.

Ma proprio in quel momento delle guardie passarono lì accanto e riconoscendo in lui Gennaro, il capo della setta degli aristotelici, lo arrestarono insieme a Desiderio e Festo, che si erano interposti all'arresto, portandoli tutti e tre al palazzo della prefettura.

Era il 19 settembre.

X - Il martirio

Il prefetto non ci mise molto ad ammettere la sentenza. Nel suo cuore li aveva già condannato tutti da molto tempo.

Fece quindi subito predisporre un ceppo per la decapitazione nel centro della città, la sentenza sarebbe stata eseguita il giorno stesso a sole poche ore dall'arresto e dal processo farsa. I tre Santi furono quindi condotti dalla guardie verso il luogo dove sarebbero morti.
Durante la camminata, un povero mendicante, che era stato tra i primi a convertirsi per mano di Gennaro, chiese al Vescovo di poter prendere un lembo della sua veste per tenerla come reliquia.
"Potrai avere il fazzoletto che useranno per oscurarmi la vista" gli rispose Gennaro sorridendo. Venne a lui quindi anche una pia donna che si era sempre segnalata per la virtù e la carità.
"Eusebia, cara amica e figlia, va a casa tua e prendi due ampolle e con esse raccogli il mio sangue!". Giunsero quindi nella piazza centrale di Napoli. Il boia fece mettere la testa di Gennaro sul ceppo e vibrò il colpo. Proprio in quell'istante però il Santo aveva portato un dito per sistemarsi il fazzoletto sugli occhi, nel scendere la scure gli tranciò il dito. Subito dopo anche Desiderio e Festo furono decapitati.
Eusebia, piangente, era intanto ritornata con le ampolle e le riempì del sangue del Santo come l'era stato chiesto. Venne anche il mendicante per trarre il fazzoletto, come gli era stato permesso ma proprio nell'atto di piegarsi a toglierlo dal viso del vescovo gli venne scrupolo ma all'improvviso apparve davanti a lui l'immagine di Gennaro trionfante, immerso in una luce meravigliosa.
"Prendi pure il fazzoletto" disse al mendicante con il suo sorriso paterno. "E anche il dito. Insieme al mio sangue, saranno grande fonte di salvezza!" aggiunse prima di sparire.

Le reliquie

Nel Duomo di Napoli, sono ancora conservate con pia e grandissima devozione le due ampolle del sangue del Santo che sono oggetto tre volte all'anno di un'incredibile miracolo. Infatti, le settimane antecedenti al 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre il sangue - che durante gli altri dì si presenta nero e secco - torna liquido e rosso come se fosse appena sgorgano dalla testa del Santo. I napoletani riservano in queste settimane e sopratutto nei giorni della commemorazioni di San Gennaro grandi feste e funzioni sacre molto magniloquenti.

Il fazzoletto che bendò gli occhi del Santo sul ceppo ed impregnato del suo sangue è custodito nella città di Roma, presso la Chiesa di San Giovanni dei Martiri. Mentre il dito è custodito nella Cattedrale di Arles.

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San Gennaro è Patrono delle città di Napoli e Torre del Greco, degli avvocati, degli affamati, dei coltivatori di grano e delle persone colpite dalle calamità naturali.
Giorni di festa: 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre.


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Cardinal-Deacon of the British Isles -Bishop In Partibus of Lamia - Prefect to the Villa of St.Loyat - Expert to the pontificial collages of Heraldry - Assessor to the Developing Churches
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