L'Eglise Aristotelicienne Romaine The Roman and Aristotelic Church Index du Forum L'Eglise Aristotelicienne Romaine The Roman and Aristotelic Church
Forum RP de l'Eglise Aristotelicienne du jeu en ligne RR
Forum RP for the Aristotelic Church of the RK online game
 
Lien fonctionnel : Le DogmeLien fonctionnel : Le Droit Canon
 FAQFAQ   RechercherRechercher   Liste des MembresListe des Membres   Groupes d'utilisateursGroupes d'utilisateurs   S'enregistrerS'enregistrer 
 ProfilProfil   Se connecter pour vérifier ses messages privésSe connecter pour vérifier ses messages privés   ConnexionConnexion 

[IT] Il libro dell'agiografia - I Santi antichi
Aller à la page Précédente  1, 2, 3, 4  Suivante
 
Poster un nouveau sujet   Répondre au sujet    L'Eglise Aristotelicienne Romaine The Roman and Aristotelic Church Index du Forum -> La Bibliothèque Romaine - The Roman Library - Die Römische Bibliothek - La Biblioteca Romana -> Le Dogme - The Dogma
Voir le sujet précédent :: Voir le sujet suivant  
Auteur Message
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 10:47 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Clemente


    1. Nascita ed infanzia:

    San Clemente nacque in terre francesi, nell’anno 307, da una famiglia molto credente, ma ugualmente senza un soldo. Sin da quando fu in grado di camminare, aiutò il padre nei campi, per tentare di migliorare l’onorario. Spesso, prendendo il cammino per il mercato dove andava a vendere il prodotto del suo lavoro con il padre, vedeva, in dei bei carri, degli uomini ben meno poveri di lui, che gioivano della propria fortuna e non conoscevano pene materiali.

    2. Dove Clemente s’interessa alla questione dell’ingiustizia:

    Era ancora giovane, ma già s’interrogava sul senso dell’ingiustizia. Suo padre, ben troppo occupato col lavoro dei campi, non aveva il tempo di rispondere alle molteplici domande che invadevano poco a poco lo spirito del giovane. Un giorno, chiese consiglio al parroco della sua parrocchia, ch’era uomo buono e sapiente.

    Citation:
    - Padre, domandò Clemente… come possiamo combattere l’ingiustizia?
    - Ebbene, figlio mio, l’ingiustizia si combatte con la legge temporale. Se un giorno sei testimone di un avvenimento contro la legge, devi andare al posto di polizia più vicino, per avvisare un membro dell’autorità che sia atto a giudicare la cosa.
    - Ma Padre, interrogò Clemente, che non era soddisfatto della risposta, che ne è di Dio?
    - Dio è onnisciente, avrà visto il tuo atto, e quello di colui che ha sbagliato, così il giorno della sua morte sarà giudicato, e come ha agito male in vita, subirà i tormenti eterni sulla luna.


    Clemente tornò ad aiutare il padre, le parole del sacerdote restavano impresse nella sua memoria, e nel corso degli anni, mentre diventava adolescente e poi un giovane, le questioni sulla giustizia continuavano a germogliare nella sua Anima. In varie occasioni tornò in visita al parroco, perché quest’ultimo potesse calmare il suo turbamento. L’uomo di Dio vide in lui un Essere molto cosciente delle nozioni di giustizia e ingiustizia, così gli propose di impegnarsi nella milizia del suo villaggio. Dopo aver chiesto il consenso paterno, Clemente si arruolò.

    3. Clemente assiste a un processo iniquo:

    Per alcuni anni, Clemente fu molto rigoroso nell’esercizio delle sue funzioni, non riluttante al lavoro, compiva il suo dovere a ogni ora del giorno e della notte. Il suo superiore gerarchico, il Giudice, era anche lui un uomo buono, e al suo fianco Clemente imparò molto sui modi di indagare, di ascoltare i testimoni, e di dare un giudizio il più equo possibile.

    Un giorno, un processo contrapponeva una donna anziana e un commerciante. Quest’ultimo chiedeva riparazione, affermando che la donna non aveva pagato il dovuto. Aberrazione, pensò Clemente, poiché la conosceva bene, era un’amica della madre, e non avrebbe mai commesso un simile furto. Tuttavia, in assenza di elementi a sua discolpa, e con l’aiuto di documenti contabili talvolta ambigui, il giudice non ebbe altra scelta che giudicare colpevole la donna anziana. Al termine dell’udienza, Clemente andò a trovare il suo superiore, senza capire.

    Citation:
    - Ma signor giudice, questa donna è innocente, la conoscete bene quanto me, non sarebbe mai capace di rubare.
    - Sì, forse, rispose l’uomo di legge, ma come accertarsene? Hai delle testimonianze, delle prove da portarmi? Puoi affermare che il mercante ha mentito?
    - No, rispose Clemente, il cuore pesante per la tristezza.
    - Solo l’Onnipotente e Onnisciente, Lui solo conosce tutte le verità, e tutte le menzogne. Io posso credere solo a ciò che sento e vedo.


    Clemente meditò a lungo su queste parole.

    Citation:
    Così, come dice il Libro Santo, ogni uomo è imperfetto, anche quello che dispensa la giustizia lo è. L’uomo imperfetto che ha sbagliato viene giudicato da un altro uomo imperfetto. Così, anche nell’ambito di un processo, non è detto che la giustizia trionfi.


    E Clemente fu molto triste pensando a ciò.

    In numerose occasioni, tornò ancora in visita dal sacerdote della sua parrocchia. Desiderava sapere perché il castigo di Dio non colpisse sempre gli uomini malvagi sulla Terra, ma soltanto alla loro morte, e il sacerdote non sapeva minimamente cosa rispondere.

    4. Come Clemente fece punire dei predoni di chiese:

    Un giorno, vennero a cercare Clemente in tutta fretta, poiché una grave disgrazia era avvenuta in chiesa. Una banda di predatori aveva saccheggiato il luogo santo e brutalizzato il parroco, vecchio amico di Clemente. I colpevoli furono messi sotto processo, e in questo luogo, in questo tempo, la degradazione dei luoghi santi e i colpi e le ferite erano punibili con un anno di prigione, e con una pesante ammenda.

    Una cosa da nulla, pensò Clemente, non si poteva procedere a un simile oltraggio, e non vedersi infliggere una pena così minima. All’improvviso, Clemente si alzò, prendendo il giudice a testimone che era assurdo che predare una casa e una Chiesa fossero considerati come una stessa colpa. Incollerito, il giudice fece lasciare la sala a Clemente, sospendendolo dalle sue funzioni, e lo licenziò dalla milizia. Ma Clemente non fu addolorato, poiché nel profondo del suo cuore, sapeva di aver ragione, un Santo calore pervase il suo cuore e, nel mezzo della via principale, parlò alla folla.

    Citation:
    Carissimi fratelli, vedete qui cosa succede… Degli uomini hanno saccheggiato la casa di Dio, brutalizzato il Suo rappresentante, e i colpevoli si vedono infliggere solo una pena minore?
    Come potremo tollerare questo? Vergogna a chi ha fatto il male intorno a sé, ma ciò che appartiene al Signore è sacro, e chi deroga alla Legge Divina merita un castigo ben più duro di chi infrange la legge Temporale. Poiché chi commette un crimine su un rappresentante di Dio, commette un crimine contro Dio stesso!!


    A queste parole, la folla scatenata investì allora il tibunale, catturò i predoni e li lapidò pubblicamente.

    5. Come ricevette la visita dell’arcangelo Michele e che cosa si dissero:

    Mentre la folla cantava le Lodi del Signore, Clemente meditava sulla sua azione un po’ in disparte. Indubbiamente aveva infranto la legge temporale sostituendosi al rappresentante legale della giustizia; tuttavia, non ne provava alcun rimorso, anzi, provava soddisfazione, sapendo di aver compiuto la Volontà Divina. Improvvisamente, la luce del sole si fece più intensa, e il suo calore più dolce. Clemente sentì un soffio sulla sua spalla, e quando si girò, vide un angelo scendere dal cielo.

    Immediatamente s’inginocchiò, in segno di venerazione, ma la Creatura Celeste posò le mani sulle sue spalle e lo aiutò a rialzarsi.

    Citation:
    - Alzati, Clemente, poiché in questo giorno, hai dato prova di grande virtù.
    - Di una grande virtù? Balbettò il giovane, ma chi siete dunque?
    - Sono l’arcangelo Michele, e veglio sulla Giustizia. Il tu atto, Clemente, era segnato da una grande saggezza.
    - Non sono andato contro il giudizio stabilito? Non è sbagliare, opporsi a un parere più saggio?
    - Quest’uomo che è il giudice può osservare e giudicare solo ciò che è materiale. Ma per giudicare di cosa piace o meno a Dio, non ha alcuna legittimità. Ora tu, in questo giorno, hai saputo fare la differenza fra colpe davanti agli uomini, e i peccati davanti al Creatore. Ormai, sarai incaricato di percorrere le strade, affinché la Legge Divina sia rispettata, e non più solo la legge degli Uomini. Poiché quest’ultima è effimera, e passa come passano le stagioni, ma le parole di Dio sono immutabili, e le offese contro di Lui devono essere punite con molta più severità, poiché tale è la Sua Volontà. Questi magistrati non sanno nulla della Legge Divina e non possono farla conoscere.
    - Ma perché dunque il Signore lascia giudicare a degli uomini che non hanno alcuna capacità in merito?
    - Perché tale è la sua volontà, ed è Onnipotente, ma i suoi fedeli non saranno abbandonati, poiché tu li proteggerai. Perché Egli ti darà il potere di giudicare in suo nome.
    E avrai il potere di giudicare gli uomini, e i giudici, e i Re se sei convinto che abbiano sbagliato, e non abbiano rispettato la Legge Divina.
    - Ma una volta ho visto che il Giudice si è sbagliato nel suo giudizio. Dio ha creato l’uomo imperfetto, io che sono uomo come posso giudicare in nome di Dio, io che sono imperfetto e Lui perfetto?
    - Tu lo potrai, poiché per aiutarti nel tuo Ministero, Dio ti farà dei doni particolari, avrà cura di parlarti nei tuoi sogni per condurti su una retta via, e attraverso la sua bocca, sarà Lui ad esprimersi, affinché nei tuoi giudizi tu sia sempre perfetto e gli uomini potenti ti contraddiranno e ti invidieranno, e tu dirai loro che sei il Rappresentante di Dio, investito dal Suo Potere, e chi metterà in dubbio le tue funzioni metterà in dubbio la Parola di Dio, e tu lo punirai per questo.
    - Ma non ho legittimità, i fedeli non mi crederanno.
    - Sì, ti crederanno, poiché il Signore farà entrare in te la conoscenza della Teologia, e tu guadagnerai il loro rispetto poiché dalla tua bocca usciranno parole vere, e crederanno a queste parole.
    - Ma come fare questo da solo? Non posso percorrere tutte le strade da solo, e vegliare su tutte le Chiese.
    - No, in effetti non puoi, ma per ora tu lo devi fare, perché tale è la Volontà Divina, poi un giorno sul tuo cammino incontrerai i Padri della Chiesa, allora tu parlerai loro, e loro ti ascolteranno, e faranno un gruppo intorno a te, e tu chiamerai questo gruppo l’Inquisizione, e dovrai fare in modo di moltiplicare i numeri degli uomini che si faranno chiamare Inquisitori, e se tu li giudichi degni, allora Dio concederà loro gli stessi tuoi doni, e agli inquisitori dopo di loro, e quelli seguenti, fino al giorno del giudizio.


    Poi l’arcangelo Michele riprese la via dei cieli, a ritrovare il Signore, e Clemente prese la sua strada, seguendo gli ordini della Creatura Celeste.

    6. Clemente e l’affare di Loudon:

    È allora che, percorrendo la Gallia, Clemente fu attirato da delle voci strane che raccontavano che il parroco di Loudun aveva venduto la sua anima alla Creatura Senza Nome e che usava il suo ruolo per stregare le sue fedeli femmine. Giunto nel luogo, e interrogando un tale sui fatti, lo portarono in una sala dell’ospizio dove delle povere donne, assolutamente terrorizzate e dal volto tormentato dal dolore, gemevano e piagnucolavano emettendo dei suoni sinistri e lugubri.

    - Ma che hanno dunque queste donne?
    - Secondo il giudice che le ha interrogate, esse si dichiarano possedute da un Demone che le avrebbe costrette a commettere atti impudichi con il parroco.
    Abbiamo trovato nella casa di lui, in occasione di una perquisizione, delle carte dove figurano dei strani segni cabalistici e delle firme che sono quelle della Creatura Senza Nome e dei Demoni che testimoniano il suo commercio con le potenze infernali del mondo lunare per costringere queste donne ad avere dei rapporti sessuali con lui.
    - E dov’è il parroco al momento?
    - È stato arrestato ed è in prigione dov’è stato messo sotto tortura perché cominciasse a confessare.

    Clemente si informò allora del luogo dove trovare il giudice, e ben determinato a far luce su questa storia di cui era vittima un parroco, fece valere presso quest’ultimo le sue qualità di teologo e l’esempio dell’apostolo Nikolos chiedendo che, in queste materie, non si facesse nulla senza riferirne ai cardinali che avrebbero saputo che decisione prendere.
    Avendogli il giudice concesso questa grazia, per una proroga di qualche settimana, egli scrisse alla Curia per fare rapporto.
    Questa gli affidò, in ritorno, un mandato per condurre l’inchiesta al posto del giudice.
    Forte di questa delega, Clemente procedette all’interrogatorio delle donne e del parroco, e poi al loro confronto.

    Clemente reclutò un segretario nella persona del monaco Adso, un giovane frate che aveva appena preso i voti, e cominciarono a procedere ai primi interrogatori.
    Il parroco, che sembrava sano di corpo e di mente, accusò queste donne di un complotto contro la sua persona a causa della sua castità.
    Gli era giunta voce che il suo predecessore, per nulla così puntiglioso nel rispettare i comandamenti di Christos, aveva spesso commercio con loro.
    Si poteva quindi comprendere il loro disappunto quando il nuovo parroco chiuse loro la porta in faccia.
    Quanto alla tortura, nemmeno quest'ultima era riuscita a fargli confessare ciò ch’era avvenuto.

    Da canto loro, le donne interessate svelarono in dettaglio le carezze, i calori, i languori, gli atti impudichi ispirato loro dal Demone inviato da parroco e come, certe notti, il Demone le forzasse ad avere rapporti sessuali con il parroco.
    Davanti a delle testimonianze così contradditorie, e non potendo negare le convulsioni e le altre grida e i fenomeni diversi che talvolta agitavano queste sventurate per averle lui stesso constatate, Clemente ordinò che fosse organizzato un confronto fra loro e il parroco.
    Ahimè, dal momento in cui queste furono messe in presenza del parroco, si misero a parlare una lingua strana, contorcersi, sbavare, vomitare ed emettere suoni lamentosi di estasi dolorosa, in modo che non fosse possibile concludere nulla.

    - Questa storia mi sembra complessa, fratello Clemente.
    - Lo è, Adso, lo è! Come sapere chi dice la verità e chi mente, in questa storia? Può darsi che queste donne siano vittime di un Demone; può darsi che siano semplicemente pazze.
    Hai la copia degli interrogatori precedenti e del risultato delle perquisizioni sia del parroco sia di queste donne?
    - Tenete! Eccole, fratello mio.
    - Grazie, Adso; mi aiuterai. Noi ora riprenderemo tutto e rileggeremo tutto con minuzia e attenzione. Forse troveremo una falla da qualche parte o un dettaglio che ci è scappato.

    Allora Clemente e Adso lessero e rilessero deposizioni e risultato delle perquisizioni.
    - Toh, è curioso, esclamò di colpo il giovane Adso… hanno trovato della datura da una di queste donne.
    - Della datura? Ma è…
    - … una pianta che provoca pericolose allucinazioni!
    - Sarebbe possibile che sia questa la spiegazione, fratello Clemente?
    - Lo sapremo velocemente! Che si faccia arrestare e rinchiudere queste donne con divieto di visita e unicamente a pane e acqua come cibo!
    Usciranno solo su mio ordine e per una seduta di confronto che avrà luogo in presenza di testimoni e del giudice.

    Così fu fatto, e il detto giorno, vennero riunite le persone citate e dei testimoni conosciuti in città per la loro moralità.
    Si ascoltò prima la testimonianza delle donne, poi quella del parroco, separatamente.
    Infine, come nell’ufficio di Clemente, si volle confrontare le due parti.
    Ora, con grande stupore di tutti, nessuna convulsione s’impadronì del corpo delle donne; alcune restavano interdette mentre altre, in modo goffo, cercavano, con delle povere imitazioni, di riprodurre le contorsioni che le avevano scosse alcuni giorni prima.

    - Cos’è questa strana frode?, tuonò il giudice.
    - Niente, Signor giudice, disse Clemente. Solo la prova che queste donne hanno cercato di abusare della creduloneria popolare per affliggere un povero parroco e farlo condannare per eresia e pratiche scandalose.
    Tirò allora fuori dalla tasca una pianta:
    - Signori, ecco una pianta che si chiama datura. Provoca delle gravi allucinazioni ed è stata ritrovata nel domicilio di una delle donne qui presenti.
    Raccontò allora come le avesse fatte mettere agli arresti e avesse ordinato che non ricevessero contatto alcuno perché non si potesse portargliene di nascosto.
    Così, senza questa pianta, non avevano potuto riprodurre le convulsioni da cui erano solitamente agitate.
    - Di conseguenza, Signor giudice, ordino il loro arresto immediato. Scriverò alla Curia per riferire questa storia e sapere quale decisione la Chiesa prende riguardo a loro perché un parroco è stato vergognosamente sporcato.

    La risposta della Curia fu rapida e netta: che fossero trasmesse al braccio secolare e giudicate come demoniache.
    Inoltre, Clemente fu invitato a incontrare la Curia.

    7. Clemente è ricevuto dal Papa e si vede affidare una missione:

    Fu ricevuto solennemente da papa Silvestro I e i suoi cardinali, che lo interrogarono a lungo sulle sue missioni.
    All’uscita da quest’udienza, Clemente fu convocato dalla Curia dove il cardinale camerlengo gli consegnò la seguente lettera di Sua Santità:

    “Caro Fratello Clemente,
    la tua azione per la Verità e la lotta contro le eresie ci ha convinti a fondare una vera e propria istituzione incaricata specialmente di formare gli inquirenti.
    Questa istituzione avrà il nome di Inquisizione.
    Te ne affidiamo la guida con tua cura di formare i tuoi collaboratori, come hai fatto con il giovane Adso, e di affidare loro le missioni che giudicherai opportuno di dar loro per la sorveglianza della moralità dei fedeli.
    Al termine dell’inchiesta, se i tuoi inquisitori hanno prove sufficienti, dovrai agire secondo la tua coscienza e ordinare le azioni più adatte a guarire il male: penitenza, flagellazione, il rinchiudere temporaneo, o rimessa al braccio secolare, seguendo ciò che ti sembrerà giudizioso per salvare l’anima dei poveri peccatori smarriti.
    Ché Aristotele e Christos siano con te,
    Silvestro, papa”

    8. Frasi celebri e reliquie:

    Clemente resta dunque conosciuto prima e innanzitutto per aver gettato le basi dell’Inquisizione moderna.

    Le sue frasi celebri:
    “Buon sangue, ma è ben certo!”
    “Ingiustizia chiama ingiustizia; violenza chiama violenza”
    “Poiché la legge è arbitraria, coloro che si mettono nell’illegalità sono i coraggiosi denunciatori dell’oppressione”
    “Cercare la verità, è bene; scoprirla, è meglio”
    “La giustizia: il dono più bello di Dio agli uomini”

    Le sue reliquie sono conservate a Loudun dove tornò a vivere alla fine della sua vita e dove morì, caricato di anni, nel 397.

    Traduzione di Sciabola, revisione di Hipazia



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 10:48 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Corentin




    San Corentino, San Kaourintin in bretone, fu il primo parroco di Brest.
    E' festeggiato il 12 dicembre (Calendario dei santi bretoni).
    E' uno dei sette santi fondatori della Bretagna.
    E' il Santo Patrono dei pescatori a piedi bretoni[1].
    E' festeggiato a Brest nel Tro Breizh[2]



    San Corentino è nato a Brest nell'anno 375. Educato nella parola divina e lo studio del libro delle virtù, la sua pietà gli valse di evitare di essere arruolato nelle truppe che il Re bretone Conan Meriadec guidò contro le guarnigioni dell'occupante latino.

    Desideroso di perfezionare la propria fede, si ritirò poco a poco dal mondo per raccogliersi in un oratorio lontano dalla città di Brest. Perso nelle sue preghiere, non vide i gabbiani portargli quotidianamente conchiglie e lumache di mare per nutrirlo, arrivando a colonizzare una vasca d'acqua benedetta nella cappella.
    Corentino sgranocchiava distrattamente quando un gabbiano ridente gli portò, un giorno, un pesciolino, un'anguilla.
    Già saziato dai frutti di mare, Corentino tirò fuori il suo coltello e ne tagliò un pezzetto e lasciò il pesce sul bordo dell'acquasantiera, preferendo finire la sua lettura dei logions di Christos.

    Al mattino presto Corentino, svegliandosi, si segnò con l'acqua benedetta e constatò che l'anguilla era intatta e nuotava nell'acquasantiera.

    Corentino, facendo in modo di scusarsi ogni volta col pesce, si nutrì allora esclusivamente di pezzetti di quest'anguilla che ricresceva, per grazia divina, ogni notte.

    Per dispetto, i gabbiani presero allora l'abitudine di lasciare una parte della loro pesca sulla battigia, permettendo ai più deboli di nutrirsi senza dover praticare pesca d'altura.

    I paesani di Brest, molto poco istruiti sulla parola divina, poiché questa città fu per molto tempo parrocchia remota e lontana, vennero sempre più numerosi a raccogliere i pesci e, conquistati dalla semplicità e dalla gentilezza di Corentino, furono sempre più numerosi nella cappella.

    Ma il tempo era passato e al Re Conan Meriadec subentrò il Re Grallone.

    Costui non amava punto il pesce, al quale imputava un gusto di acqua di mare in gelatina. Inoltre, disprezzava i pescatori e la gente di mare e accordava tutti i suoi favori ai macellai, agli allevatori di buoi e di verri. Ma soprattutto, giurava sulla selvaggina e sulla cacciagione, e non giurava altro che su questa carne.

    Non esitava a inseguire una bestia fino allo sfinimento della sua cavalcatura o della selvaggina. Una volta, mentre cacciava nei dintorni di Brest, fece morire il suo cavallo sulla landa nel furore dell'hallalì [3], distanziando tutti i suoi uomini, e cadde dall'alto del pendio sulla riva, restando incosciente. I granchi cominciarono allora a spulciarlo fino all'arrivo di Corentino che li allontanò. Trasportò allora l'uomo fino alla cappella.

    Il corpo del Re era ridotto male, così Corentino decise di provare a bagnarlo con l'acqua della vasca dell'anguilla.

    Queste cure fecero meraviglie e ben presto il Re riprese conoscenza e si sentì sollevato, liberato per sempre dalla passione per la caccia che lo bruciava come un fuoco interiore.

    Non sapendo come ringraziare il suo salvatore, decise di osservarlo per determinare come ringraziarlo al meglio. Ma i giorni passavano e il Re convalescente si sentì combattuto da una fame che non si saziava dei pochi granchi cucinati. Espresse il desiderio di trovare della carne per rifarsi il sangue.

    "Insomma, fratello mio", disse Corentino, "bisogna osservare ciò che la natura ci offre a bizzeffe. Qui non avrete che qualche lepre spaventata sulla landa, mentre i fondali sono pescosi!"
    "Il pesce? Pfff, non è cibo per uomini, questo. Non c'è nulla come della buona carne per rifarsi sangue e muscoli!"

    Senza una parola, Corentino prese la sua anguilla e cominciò a tagliarla in pezzi pregando, e la preparò poi su degli spiedi, sul fuoco.

    Il Re fu conquistato dal gusto e dalla qualità organolettica della carne del pesce e si rivolse quindi a Corentino:

    Citation:
    - Cos'è questo miracolo? Da anni non mangio della carne così saporita, e mi sento lo stomaco placato per la prima volta da molto tempo.E con questo non mi sento in colpa, non come con lo stinco brasato!

    - Fratello mio, questo pesce è l'immagine del popolo istruito nella fede, se ne tagliamo un pezzo, ricresce ed è subito pronto a calmare le passioni. E il tuo spirito, O mio Re (poiché Corentino aveva smascherato da tempo il Re Grallone), si sazia tanto col pesce, quanto i tuoi muscoli con la carne. Non puoi governare un popolo di soli cacciatori, come le popolazioni pitte tutte dipinte e pagane, perché resterai nell'ignoranza della rivelazione della parola divina, restando più sciocco di un animale e condannato a non conoscere la luce.



    Il Re vide la giustezza delle parole e decise, una volta rientrato, di comprare regolarmente del pesce dai pescatori bretoni per metterlo sulla sua tavola a Rennes, per il pasto in onore del Santo Natale, dieci giorni dopo, cosa che lo fece tornare a Rennes con un carro pieno di anguille in barili, facendo di Corentino e della sua anguilla la mascotte dei pescatori bretoni, che gli attribuirono il rinnovamento delle truppe marine e l'abbondanza della pesca a piedi.

    Si dice che un'acquasantiera con un'anguilla viva sia conservata in qualche piccola cappella del Finisterra [4]. Attenzione, si dice anche che l'anguilla morda chi si segni senza essere credente.

    Note del traduttore:
    [1] Tipo di pesca sulla battigia, con gli stivali ai piedi e cesti a mano, per raccogliere conchiglie e altri piccoli mitili e frutti di mare e crostacei.
    [2] Pellegrinaggio in onore dei Sette Santi Fondatori della Bretagna.
    [3] Antico grido di incitamento nelle battute di caccia a cavallo in Francia
    [4] Regione bretone


    Traduzione di Sciabola, revisione di Franciscus_bergoglio


_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:04 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di Santa Domenica


    Domenica nacque nel 1302 a Chinon nell'Angiò. Figlia di pii genitori aristotelici, aveva per zia la Madre superiora del Convento della Sorelle Aristoteliche di Chinon.
    Cresciuta nei precetti di Aristotele e Christos per tutta l'infanzia, decidette, all'età di 15 anni, di raggiungere sua zia in convento e di farsi monaca.

    Si tuffò nello studio dei testi sacri e divenne rapidamente la più istruita delle sue sorelle. La Madre superiora le affidò allora, per i suoi 25 anni, l'incarico di celebrare le messe, di tenere sempre aggiornati i registri del convento e d'insegnare alle sue consorelle, compito per il quale la sua erudizione teologica fu unanimemente apprezzata.

    La sua conoscenza delle Sacre Scritture era tale che il curato della parrocchia di Chinon andava spesso a farle visita per studiare insieme a lei.

    Nacque così una sincera amicizia aristotelica tra quelle due persone votate al compimento dell'opera di Dio.

    Ben presto, i parrocchiani di Chinon cominciarono a farle visita per chiedere consiglio su come dovessero condurre le loro vite per rimanere in grazia di Dio.

    Fu in quegli anni che sua zia morì, nel 1335, e, naturalmente, le sue consorelle la scelsero come nuova Madre superiora.

    Ma fu allora che la sventura si abbatté sulla Francia, quando scoppiò la terribile guerra dei cent'anni.

    Chinon fu invasa dagli inglesi e saccheggiata...

    L'anarchia si diffondeva, le città erano paralizzate dalla paura.

    Eppure, a Chinon, la presenza rassicurante di Madre Domenica richiamò i credenti aristotelici presso di lei, nella speranza e nella preghiera.

    Il curato di Chinon, che era assai amato, morì a sua volta.
    E nel mezzo di quei tempi confusi, lontani da Roma e dal vescovo d'Anghero, che aveva dovuto abbandonare la sua diocesi, i parrocchiani di Chinon si ritrovarono senza curato...

    L'impossibile accadde. Malgrado l'interdizione fatta in quell'epoca alle donne di detenere una parrocchia o di impartire i sacramenti, i parrocchiani di Chinon supplicarono Domenica di diventare il loro curato.

    Questa richiesta turbò molto Domenica che si ritirò in preghiera domandando a Dio d'illuminarla. Fu allora che le apparve in sogno l'Arcangelo Galandriella che le disse:

    Citation:
    Domenica, Dio non ha mai voluto che le donne fossero escluse dal sacerdozio. Egli ha fatto uomini e donne uguali. Ciò perché gli uomini come le donne debbano poter consacrare la loro vita a Dio alle stesse condizioni e dunque ricoprire le medesime cariche in seno alla sua Chiesa.
    Dio non vuole più che le donne siano escluse.

    Domenica, tu sei l'esempio stesso che la donna è degna delle più alte cariche. Questo perché tu sia un esempio per le generazioni a venire.

    Domenica, ritorna fiduciosa presso i tuoi parrocchiani ed accetta la loro richiesta.

    Dio è con te!

    Il mattino dopo, Domenica ritornò dai suoi parrocchiani ed accettò di diventare il loro curato.

    Ella assolse al suo ruolo con tanto fervore aristotelico, fece sermoni così pieni di saggezza, di devozione, d'amicizia aristotelica, che il suo nome finì per giungere alle orecchie di Roma.

    Fu allora riferito a Roma che un curato di Chinon, di nome Domenico, muoveva le folle in Angiò, che questo curato era un faro nel mezzo dell'orrore della guerra, un lume di speranza che teneva uniti migliaia di parrocchiani.

    La guerra non aveva mai fine e Domenica invecchiava... Ella istruì ben presto una ragazza di nome Carina per succederle.
    La notizia della morte di Domenica, nel 1393, fu accolta dalla popolazione dell'Angiò con gran tristezza e numerosi furono coloro che vennero alla cerimonia di sepoltura celebrata dalla sua discepola.

    La notizia giunse fino a Roma che decise d'iniziare un'inchiesta su questo Domenico, cosa che sembrava far presagire a una prossima santificazione.

    L'inviato da Roma giungendo a Chinon apprese, però, la verità su Domenica e ne fu scandalizzato. Egli condusse quindi Carina a Roma, affinché fosse giudicata e condannata per aver violato il diritto canonico e per aver preso il posto del curato, lei, una misera donna, ed aver così continuato l'opera dell'empia Domenica.

    Giunti a Roma, venne aperto un processo a carico di Carina, che difese con fervore Domenica, riportando tutto quello che aveva fatto. I cardinali furono profondamente toccati dalle sincere parole di quella ragazza e decisero di condurre un'indagine.

    Per lunghi anni, Carina difese con fervore Domenica, fece anche venire alcuni parrocchiani dall'Angiò per corroborare i fatti da lei riportati.

    E finalmente nel 1418, al termine del Concilio di Costanza, Domenica fu proclamata santa. La Chiesa riconobbe allora che le donne dovevano essere accolte nella Chiesa come eguali degli uomini e che potevano accedere d'ora in avanti a tutte le cariche.

    Nota del traduttore

    * E' da tener presente come in francese Domenica si dica "Dominique" e che ugualmente il maschile di tale nome, Domenico, sia sempre "Dominique". Da qui la probabile confusione a Roma, che scambiarono Domenica per un uomo, credendo per errore che quel "Dominique" di cui avevano avuto notizia fosse un maschio proprio a causa della medesima grafia del nome nella lingua francese.


    Traduzione di Jul., revisione di Hipazia


_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:06 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Domenico


    Infanzia di Domenico

    Tutti a Burgos conoscevano Alfredo Manguz, un contadino assai ligio al lavoro e devoto alla fatica nei campi. Si narra che mai chiese aiuto al Municipio, e giammai i favori di qualche signorotto locale, per tirare su le sue spighe, e per sfamare la propria famiglia.
    Invero, la terra che possedeva era stata dura conquista, ma la costanza e la tenacia portarono quella prosperità che annuncia la decisione di avere un figlio, l'unico essere al mondo a cui Alfredo avrebbe concesso di lavorare i suoi campi.
    Segno volle che il bimbo tanto atteso nacque proprio mentre il padre si trovasse nel bel mezzo dell'aratura, di sorpresa dunque, e prematuramente. La gioia fu molta, e si fece gran festa: era il 24 marzo del 1170.
    Il padre guardò il figlio, e a lui per primo, senza che questi ancora lo capisse, annunciò il nome, Domenico, a ricordo dello zio, fratello di Alfredo, morto nel corso di una battaglia contro i mori del nord Africa, durante le guerre d'espansione del Regno di Castiglia.
    Nelle intenzioni dell'onesto contadino, questo doveva ricordare al sangue del suo sangue la follia di lasciare la propria casa e la propria terra per altri sogni.Era l'unico insegnamento che si sentiva davvero di dare, e da uomo concreto lo diede subito, così mettendosi il cuore in pace, intanto che quell'esile bruco mettesse su braccia abbastanza forti.
    Lasciò alla moglie, Angelica, la cura delle altre pratiche, ed ella si prodigò non solo per dare a Domenico l'alfabeto e la dimestichezza nel calcolo, ma anche per fare entrare in lui la fede, nella maniera più naturale possibile. Solita era addormentarlo con la preghiera, e solito lui addormentarsi pacifico e sereno.
    Ma la vera catechesi la ebbe da Francisco de Izan, un lontano cugino, diacono in Burgos, il quale lo preparò al battesimo. Nel corso di queste lezioni, Domenico diede prova di avere enorme e squisito talento per la questione teologica, che lo portò a leggere e studiare con passione sempre crescente i Libri delle Virtù, dopo aver acquisito, straordinariamente, l'utilizzo della lingua latina.
    Il figlio della Provvidenza non sembrava essere nato, nel disegno dell'Altissimo, per la Provvidenza delle messi, ma per ben altre celebrazioni dello Spirito. Domenico fu segnalato al Parroco locale, per la sua indole, già all'età di dieci anni, e non passò molto, che persino il Vescovo s'interessò al suo caso.... rivolgendosi a lui come rivolgendosi ad un piccolo monaco.
    Intanto, però, gli arrosti domenicali, che il padre Alfredo ormai non faceva più mancare alla famiglia, fecero di Domenico un bambino tosto e forte. E fu allora che il padre lo ritenne pronto per staccarlo al mondo dove l'aveva lasciato e per portarlo nel suo. Non fu certo il fanciullo a lamentarsi di quella decisione, che in fondo conosceva da tempo, ma che in coscienza sentiva non essere la scelta di un destino già deciso.
    Purtuttavia, Domenico, ancora piccino, dimostrò di ben comportarsi nel lavoro della terra, con buona soddisfazione del genitore, il quale pensò d'aver finalmente ottenuto la ricompensa per le tante sue fatiche.
    Quel breve periodo della vita del Santo non è da considerarsi meno formativo di altre fasi, benchè rappresenti di certo un passaggio minore della sua intera vicenda umana. Il tempo dei campi impegnò Domenico per un intero anno, e in lui fece maturare, come si maturano i frutti, l'idea del ciclo delle stagioni, del rinnovarsi e del perire, per ridare sempre e comunque nuova linfa di raccolti. Grato si ricorda il fanciullo ringraziare nel corso delle celebrazioni eucaristiche, per ciò che l'Altissimo dona all'uomo, in virtù dell'impegno.
    Di fatto, ciò che egli andava intendendo del lavoro era concezione assai diversa da quella del padre... in esso sapeva infatti scorgere la potenza di Dio sul creato, e il motore che muove le cose, di cui l'uomo è soltanto un ingranaggio, una parte necessaria dell'ordine stabilito, ma tanto più necessaria quanto più ispirata dall'alto. Col tempo, Domenico avrebbe saputo spiegare con la scienza, ciò che ora apprendeva dall'esperienza: avrebbe cioè dimostrato come tutto sia in fondo il trasmettersi di cause ed effetti, che a loro volta divengon cause d'effetti. Anticipando ciò che in seguito l'ordine suo andrà intendendo della natura della fede... che essa aggiunge un pezzo alla ragione, nel momento in cui la ragione ha raggiunto il suo picco nell'indicare, senza definire, la Causa prima di tutte le cose. Di questo tragitto, che dal bambino ci farà scorger lo Santo, andiamo ora a raccontare.
    La vita di Domenico cambiò nel corso dell'inverno 1181, un inverno come tanti in Burgos, che tuttavia doveva portare costui molto lontano dalla famiglia. Nel mondo contadino, l'inverno è il tempo del riposo. Tutto sembrava rallentare, anzichè darsi scossone. Domenico amava sentire la vita nel vento fresco, e adorava contemplare l'incanto dei campi innevati... Da qui, forse, la successiva scelta del colore bianco, per sè e per i propri fratelli, a ricordo della stagione che cambiò la sua intera vita da qui in avanti.
    Nel mentre lento di quelle giornate, giunse un giorno il Diacono Francisco, con una lettera per la famiglia Manguz.
    Tale epistola arriva a noi oggi intatta: oltre ad essere fonte storica inestimabile, è prova dello sguardo vigile della Chiesa sui suoi figli, et in particolare coloro che si distinguono per la nobiltà dell'animo, e per chiaro senso della vocazione... in secula seculorum.

    Citation:
    Burgos, XX Gennaio, Anno Domini 1181,

    All'attenzione della famiglia Manguz,

    Figli cari,

    gioite, perchè la grazia dell'Altissimo vi ha benedetto.

    Da tempo il vostro Domenico è sotto la nostra attenzione nascosta, ma non per questo men vigile.
    Noi conosciamo il significato del Suo sorriso silenzioso.
    Noi conosciamo il motivo della Sua arguzia.
    Noi conosciamo la ragione della Sua obbedienza.
    E riconosciamo, in lui, la mano profonda della Provvidenza.
    Sappiamo ch'egli non è fatto per il semplice lavoro dei campi.
    Sappiamo che potrà dare gran prova di sè davanti a buoni Maestri.
    Sappiamo che ad alti compiti è destinato.
    E ci auspichiamo che possiate affidarcelo, per poterne seguire più da vicino la sua crescita.
    Per la qual ratio...
    La Santa Ecclaesia

    Si impegna a provvedere al cibo materiale e spirituale che sarà necessario a fare, di questo frutto della terra, un astro splendente.

    Attendiamo Domenico a Valencia, dove potrà cominciare i corsi di formazione teologica, col primo sole della Primavera.

    Pax Vobiscum

    Sua Eminenza Alberto Vescovo Mendoza.


    La Chiesa aveva osservato dunque tante cose del piccolo Domenico, ma quello che non aveva considerato era il <<lutto>> che avrebbe provocato quella perdita.
    Angelica dovette adoperarsi enormemente per placare l'animo del povero marito, che sentiva come se gli sottraessero il figlio dalla mani, nella voce inesatta di tutti i suoi sacrifici.
    Ma quando il primo raggio di sole sciolse il primo fiocco di neve, a Burgos, fu proprio Domenico a guardare il babbo negli occhi, e a placare la sua ansia.
    "Padre", gli disse, "Credi forse che il disegno di Dio fatto possa essere per arrecare offesa all'uomo? Sei talmente preso da te stesso, che non ti sei nemmeno accorto della condizione di mamma... lo dicono i suoi occhi che avrai una nuovo erede" .
    Codesta la sintetica risposta:

    "Questo qui lo chiamiamo Alfonso, come me, a scanso di equivoci!!!!

    E tu, Domenico, vedi di prepararti subito il sacco, che devi partire!


    Era una bella giornata di primavera, a Burgos... il Diacono Francisco de Izan si presentò in casa Manguz di buona mattina all'alba, trasse il bimbo con sè, e lo accompagnò alla volta di Valencia, in quello che doveva essere il primo viaggio della sua breve vita.

    Anni di Formazione

    Tra le Scuole Benedettine in Ispania, quella di Valencia era la più vicina allo studio teologico... pur senza dimenticare altri ambiti, quello filosofico, quello scientifico e tecnico, quello storico e politico, quello filologico.
    Ciò si doveva all'erudizione di alcuni Maestri francesi, qui giunti dall'appena nata Università di Parigi, nota per quello che andava chiamandosi "Scolastica". Bizzarri alcuni di loro, c'era anche chi aveva dedicato la vita a ricercare della creazione del cavolo, ritenendolo ben più elevato spiritualmente di una semplice cipolla; invero teoria, questa, alquanto controversa e contrastata.
    Erano presenti ovviamente corsi superiori di Dottrina, ma una qualche speciale cura veniva rivolta all'istruzione dei giovanissimi, raccolti qua e là sul territorio, primariamente per dovere di carità ai poveri, e secondariamente per desiderio di aiuto alle menti.
    Domenico non fu inserito nelle classi come un prescelto, ma con la calma di chi sa attendere il genio. Nota era in zona l'arte dell'orafo, che scorge lo metallo infra la pietra.... senza per questo non intimorire la propria azione di pulitura evitando lo scalpello.
    Non certo i fasti e la forza delle altezze romane si respirava qui. Ma un poco di quel mondo che s'andava aprendo, al di là del mille, inducendo i primi a spostare radice, si percepiva alquanto.
    Invero fu un alemanno il maestro preferito di Domenico, non solo per la sua bonaria pedagogia, ma per le pronte intuizioni: corrispondeva egli al nome latinizzato di Frate Commentius, una sorta di Aristotele biondo che di certo molto aveva appreso approfondendo le situazioni e gli argomenti del Liceo antico.
    Da lui, nei sette anni che seguirono, il futuro Santo apprese la minuzia dovuta all'analisi di un testo, la maniera efficace del ricordarlo a mente, i modi di assorbirlo e digerirlo, e quelli più avanzati di approfondirlo nella critica.
    Fra i rapporti significativi di questo periodo, ricordiamo anche un certo Fidelius Mendoza, della Casata Mendoza, la stessa cui apparteneva il Vescovo di Burgos, quello zio che l'aveva a Valencia trasmesso affinché potesse comprendere la vita al di fuori dei privilegi della nobiltà.
    Fidelius, un dodicenne sbarazzino, cui la vita aveva dato tutto, estraneo al lavoro delle mani, fu il primo vero amico di Domenico... ma il legame si rafforzò solo negli anni. La diversa estrazione sociale gravava pur sempre il peso sulle loro spalle, che all'inizio non si capirono affatto, come chi parla diversi linguaggi, pur adoperando una stessa lingua.
    Due concezioni della nobiltà li dividevano: se l'uno considerava la nobiltà dell'anima, l'altro credeva soltanto nella nobiltà dei blasoni. In quel periodo, Domenico cominciò ad indossare un saio nero, molto misero e povero. Fece notare come dentro l'abito continuasse ad abitare saggezza e verità. Quando poi Fidelius s'accorse che il rispetto degli altri nei confronti dell'amico non s'era affatto spento, ma anzi, andava rafforzandosi, finalmente capì. Da allora in poi quell'amicizia può ben dirsi sia stata benedetta dall'Arcangelo Giorgio: Fidelius insegnò a Domenico come trattare con i ricchi, Domenico insegnò a Fidelius come trattare i poveri.Al termine degli studi, l'Altissimo disegnò per loro strade distanti ma parallele.
    Quando Domenico lasciò la Scuola di Valencia aveva 18 anni, e già veniva chiamato Dottore, per la sua splendida ed enorme erudizione. Chi meglio lo conobbe, ha testimoniato di una sua massima, che possiamo ritenere la sintesi del percorso svolto fino a qui: "Nessuna fede è possibile senza la ragione o senza il cuore... ma mai la ragione deve agire senza il cuore, e mai il cuore deve agire senza la ragione"


    La giovinezza:

    Domenico è noto ai devoti per il sentimento di compassione che fin da giovane gli ispirò la sofferenza altrui. Si racconta che nel 1191, durante una carestia, vendette quanto in suo possesso, inclusi i suoi preziosi libri miniati, per dar da mangiare ai poveri.
    Raggiunta la maturità, seguì senza indugio la Via della Chiesa, che dal Diaconato porta al Sacerdozio. Già per lui erano pronti alti incarichi, soprattutto diplomatici, essendogli riconosciute indiscusse capacità non solo nell'arte oratoria, ma anche nella comprensione dell'animo umano.
    Il giorno che fu ordinato da Mendoza, ora Cardinale, un gruppo di corvi solcò il cielo, seguito da uno stormo di colombe; il popolo diede diverse interpretazioni a questo strano fenomeno: qualcuno pensò che dove fosse passato Domenico la sventura si sarebbe trasformata in quiete, qualcun altro che in ogni male, la fede porta del bene, taluni persino che il nero attacca, e il bianco difende, e altri ancora, semplicemente, che stava arrivando il periodo dei raccolti, ed era meglio piantare gli spaventapasseri. Ma tutti pensarono al miracolo.
    Già Domenico era a servizio della Cattedrale di Valencia quando, quel giorno che fu ordinato, sfamati e strigliati, fuori dalla Chiesa, due ronzini attendevano lui e il Cardinale per un lungo viaggio, che li avrebbe portati nelle Terre del Nord, per conto del Re di Castiglia, il cui figlio era destinato sposo della Principessa di Danimarca: matrimonio, questo, che si voleva benedetto. Qualcuno avrebbe affermato più tardi che, in seguito a quello sposalizio, sulle tavole di Spagna e di Danimarca, non sarebbero più mancati né carne né pesce.
    Presto il Cardinal Mendoza fece ritorno in Patria, recando seco la Principessa Sirena, ma Domenico ottenne di restare, volendo portare un poco di predicazione a quelle genti che l'Altissimo gli aveva messo davanti. Nei successivi cinque anni, dal 1193 al 1198, si prodigò affinché la Chiesa prendesse là corpo, e la fede si rinvigorisse. Noto ci è un piccolo trattatello sulla pesca, che Domenico si dilettò a scrivere osservando gli usi e i costumi di quel popolo marittimo. Contemporaneamente insegnò le tecniche di raccolta dei campi, che aveva appreso già in tenera età. La prosperità che gli fu riconosciuta portò molte conversioni, poiché dai frutti si imparò a vedere la mano di Dio. "Fatevi raccogliere dall'Altissimo, come la rete raccoglie i pesci, e sarete cibo spirituale" soleva dire a chi incontrava. Domenico si era dunque ben stabilito presso le comunità locali, e godeva di grande riconoscenza... e molti crederono che ivi si sarebbe trasferito stabilmente.
    Finché, però, non fu raggiunto da una notizia assai dolorosa. Venne infatti avvisato delle brutte condizioni di salute in cui versava il padre Alfonso, e perciò la Chiesa gli concedeva di far rientro in famiglia, per l'estremo saluto e per le eventuali esequie.
    Il Sindaco di Copenaghen gli mise a disposizione il migliore dei suoi destrieri, e tutta la città espose alle finestre pennacchi a lutto. Velocemente, Domenico partì.
    Quando raggiunse Burgos, entrò nel piccolo paese quasi da forestiero, dietro la lunga barba che s'era fatto crescere e per le corrucciate rughe che gli solcavano la fronte, un poco confondendo i tratti originari. Solo sua madre riuscì distintamente a riconoscerlo, ed ella subito l'accolse in casa, e lo portò al capezzale del Padre.
    Francisco de Izan ci racconta delle ultime parole che Domenico lasciò al genitore morente:
    "Padre mio, anche la più dura roccia si piega alla pioggia e al sole, che eternamente ci colpiscono. Grande è stata la tua fede nelle tue mani callose, e nel lavoro della Terra. E' giunto per te il momento di cambiare... Rivolgi ora la tua fede al Cielo, e sarai salvato per sempre. Addio, sei stato un buon uomo, dopotutto, e molto ho imparato da te."
    Queste parole chiudono la giovinezza di Domenico, e lo rendono consapevole della vita e della morte. Quando le pronunciò, suo fratello, Alfonso Jr Manguz, insistentemente si trovava nei campi, al lavoro. I due si osservarono a distanza, e fu quello il modo in cui si conobbero, e in cui si lasciarono.

    La maturità

    Chiaro era come Domenico appartenesse alla Chiesa, e come ad essa la sua vita fosse dedicata. Di certo non lascia indifferenti tornare ai luoghi natii e riscoprire le proprie radici, e soprattutto gli occhi teneri di una madre, e quelli morenti di un padre. Ma lo Nostro Frate fu sempre consapevole di appartenere ad un altrove, e di aver molto da fare per la Vigna del Signore. Conservò, di Burgos, il ricordo, ma non vi fece più ritorno. Riprese invece il suo viaggio, con l'intento di tornare in Danimarca, fra quella Comunità che riteneva la propria.
    Ma questa volta gli fu anche chiesto di fare sosta nella Francia meridionale, per decisione addirittura del Sommo Pontefice, che molte energie stava allora spendendo per spegnere i focolai pagani divampati in quelle zone. Ciò che doveva essere un breve passaggio, durò in realtà dieci anni, tanto gli costò il compito della conversione. Il Vescovo della zona lo nominò predicatore del Regno: egli sosteneva che un Prete dovesse versare tutta la vita per la diffusione del credo aristotelico e per combattere le eresie, punendo coloro che non osservavano il Diritto Canonico.
    L'azione di Domenico fu così efficace che presto assunse il ruolo di Missus Inquisitionis. E come tale fu convocato, nell'autunno del 1211, a Roma, per fare il punto della situazione e per esporre il proprio pensiero relativamente all'opera sua.
    Qui Domenico si fece certamente notare: il Papa lo stimò subito per la sua grande conoscenza dei testi sacri aristotelici e per il grande fervore spirituale che lo muoveva. Ma soprattutto lo mosse l’idea di creare un ordine religioso che comprendesse due tipi di vie al suo interno:

    - una itinerante, per chi desiderava andare nel vasto mondo per la conversione degli infedeli e per soccorrere i poveri
    - una conventuale, per chi con lo studio dei testi desiderava contribuire alla crescita culturale della propria Diocesi, insegnando nelle Università, dirigendo i seminari, ma soprattutto dipanando ciò che anche nel sapere è insidia.

    Il discorso che Domenico fece presso la Santa Sede è agli atti nei segreti archivi. Trapela però che quel giorno, in cui parlò, una luce lo colpì, che quasi si vide il riflesso della sua anima benedetta.
    Terminato il Concilio, a Domenico fu finalmente concesso di tornare in Danimarca, per scontare i suoi giorni. Appena giunto a Copenaghen capì che tutti ancora si ricordavano di lui, e che la sua fama era quasi leggenda. Gli era stata persino dedicata una Piazza, con un busto in mezzo. Attorno, i campi crescevano rigogliosi, e mai s'era visto a memoria d'uomo tanta abbondanza di pesci nelle reti che venivano lanciate a mare. Ma soprattutto era nata una piccola Associazione di uomini e donne, dediti a tramandarne il ricordo e diffonderne il pensiero. Pian piano, dacché Domenico giunse in città, costoro presero i voti, e cominciarono la vita religiosa regolare. Gli anni passarono in questo modo tranquillo e glorificato da Dio: le certezze di Domenico si fecero sempre più solide, a man a mano che vedeva la Comunità crescere, e soprattutto i giovani entusiasmarsi e accendersi per la fede.
    E dunque cominciò a sentire chiara la vocazione di creare un Ordine ben preciso, ispirato a quanto la vita gli aveva insegnato. Scrisse dunque al Pontefice quanto segue:

    Citation:
    "Copenaghen, XV Ottobre Anno Domini 1218

    Vostra Beatitudine,

    non sempre ci è chiaro il disegno che l'Altissimo ha predisposto per noi, ma col passare degli anni esso diventa certamente più presente ed intelligibile. I segni che Egli ci dà non diventano, allora, solo evidenti alla nostra coscienza, ma persin nelle cose e nelle genti.
    Grato sono a Dio per ciò che vedono oggi i miei occhi, ed il mio cuore giubila nel considerare quello che la mia vita è stata, strumento nelle Sue mani. Ora considero l'accaduto come fosse il segno efficace della Provvidenza, e intendo completarne l'ultima sfumatura.
    Ciò che dissi a Roma, che nel mio ragionare fu pura costruzione intellettuale, un Castello della rettorica, io lo vedo già realizzato qui, nella mente e nei cuori di questi miei Fratelli, i quali mi hanno seguito nella vita religiosa, chiedendo una guida non solo per ora, ma anco per il domani.
    Et perciò vi chiedo di considerare lo Stato Nostro, e di ufficializzare la REGOLA che è nata nelle nostre mani e attraverso le nostre preghiere.
    Vi invio dunque il Testo che governa la nostra vita oggi, sperando che gli diate approvazione.

    Vostro devotissimo figlio,

    Padre Domenico.


    La Missiva non ebbe risposta immediata, ma la vita a Copenaghen continuò nel segno della fede e della devozione.
    Intanto però Domenico aveva incominciato a deperire. A chi gli faceva visita, soleva dire: "Questi sono i modi con cui l'Altissimo ci chiama a Sé... la sofferenza ci mette alla prova, ma un giorno saremo nella gioia assoluta"
    Quando la risposta del Papa giunse, fu recapitata a Domenico nel suo letto di febbre. Non si trattò di un assenso o di una dissenso... era piuttosto un invito a tornare a Roma per discuterne. Con difficoltà, Domenico si preparò per l'ultima missione... partendo tra i Fratelli in pianto, consapevoli che non l'avrebbero più rivisto, e persino incerti che sarebbe giunto a destinazione.
    A costoro Egli disse: "Cosa sono quelle facce! Avete forse da ridire sul disegno dell'Altissimo? Pregate Fratelli, perché se sarete devoti un giorno ci rivedremo tutti nell'Alto dei Cieli"

    La morte:

    Domenico raggiunse Roma in un viaggio che durò ben due anni. Sentiva la morte sopraggiungere, e ogni sosta era estremamente dolorosa per lui, tanto che doveva attendere a riprendersi, per racimolare quelle poche forze necessarie a proseguire. Chiunque lo vide sarebbe stato pronto a giurare, comunque, che mai il Padre avrebbe rinunciato a quello che stava ora facendo.
    Il X marzo dell'Anno del Signore 1222 Domenico varcò, esausto, le porte di Roma... e qualche mese più tardi fu ricevuto dal Papa. Fece in tempo a ridiscutere della sua idea, e a spiegare nel minimo dettaglio il suo progetto ai Dottori della Chiesa che lo dovevano approvare.
    Ma il 15 Novembre del 1223 esalò sul suo letto di morte. I medici decisero di far bruciare il suo corpo, affinché la malattia non si diffondesse dalla sua decomposizione. Ma accadde qualcosa: alla prova del fuoco le carni di Domenico non bruciarono, e anzi sembrarono riprendere l'antico vigore. Ne fu dunque ricavato il cuore, che divenne reliquia, e sarà successivamente portato, per essere custodito, a Trieste, sede del primo Monastero a lui dedicato.
    La storia di Domenico e di quegli ultimi giorni, dell'impegno che mise nella missione, in ogni momento, pervase Roma, e in suo nome furono create piccole edicole votive.
    Il Pontefice che lo aveva accolto restò in carica per altri 15 anni. Il successore, che aveva sentito parlare di questo Domenico a causa di numerosi miracoli in tutto il mondo fatti per sua intercessione, lo fece canonizzare e riconoscere Santo Dottore della Chiesa Aristotelica e Martire il 15 novembre 1240, nel giorno della commemorazione della sua morte.

    LA DOTTRINA:

    - LA PREGHIERA:

    “ E’ compito fondamentale della vita di ogni buon figliolo aristotelico che sempre, in ogni momento, sia ricordato Nostro Signore, perché egli è il fine di tutte le cose, e tutto tende per natura a Lui”.
    Con queste parole incitava alla preghiera i fedeli che incontrava sul suo cammino Domenico, certo della fondamentale importanza della preghiera nella vita di ogni uomo.
    Egli insegnava a pregare il Signore e i Suoi Profeti, non solo nei momenti del bisogno, ma anche e soprattutto per ringraziarlo per Suoi Santi doni.

    -LA CONVERSIONE:

    “Ogni uomo, tanto più se ha consacrato la vita a Nostro Signore, deve sentire in sé il dovere di diffondere la Sua Parola, perché la fede non è un tesoro che va conservato avidamente, ma dev’essere al contrario aperto e offerto a tutti, perché tutti possano allietarsi e salvarsi nella Gloria del Nostro Signore”
    Domenico, che aveva ricevuto dal Pontefice l’incarico di convertire i pagani, incitava in questo modo anche i suoi “fratelli di fede” a collaborare per diffondere il Credo Aristotelico.

    -LA PUNIZIONE:

    “ E’ necessario, a volte, me malgrado, per poter aiutare nel far comprendere il cammino di Nostro Signore ai popoli che non ne hanno conoscenza, l’utilizzo di mezzi fisici, affinché la punizione dell’uno aiuti gli altri membri infedeli della sua comunità a intraprendere il giusto cammino verso la salvezza e la redenzione con Nostro Signore” .
    Con queste parole Domenico, dopo essere nominato Missus Inquisitionis, spiega le motivazioni e la necessità dell’utilizzo dei “mezzi fisici” per diffondere la Fede verso la Santa Chiesa Aristotelica.

    - LA CHIESA:

    “Ahimè, purtroppo al mondo non vi è un Regno, Ducato, Principato alcuno in cui il governo si possa dire funzionante e organizzato ala perfezione: esso, per quanto muti la sua struttura e la sua composizione, resta sempre mal funzionante. Ma debbo riconoscere, e di questo sono grato a Nostro Signore per il dono che ci ha fatto, che esiste una struttura il cui funzionamento e la cui composizione sono ispirate al divino. questa è la Santa Chiesa Aristotelica, che può dirsi incapace di vacillare”.
    Con queste parole, Domenico proclama la sua totale fedeltà alla Santa Chiesa Aristotelica.

    - LA POVERTA’:

    “ Al mondo non rimane nulla: tutto ciò che Nostro Signore dà, un giorno se lo riprenderà, Egli ha creato il mondo con le sue creature e le sue risorse affinché l’uomo ne tragga vantaggio e possa vivere e utilizzare solo ciò di cui s’abbisogna. Nostro Signore non vuole che un uomo che si ritiene giusto conserva per sé dei beni che non gli abbisognano; in realtà vi dico che costui diverrà motivo di disprezzo agli occhi dell’Altissimo, perciò vi esorto, fratelli e sorelle carissime, a tenere per voi solo ciò che vi è più necessario: non accumulate, perché ciò che il Signore dà il Signore toglie”. Domenico convinto che la povertà fosse l’elemento essenziale per mantenere un buona condotta di vita, con queste parole insegnava a seguire il suo esempio.


    LA REGOLA:

    Figli miei, dopo lungo meditare in questa mia angusta cella, ore passate a pregare l’Altissimo, il Santissimo Aristotele e il Santissimo Giosué Christos, sono giunto alla conclusione che la mia vita deve seguire le regole che ora andrò ad esporre:

    I. l’Altissimo è il mio Signore, a Lui devo la mia esistenza su questa terra e ai Suoi Profeti devo l’insegnamento della regola di vita che porterà la mia anima alla salvezza eterna;

    II. Il Santo Padre, discendente eletto del Santissimo Titus, ed il Collegio del Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi ed il clero tutto sono la mia famiglia, i miei padri e mentori, perché loro sono i prosecutori dell’opera degli Apostoli del Santissimo Giosué Christos. A loro io debbo la mia obbedienza assoluta;

    III. Coloro che hanno deciso di seguire il mio modo di vivere sono i miei fratelli e compagni, in quanto tutti siamo figli dell’Altissimo e tutti abbiamo la stessa missione;

    IV. La Conoscenza è, assieme alla Fede nella parola del Santo Aristotele, la via più difficile ma anche la più sicura per la salvezza della mia anima, quindi lo Studio e la Conoscenza sono fondamentali per la mia vita;

    V. L’Eresia è figlia dell’ignoranza. E’ mio compito, quale figlio devoto dell’Altissimo, di insegnare la retta Via a quelli che cadono tra le braccia di questa forma di ignoranza, a costo di liberare la sua anima dalla corruzione del corpo, in modo che Domineddio possa re-illuminare la sua anima;

    VI. Devo vivere con i miei fratelli in modo che la Conoscenza che uno ha possa essere trasmessa anche agli altri e quella degli altri all’uno. In questo modo, con l’ausilio della preghiera verso Nostro Signore, e solo in questo modo, si potrà raggiungere la Vera Conoscenza;

    VII. E' mio compito viaggiare per fare in modo che la Conoscenza sia il più possibile sparsa per il mondo e la Fede nell’Altissimo assieme ad essa;

    VIII. E' cosa buona e giusta che io, avendo appreso dal Santo Aristotele l’importanza fondamentale della Pace come prerogativa di vita in Comunità, cerchi di mantenerla in ogni modo, per far si che l’armonia non venga mai turbata e che l’amicizia non sia mai distrutta.

    IX. L’Umiltà quale fondamento di tutte le Virtù deve essere sempre presente nella mia vita affinché io possa con la mia vita essere d’esempio a coloro che mi seguono e questi a loro volta per gli altri.

    X. Ogni violenza rifugga da me perché io mai solleverò un bastone contro un altro fratello, perché se questi ha commesso violenza non starà a me giudicarlo, ma all’Altissimo alla fine dei tempi.

    Giorno del Santo: 15 novembre

    Reliquie: Cuore del Santo ustionato


_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:09 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Dwywai


    Nell'anno 1455, due eruditi aristotelici soprirono, in una sezione dimenticata della biblioteca di Launceston, delle pergamene, ingiallite dal tempo e rosicchiate dall'umidità, che stendevano il ritratto di una donna notevole vissuta in quel villaggio qualche decennio prima. Fu necessario un lavoro incredibile per riuscire a ricostruire, foglio dopo foglio, quello che avrebbe costituito un formidabile racconto.

    L'Epopea di Santa Dwywai, detta La Frenetica


    La sua infanzia:


    Santa Dwywai nasce nel XII secolo a Launceston, nella Contea inglese della Cornovaglia. Suo padre, Urien, il macellaio all'angolo, era ben noto per il suo temperamento collerico e bollente. Sua madre, Nyfein, era di una bellezza folgorante, senz'alcun dubbio la più bella donna della contea. La sua lunga capigliatura possedeva la delicata tinta dorata delle spighe d'orzo, mentre il suo viso splendente emanava l'odore fine del luppolo. Dwywai votava a sua madre un amore senza limiti, e aveva l'abitudine di aggrapparsi alle lunghe trecce della sua genitrice, tiracchiando le ciocche sottili e assillandola con diverse domande durante tutto il tempo che richiedevano i vari stadi della produzione della birra, che la piccola famiglia effettuava nella propria dimora. Nylein promulgava senza sosta i benefici di questa bevanda maltata alla sua cerchia, proclamava ai quattro venti gli effetti benèfici sulla salute, non trascurabili, conferiti dalla sua consumazione. Dwywai avrebbe d'altronde fatto buon uso di questa raccomandazione durante la sua adolescenza.

    All'età di nove anni, suo padre e sua madre avevano aspre diatribe, durante le quali suo padre infliggeva spesso certi servizi alla moglie colpendola specialmente con degli imponenti pezzi di carne cruda. Alcuni abitanti del villaggio furono d'altronde testimoni di scene coniugali durante le quali Urien minacciava di decapitare la moglie con un coltello da macellaio. Un giorno, Nylein scappò e si precipitò verso la landa e sparì davvero nella nebbia, senza gridare affatto. Non fu mai più rivista, gli abitanti del villaggio pensavano fosse stata divorata dal mostro della landa, che saccheggiava al momento le terre aride dell'Inghilterra australe. Alcuni affermarono pure che fosse stata la vittima del marito, che l'avrebbe rabbiosamente seguita nella nebbia.

    Turbata e afflitta per la sparizione di sua madre, Dwywai divenne subito soggetta a stupefacenti slanci di collera come, a tratti, a una levitazione intempestiva e involontaria, un notevole sintomo di depravazione. La si vide improvvisamente arrampicarsi sugli alberi durante rovesci di grandine, introdursi in dei forni di panettieri, e pure scalare, in una notte buia, durante la quale impazzava una feroce tempesta, la guglia della chiesa del villaggio, per fuggire all'ira del padre che non sopportava più. Urien non tollerava più la presenza della figlia e la spedì fuori dal villaggio, nel convento di Tarrant-Kaines, nel Dorset.


    Gli avvenimenti miracolosi di cui Suor Dwywai fu l'oggetto

    Relegata in questo convento, Dwywai si adattò nondimeno rapidamente alla vita ecclesiastica.

    Rifugiandosi nel lento processo di fermentazione della birra, raggiunse una certa mansuetudine interiore. Si racconta che durante il periodo in cui soggiornava nell'abbazia, la qualità della bevanda aumentò esponenzialmente, come se gli stessi tini fossero stati benedetti da Christos. I pellegrini del contado affluirono in gran numero all'abbazia col semplice obiettivo d'ingurgitare qualche sorsata di questo nettare divino, cosa che fu di gran profitto alla stessa abbazia. I mescitori di tutta l'Inghilterra cominciarono a recitare la sua preghiera nella speranza che le sue parole avrebbero attribuito il tocco miracoloso di cui era benedetta la birra di Dwywai.

    Benedici, Signore, questa birra deliziosa, questa bevanda dell'Uomo che hai reso possibile grazie alla dolcezza del grano: che possa costituire un salutare rimedio ai mali della razza umana; e concedici, per l'invocazione del Tuo santo nome, ingurgitando questa bevanda, la salute del corpo e una salvaguardia sicura per l'anima. Per Christos nostro Signore. Amen.

    Alcune delle suore credettero che la vendita della birra dovesse essere riservata ai virtuosi aristotelici, poiché era troppo redditizia per far parte delle loro vite ascetiche; bevevano solamente acqua per soddisfare la propria sete. Dwywai affermò che distingueva le tracce del peccato nell'acqua potabile dell'abbazia e invitò le sorelle a consumare solo birra, ma non riuscì a convincere le sue pari. Un mattino, mentre stava consegnando delle bende e delle altre provviste all'infermeria, Dwywai notò che le suore malate provenivano solo dal gruppo che rifiutava ostinatamente di consumare birra. Congiurò quindi con la badessa di far loro sorbire qualche goccia di bevanda maltata, cosa che le guarì quasi istantaneamente. Questo famoso episodio di vita monastica fu un vero miracolo poiché, Dwywai riuscì a salvare una sfilza di vite, carpendo ai grandi mali come la Peste Nera delle persone a cui aveva fatto bere dell'acqua scaldata e filtrata durante il processo di mescita della birra.

    Imparò presto a leggere e a passare gran parte del suo tempo nello Scriptorium, divorando le minute opere che la biblioteca dell'abbazia ospitava. Una delle suore più anziane le insegnò la scrittura, e lei imparò presto a imitare la sontuosa calligrafia dei grandi manoscritti, che oggi solo i vecchi benestanti possono consultare. Su dei residui di pergamena, disegnava nel suo tempo libero delle grossolane icone di Christos e Aristotele, facendo buon uso della pittura che traeva da piante diverse e argilla. La suora bibliotecaria l'incoraggiò nel suo lavoro, e le si chiese eventualmente di illustrare il prestigioso messale.

    Ospitata all'abbazia, entri i muri della quale respirava una quiete e una pienezza incomparabili, riuscì a dominare suoi istinti aggressivi come pure i suoi immondi accessi di rabbia, ritrovò la purezza e la speranza che possedeva prima della scomparsa della madre. Le sue attrattive si svilupparono, insieme al suo fascino splendente, e influivano su tutto ciò che la circondava. Quando lavorava al campo, intonando degli inni pastorali, sgorgava da lei un'aura di serenità e di sagacità celeste. Ci si fermava spesso a guardarla, assorta in una silenziosa meditazione, stupita dal suo medesimo incantp. I suoi talenti si propagarono dunque rapidamente attraverso le isole angliche.

    Durante questo tempo, in Cornovaglia, Urien batteva la landa alla ricerca di una compagna altrettanto splendente di Nyfein. A Exeter sentì parlare del fascino della figlia, e decise bruscamente di recuperarla, con ogni mezzo possibile, non volendo lesinare sui mezzi: così, inserì con cura il suo coltello da macellaio nei suoi bagagli, mentre il suo spirito feroce intravedeva già cosa avrebbe potuto procurargli sua figlia.

    Dwywai stava seminando un campo di luppolo, quando vide avvicinarsi suo padre. Corse immediatamente a rifugiarsi tra i tini di birra. Allorché Urien bussò alla porta dell'abbazia, fu accolto dalla badessa che rifiutò l'ingresso al forsennato, ma accettò comunque di convocare Dwywai per presentarle il padre. La cercarono in ogni angolo, invano, e fu molto più tardi che la trovarono, intrizzita dal freddo, nella cantina del monastero. Dwywai spiegò i suoi timori alla badessa, che acconsentì ad aiutarla nella fuga. Benché avesse generalmente evitato i bagni a causa dell'acqua, di cui aveva il terrore, ella accettò di immergersi completamente in uno dei tini di birra fresca, arrivando a superare la sua ripugnanza per aver involontariamente sporcato la birra. Questo recipiente fu poi caricato sul carretto di un pellegrino che si dirigeva verso Dorchester.

    Il tino fu laboriosamente aperto, e si arrivò a estrarre Dwywai da questo rifugio dove si era ben rinchiusa suo malgrado. Il pellegrino che trasportava questo tino, avendo da molto poco espiato i propri peccati, fu improvvisamente investito da un disperato desiderio carnale, e si precipitò verso di lei. Si narra che in in preda a un orrore religioso, Dwywai fu presa dal terrore, e morì senza neanche un grido. Durante il suo servizio funebre, la sua salma si mise improvvisamente a levitare verso il soffitto della chiesa. Il prete le ordinò di scendere, cosa che lei fece posandosi sull'altare. Non era morta, e visse a Dorchester fino al suo reale decesso. Gli orrori della sua infanzia tornarono a galla poco a poco, lontano dall'influenza calmante dell'abbazia. La puzza nauseante del peccato dei suoi vicini la disturbava talmente tanto ch'ella dormiva su dei sassi, levitava, passava dei lunghi momenti sulle tombe o si circondava pure di fiamme, pur di fuggirne.

    Considerando Dwywai un dono prezioso del Signore, accettarono le sue dichiarazioni più agevolmente di quelle delle altre suore. Gli idioti del villaggio diventarono così degli ubriaconi , con l'eccezione di due beoti che insistevano a lavarsi in dei calderoni di olio bollente. Si dice di Dwywai che trasformasse l'acqua del bagno dei più poveri e dei più sfortunati con il tatto. Così i contadini venivano risparmiati dalla peste e dalle impurità dell'acqua.

    Gli aristocratici non poterono mai accettare le sue convulsioni estatiche, ed erano particolarmente inquietati dai suoi atti di automutilazione. Quando Dwyai si attaccò alla ruota di un mulino per esserne trascinata, apparentemente senz'alcuna ferita, nell'acqua fangosa del fiume, finsero che ella fosse abitata dalla Creatura Senza Nome.

    Un boia, chiamato per liberarla dalle sue strane crisi, la fece bruciare viva. Nel momento stesso in cui egli gettò dei serpenti e degli scorpioni su di lei, si teneva all'indietro come se si trovasse in dell'acqua fredda, ringraziando e adorando il Signore, poi lanciò un grido: "Sono già abbastanza cotta da un lato, bisognerebbe girarmi, se mi si vuole preparare a puntino!"

    Durante i dieci giorni che passò sulle braci, lei se la scampò senz'alcuna bruciatura poiché aveva acquisito molta maestria con i braceri grazie agli orfani del villaggio, che avevano l'abitudine di dar fuoco all'orfanotrofio. Ella è considerata dai saggi della chiesa come quella che ha lanciato la mania per la flagellazione, nella quale i monaci fustigano il proprio dorso per liberare il proprio cilicio dalle infestazioni di parassiti.


    Le sue reliquie:

    Una notte, mentre si stava rotolando in un barile formato da punte di lancia taglienti e pungenti, Suor Dwywai scomparve all'istante per combustione umana spontanea, ancora un miracolo raccolto negli annali romani.

    Per molti secoli, le sue reliquie in levitazione nelle sale delle aste fecero alzare moltissimo il loro valore, che raggiunse il doppio del prezzo della testa di Santa Dymphna. La chiesa parrocchiale di Sant'Hasselhoff a Launceston ospita oggi l'avambraccio di questa donna illustre ("il braccio con cui mesceva i tini di birra"), fra le sue reliquie più preziose.


_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:13 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di Santo Stefano di Harding


      "Separato nel corpo in varie parti del mondo, sono indissolubilmente uniti nell'anima ...
      Vivono con la stessa Regola, con le stesse abitudini. "

    La santissima e pia vita di S. Stefano, fondatore dell'Ordine dei Cistercensi (Ordo Cistercensi), redattore della Regola Cistercense e la Carta della Carità, che in tutta la sua vita ha lavorato per lo sviluppo dell'ideale monastico sostenuto da San Benedetto.

    Opera dal Vescovo Zaguier Bovini, secondo molti testi del tempo, e scritto nell'l'Abbazia Cistercense Saint-Arnvald di Noirlac (Francia).

    Primi anni

    Santo Stefano è nato circa nel 1060 nel Dorset, parte meridionale di Albion, nella grande, antica e nobile famiglia di Harding. Si conoscono poco i suoi genitori ad eccezione del fatto che suo padre era un amministratore ammirato e amato dai suoi censuari, verso i quali egli era molto generoso. Sappiamo anche che Stefano ha ricevuto una educazione religiosa fino al punto in cui la sua conoscenza impressionò le autorità ecclesiastiche locali.

    Tuttavia, la parte di ombra sulla sua vita scompare quando Stefano di Harding scieglie la vita monastica. Infatti, da quel momento, grazie al lavoro assiduo di monaci che affiancavano il santo, molte registrazioni scritte ci permettono di sapere esattamente come si svolse la sua vita. Sappiamo che è entrato nel monastero benedettino di Sherborne all'età di 15 anni. Dopo un rapido e fruttoso noviziato, egli è stato elevato a frate da Frère Roger abate di Lisieux, dalla Normandia, e lo chiamarono cantore, dove la sua vasta conoscenza in cristologia gli fu molto utile. Stefano rimase nell'Abbazia di Sherborne, per quattro anni, pregando instancabilmente e con fervore. Questi quattro anni, li utilizzò a suo vantaggio, leggendo tutti i libri nella biblioteca del monastero e facendo di lui un grande studioso. Inoltre, dopo la morte del suo abate di Lisieux e la sostituzione di quest'ultimo con un nuovo abate, Richard de MacGroar, di origini scozzesi, era stato rapidamente chiamato dal suo superiore, che in aggiunta alle ricompensa per la sua borsa di studio, voleva fare un contropiede ai francesi che erano molto presenti nel capitolo. Infatti, l'abate MacGroar voleva internazionalizzare il monachesimo, invece di farlo rimanere una moda francese. In un certo senso, possiamo dire che è stato un precursore del concetto di internazionalizzazione e la sua influenza fu grande su S. Stefano, che ne fece un' obiettivo e un dovere dei Cistercensi.

    Tuttavia, Santo Stefano non rimase superiore a lungo, poichè l'abate lo fece nominare lettore al seminario di Winchester, fondato alcuni anni prima, come molti altri in tutta Europa, grazie alle lettere di Gregorio VII, che voleva una migliore formazione per i sacerdoti, e che fu, a suo avviso, essenziale e vitale nella lotta contro la simonia e il nicolaismo. Fu all'intreno di questo seminario che Stefano si iniziò all'aristotelismo, dottrina allora riservata ad una piccola élite di prelati e dei più eminenti teologi. L'affermazione della socialità dell'uomo fu uno shock. Stefano scoprì allora la futilità dell'ideale monastico benedettino, e tentò di riformarlo.

    Egli riuscì a fondare un ospizio sotto l'autorità dell'Ordine, che amministra da solo, perchè è l'unico a padroneggiare le nozioni di medicina, acquisite nel seminario, ma altri suoi tentativi rimangono senza seguito. Un nuovo abate succedette a MacGroar, Nicolò Aldobrandeschi di origine italiana, che non ne vuole sapere delle idee di Stefano e lo espelle da Sherborne.

    Canterbury e poi Roma

    Santo Stefano fu poi spostato a Canterbury, sede del primato degli inglesi, e viene posto sotto la protezione del nuovo arcivescovo, Baudolino di Exeter, vicino alla famiglia reale di Normandia. Stefano, elevato canonico regolare, diviene anche chierico secolare, mentre l'arcivescovo gli consegna il decanato della cattedrale. Stefano di Hardling ha ormai raggiunto i 25 anni. I teologi della città, e i suoi colleghi del chiostro della cattedrale, sono molto più ricettivi alle sue proposte di riforma dell'ordine benedettino, e si decisero a farlo attualizzare dalla curia romana. Santo Stefano si distingue per i suoi sermoni e viene elevato al rango di Signore, da parte del re Enrico II.

    Infine, il Vescovo Baudolino propose a Stefano di fare un pellegrinaggio a Roma. Entusiasta e volenteroso di approfittare dell'occasione per discutere dei suoi ideali con numerosi teologi del continente, Stefano si preparò qualcosa da portarsi appresso e prese un pò di denari prima di ricevere il bordone dopo una breve cerimonia celebrata nel coro della Cattedrale.

    Il suo viaggio iniziò con un attraversamento della Manica che fu abbastanza tranquillo secondo le parole di Stefano, e poi prese la direzione di Parigi, dove fece una rapida sosta, deluso dai teologi della città, e presi in prestito alcuni libri riprese la via Agrippa, che lo portò a Roma, attraverso le principali città italiane. A Bologna, l'università gli diede una buona accoglienza, le sue tesi non vennero criticate come invece avvenne a Firenze. Nondimeno, le condizioni meteorologiche gli erano favorevoli.

    Arrivato a Roma, si immerse nella lettura dell'opera su Aristotele. Scoprì i libri del panigirico e dell'assedio di Aornos, che divorò, ma furono molto deludenti per lui, non ci furono argomenti per sostenere le sue idee di riforma. Tuttavia, fece amicizia con l'Arcivescovo di Lione e Primate della Gallia, Ugo di Borgonga. Dopo di che, Stefano si fece notare per le sue messe, ma anche e soprattutto attraverso i dibattiti teologici che organizzava e conduceva alla Facoltà di teologia di Roma. Fu anche nell'entourage del Papa, ma il suo aristotelicismo un pò troppo marcato gli valse delle critiche, ed infine preferisce seguire Mons. Ugo, che ritornò nella sua diocesi.

    Molesme e Cîteaux

    Il passaggio attraverso la Via Agrippa si svolse senza problemi, la regione non era infestata dai Leoni di Giuda, come lo è oggi. Arrivati a Lione, Stefano fu introdotto presso Roberto di Molesme, che vide lo stesso santo e nobile obiettivo che aveva lui. In realtà, Roberto voleva anche lui riformare il monachesimo, e aveva fondato un'abbazia, l'abbazia di Molesme. Tuttavia, questo ultimo era in grande difficoltà. Fondata sul fianco di una montagna, su di una terra sterile e lontano da ogni paese, un luogo che nessuno voleva, l'abbazia cadde in accidia. Inizialmente, la proprietà era composta di capanne di rami intorno ad una cappella dedicata a Sant Hubert. Presto, la casa di nuovi monaci, fu restia all'austerità. Questi monaci, nella loro situazione disperata, non vollero seguire l'insegnamento di Roberto, ancora più drastico, e continuarono ad onorare l'interpretazione della Regola benedettina di San Benedetto. Stefano tuttavia, aveva promesso di andare ad assistere Roberto a Molesme, ma dopo un po 'di tempo, il compito si fece così difficile che Roberto e Stefano decisero di trovare una soluzione.

    I due monaci avevano un sogno, di fondare un monastero in una vera e propria terra, una terra fertile e accogliente. Ma per fare questo era necessario ottenere una concessione da un signore o di un proprietario terriero, e pochi si erano pronunciati a favore di una riforma di quello che era allora l'Ordine più potente in Europa. Tuttavia, Stefano era convinto che le sue idee, per la loro originalità, ma anche per la loro serietà, avrebbero fatto breccia presso un importante vassallo di Sua Maestà. Questo nobile, fu Renaud di Beaune. Dopo che Stefano passo a visitarlo alla sua corte, colpito dal suo intervento, il Visconte di Beaune gli offrì un terreno fertile in mezzo a una vasta foresta.

    Con alcuni monaci di Molesme, Stefano di Harding e Roberto fondarono l'abbazia di Cîteaux. Nei primi giorni, la nuova comunità lavorò per dissodare e disboscare la terra. Essi vendettero dei tronchi di legno per comperare le pietre ed abbellire l'interno della loro abbazia. Nel corso del primo anno, i monaci riuscirono a sfruttare i campi. La raccolta fu molto varia. Infatti, lungimiranti ed istruiti, Stefano e Roberto avevano organizzato le colture per sfruttare le vaste terre di proprietà dell'abbazia, vale a dire che coltivarono il più possibile. Con la tecnica della rotazione delle colture, i monaci furono in grado di raccogliere una grande quantità di ortaggi, ma anche di grano, e quindi farina, i fratelli panettieri trasformarono il grano in pane ed in luppolo,in modo che i fratelli birrai potessero trasformarlo in birra ed altri liquori diversi, che vendevano, proprio come le eccedenza delle altre colture, agli abitanti del villaggio, e che permisero all'Abbazia di accumulare delle somme considerevoli di denaro o di orzo. La struttura era lì, mancava solo la struttura organizzativa per avere la Regola di uno degli ordini monastici più solidi.

    Tuttavia, gli inizi di Cîteaux non sono stati sempre facili. Ci fu della discordia nella nuova abbazia, soprattutto quando fu l'ora di decidere se il nuovo abate dovesse essere Roberto di Molesme o Stefano di Harding. I monaci si divisero in due fazioni, e il caos fu padrone di casa fino alla decisione del saggio Stefano di riconoscere suo fratello come abate, per porre fine alla disgregazione che stava avvenendo fra coloro che gia venivano chiamati Cistercensi.

    Detto questo, i monaci di Molesme vennero a Cîteaux per pentirsi, e implorarono Roberto di ridivenire il loro abate, in cambio di ciò essi si sarebbero sottomessi ai principi e le usanze di Citeaux, ed egli accettò. Stefano di Harding e Roberto completarono con successo la loro riforma del monachesimo.

    La Carta della Carità

    Dopo la morte di Roberto, Stefano fu proclamato abate per acclamazione. Poi nominò suo fratello Alberico, come priore dell'abbazia, così come del capitolo. Da quel momento, l'ideale monastico cistercense andava espandendosi notevolmente in Francia, e divenne urgente la necessità di definire le strutture di un nuovo ordine. Stefano poi appoggiò sulla scrittura di quello che dovrebbe essere il testo di base per tutti i fratelli cistercense.

    La nuova regola che enunciava i valori fondamentali dell'Ordine Cistercense: la carità, che consiste di aiutare i più poveri e la negazione e il rifiuto dell'egoismo, l'esemplarità, che è l'adesione a un codice d'onore implicito e anche di fede.

    L'abate di Cîteaux, convinto dell'internazionalizzazione dell'ordine e per un buon funzionamento di questo ultimo, redasse anche la Carta dei provvedimenti amministrativi. In primo luogo fissò le regole per la creazione di un'ordine. Pertanto, una abbazia cistercense non può essere aperta se non ci sono tre monaci stessa regione e con il consenso del capitolo dell'abbazia madre dell'ordine. La nuova abbazia diviene la figlia dell'abbazia madre. In secondo luogo, essa stabilisce la gestione delle elezioni per gli abati, e le tariffe, i dazi e lo status di ciascuna di esse.

    Santo Stefano, vuole dare alla regola cistercense un nome evocativo, e venne così battezata Carta Caritatis, o Carta della Carità, per servire il principale e più importante valore dell'ordine.

    San Bernardo e gli ultimi anni

    L'abbazia cistercense fioriva e diveniva sempre più importante, e la sua reputazione oltrepassava di gran lunga la Borgogna. La riforma cistercense interessava molte persone, ed i più rispettabili teologi monitoravano regolarmente la situazione dell'ordine nascente.

    Ovviamente, ogni anno Cîteaux accoglieva un flusso costante di novizi che venivano a vivere nella virtù, nella speranza di ottenere la salvezza delle loro anime e di raggiungere il sole. In questo contesto, un giovane nobile proveniente direttamente dalla sua regione di Digione, che più tardi divenne San Bernardo di La Bussiere, va ad integrare l'Ordine Cistercense. Come Santo Stefano, che amava, come abate, ammirare il suo successo, San Bernardo aveva brillantemente superato il noviziato, e fu presto promosso agli incarichi più importanti e più prestigiosi del monastero. Infatti, venne anche nominato rettore del monastero, diventando una sorta di braccio destro di Alberico. Responsabile per la celebrazione degli uffici, che egli predicava ogni Domenica, le virtù e i benefici dei Cistercensi, e le sue qualità lo portarono ad essere molto ammirato, anche dalla parte del clero secolare e dalla società laica. Dopo i colloqui con il Collegio dei nobili di Borgogna, San Bernardo, che fu nel frattempo elevato a reggente di Cîteaux, volle andare da Santo Stefano per ottenere il permesso di fondare una abbazia-figlia sulla terre di La Bussiere sull'Ouche.

    Stefano falicissimo di assistere alla nascita di un secondo monastero oltre al suo che era il principale, accettò con entusiasmo. Il nuovo convento fu solo il primo di molti, e grazie alle misure adottate da Santo Stefano nel campo dell'internazionalizzazione, ma anche attraverso la conoscenza e il carisma di San Bernardo, l'Ordine si installò in Irlanda, la Scandinavia, nella penisola iberica, e così via.

    Anche se avrebbe voluto partecipare all'espansione della Ordine Cistercense, Santo Stefano potè a causa della sua età. Nonostante questo ultimo rammarico, egli rimase fedele alla regola che aveva scritto, come sempre dando prova di grande carità. A poco a poco, delegò la sua responsabilità a Alberico, che divenne il terzo abate di Citeaux, ma anche ai giovani che avevano aderito alla grande famiglia cistercense e mostrato entusiasmo e motivazione.

    Ogni giorno,lo si poteva vedere meditare nelle vaste proprietà del monastero.

    La morte

    Santo Stefano di Harding, il fondatore dell'Ordine Cistercense e redattore della Carta della Carità, morì pacificamente nella sua cella dell'abbazia di Citeaux, circondato dai suoi fratelli della famiglia cistercense, un bel giorno nel mese di maggio, mentre Alberi e arbusti della zona erano in fiore. Si piangerà molto per la sua morte, e numerose personalità, sia religiose che laiche, parteciparono al suo funerale e la sua inumazione.

    E 'sepolto nella abbazia di Citeaux, la posizione della sua tomba è segnata da un sepolcro che fu fatto da uno scultore della Borgogna. si è mantenuto il suo cuore, che si trova nel reliquiario che è stato depositato in nella cattedrale di San Giovanni Battista di Lione, la mitra, che è stata data all'Abbazia di La Busierre zull'Ouche e il suo pastorale, che venne offerto alla novella abbazia di Noirlac.

    Attributi

    Santo Stefano di Harding è spesso raffigurato in abiti da abate, con mitra e pastorale, ma spesso tenendo in mano un modello del monastero di Cîteaux, ricordando che egli è stato il fondatore. Il suo aspetto generale è piuttosto sobria, e ricorda il suo voto di povertà.

    Reliquie

    La storia delle reliquie di S. Stefano di Harding è unica. In primo luogo, la sua tomba, così come l'Abbazia di Cîteaux, sono state distrutte dalle truppe dell'Armagnac nella guerra civile che li vide opposti ai Borgognoni. Ciò che rimase del corpo del Santo fu solo il cuore, che può essere ammirato a Lione quando il Vescovo di Bouviers lo porta in processione perchè possa essere adorato dai fedeli che fanno visita alla cattedrale di Santo Stefano. La sua Mitra è stata, a sua volta, riportata a Noirlac dopo l'abbandono dell'Abbazia di La Bussiere, dove si è riunita al pastorale. Queste ultime due reliquie sono tutt'oggi a Noirlac.



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:44 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Giorgio di Lydda


    San Giorgio è il patrono della cavalleria e degli uomini d'arme, che simboleggia la vittoria del bene contro il male, la vittoria della fede sulla creatura senza nome, la forza della fede e del coraggio.

    Il Ducato e l'esercito di Lyonnais-Dauphiné ne hanno fatto il loro Patrono

    I - L'origine

    Giorgio nacque circa nel 275 DC, ovvero nell'era della Diffusione della Fede, nella Provincia della Cappadocia, in una famiglia ricca e nobile.
    Alla morte del padre, lui aveva la tenera età di dieci anni e sua madre Polychronia, lo convertì all'Aristotelismo all'insaputa del marito e lo mandò in Palestina, la sua terra natale. Là gli vennero inculcati gli insegnametni delle Virtù e della Ragione che insegnava Aristotele e dell'Amore di Dio predicato da Christos.

    Giorgio divenne grande e diventò un giovane uomo di bella presenza e dai modi raffinati. Al compimento del diciotesimo anno, decise di tentare la carriera militare arruolandosi nelle fila dell'esercito romano, per difendere la pace e gli abitanti nelle terre dell'impero. Molto presto si fece distinguere per il suo valore ed i suoi superiori lo nominarono tribuno della Guardia Pretoriana. L'imperatore in persona, riconosciuta la sua dedizione ed il suo coraggio decise di elevarlo alla dignità di Prefetto.

    II - Giorgio e il "Drago" di Beryte

    Quando Giorgio tornò in Cappadocia, dopo una campagna vittoriosa in Mesopotamia contro il re persiano Narses, attraversò la regione di Beryte, appena devastata da un'esercito di saccheggiatori sanguinari ed infedeli, guidata da un'uomo crudele e malvagio chiamato Nahf, le cui barbarie senza precedenti gli avevano fatto guadagnare il soprannome di «Drago» come in fenicio «Nahf» significava «Serpente». I saccheggiatori di Nahf si erano stabiliti nelle paludi che circondavano la città, vi sono rimasti molti anni e avevano fatto molte incursioni nelle campagne, chi cercava di difendere le campagne e i raccolti veniva infilzato direttamente da Nahf o dai suoi uomini. Per proteggersi dalle incursioni, gli abitanti decisero di offrire ogni giorno due animali per calmare la fame del Drago, ma venne un giorno in cui non v'erano più animali da sacrificare e le incursioni ricominciarono. Il Re, disperato per questa situazione, in accordo con il popolo decise di dare ogni giorno una giovane donna tirata a sorte ai briganti per calmare i loro vili appetiti.

    Passarono le settimane e i mesi, finchè non toccò alla figlia del Re, la principessa Alcyone, di essere sorteggiata come vittima sacrificale per i briganti. Fu legata per un piede ad un palo nelle paludi ed abbandonata alla sua triste sorte, appena fu sola scoppiò a piangere, e sentì un gran boato. Credeva che la sua ultima ora fosse giunta e rimase sorpresa quando si accorse che il rumore non veniva dalle paludi, ma dalla pianura dietro di lei. Alcyone si voltò e vide un cavaliere di gran stazza, vestito di un'armatura lucente ed una lunga lancia che portava il suo cavallo verso di lei. Arrivato alla sua altezza, scese da callo e si avvicinò ad Alcyone che potè così distinguere la grande croce rossa che ornava il suo mantello bianco. La principessa disse al cavaliere di allontanarsi da lei e di salvare la sua vita, ma il cavaliere rifiutò e la staccò dal palo. Disse di chiamarsi Giorgio e che aveva consacrato la sua vita al servizio di Dio ed a portare al Sua parola tra gli uomini. Per Giorgio, Nahf era un uomo pervertito e traviato dall' essere senza nome e lui aveva giurato di combattere e annientare, con l'aiuto delle Virtù che aveva appreso da Aristotele e Christos.

    All'improvviso un ruggito attraversò la palude, e comparvero centinaia di uomini vestiti di nero che cavalcavano verso di loro, avanzavano come un gigante ondulato cavalcando in colonna fianco a fianco attraverso le paludi di acqua putrida. Potavano tutti delle armature a scalare di un verde oliva e brandivano le loro spade come centinaia di ami pronti a calare su Giorgio e Alcyone. Alla testa dell'armata c'era un uomo massiccio, alto due spanne più di loro che li guardava furiosamente. Giorgio non aveva mai visto uno così brutto e ripugnante, la sua barba irsuta copriva gran parte del suo viso e si vedevano solo gli occhi iniettati di sangue attraverso l'elmo di rame. Guardava lontano per no vedere quest'orrida immagine, ma la sua risolutezza nel combattere questo infame non era diminuita. Levata la sua lancia verso il cielo e spronato fortemente il suo cavallo si lanciò al galoppo verso il «Drago». Delle urla terrificanti si elevarono dai ranghi dei briganti e come un solo uomo si lanciarono verso l'attcco del guerriero solitario. Giorgio si ritrovò al centro di un turbinio di rabbia e occhi infiammati e spade. Ovunque volgeva lo sguardo vedeva qualcuno pronto a lanciarsi su di lui, ma lui fermò il suo cavallo mentre il cerchio si chiudeva attorno a lui, spronò di nuovo il suo cavallo verso quello di Nahf. Mentre stava per essere sommerso dalla marea umana, Giorgio fece ricorso a tutta la sua forza e la sua Fede, per alzare di nuovo il suo braccio e lanciare la sua lancia nel mezzo del turbinio di uomini e di lame che erano innanzi a lui. Si udì un urlo terrificante, a cui poi fecero coro altre urla piene di panico e così come erano apparsi, i saccheggiatori scomparirono lsaciando dietro loro le armi.

    Lasciata la sua esaltazione guerriera, Giorgio vide Nahf che gemeva a terra, ferito a morte dalla sua lancia che lo aveva trafitto alla gola. Giorgio legò il capo dei saccheggiatori al suo cavallo, annerito da tutti i peccati della terra, e tornò a Beryte con la principessa Alcyone trascinando dietro di se il «Drago». Furono accolti da acclamazioni di giubilo dalla popolazione che finalmente era stata liberata da quella terribile calamità. Giorgio portò i resti di Nahf dinnanzi al Re, che si prostrò ai piedi di Giorgio, giurando che lui e tutta la sua popolazione si sarebbero convertiti alla Fede Aristotelica. L'eroe poi riprese la strada per la Cappadocia.

    III - Il martirio di Giorgio

    Pochi anni dopo, l'imperatore di Roma convocò a Nicomedia tutti i governatori delle province d'oriente al fine di comunicare loro i suoi decreti contro la disciplina del culto di Aristotele e Christos. Giorgio sentiva che era giunta l'ora di confessare pubblicamente la sua Fede, distribuì i suoi beni ai poveri e affrancò gli schiavi, poi prese la sua strada verso Nicomedia per la corte imperiale. Si presentò nel mezzo dell'aula e rimproverò all'Imperatore di aver versato il sangue di innocenti fedeli del culto Aristotelico. Stupefatto, l'imperatore interrogò Giorgio sulle sue credenze. Giorgio rispose che lui credeva ad un unico e vero Dio, Colui che Aristotele e Christos avevano professato, ed era questa convinzione che lo aveva spinto senza paura, a rivolgere la sua denuncia verso il Sovrano.
    L'imperatore, temendo disordini, propose a Giorgio di coprirlo di onori se accettava di sacrificare la sua fede al culto imperiale.
    Giorgio rifiutò e rispose:
    "Il tuo regno e corrotto e sparirà velocemente nella nebbia lunare, senza procurarti alcun profitto, ma coloro che offriranno un sacrificio di lode all'Altissimo siederanno con lui per l'eternità nel Sole!"

    L'Imperatore ordinò alle sue guardie di colpire Giorgio e lui risentì del colpo. Il sangue comincò a scendere a fiotti ma Giorgio non rifiutò di abiurare la sua fede. L'imperatore lo fece mettere in prigione, con una grossa pietra sul petto, ma il giorno dopo, quando fu portato davanti all'Imperatore, l'eroe continuava a rifiutare con la stessa fermezza, l'Imperatore lo fece attaccare su di una ruota sospesa su lame affilate e lo fece girare. Le lame lo tagliarono un migliaio di volte, tranciarono a martorizzarono la sua carne, ma Giorgio rimaneva inflessibile, superando il dolore grazie alla Fede e all'Amore di Dio. Dinnanzi a tanto coraggio, due soldati si inginocchiarono e professarono la loro fede all'Aristotelismo e vennero subito decapitati. L'imperatrice si dichiarò anch'ella aristotelica e venne rinchiusa nel palazzo.

    L'Imperatore ordinò che Giorgio fosse gettato in una fossa di calce viva. La calce attaccata alle sue carni, bruciava atrocemente il suo corpo, i vapori nauseabondi entravano nel naso e lo soffocavano ma, ancora si rifiutava di abiurare la sua Fede. La folla in ammirazione dinnanzi alla forza senza limite cominciò ad acclamarlo e si mise a lodare il Signore e i sui Profeti. così fu forzato a camminare con delle scarpe piene di braci ancora rosso vivo, ma Giorgio trionfò ancora grazie alla sua Fede.

    Il giorno dopo, l'imperatore fece comparire Giorgio al tempio di Apollo, alla presenza di una folla considerevole. Fingendo di voler fare un sacrificio in onore della divinità, Giorgio entrò nel tempio e si mise con le spalle verso l'idolo. L'essenza stessa dell'accidia di queste statue viventi, alla presenza di San Giorgio ed alle sue parole si ruppero in pezzi, lasciando fuggire un putrido odore che scomparve con un sibilo. I sacerdoti e i pagani allora cacciarono Giorgio con grandi grida, e lo rimandarono a palazzo, l'imperatrice uscì, fendendo la folla e gridando: «Dio di Giorgio, vieni in mio aiuto!» e cadde ai piedi del Santo. Il tiranno non poteva più contenere la sua rabbia, con il cuore indurito da tanti anni di empietà e crudeltà, e li fece decapitare tutti e due. Ma alla vigilia dell'esecuzione, l'imperatrice donò la sua anima a Dio nel carcere, e riuscì a morire in pace il giorno successivo.

    Il giorno giunse, Giorgio si recò nel luogo dell'esecuzione, seguito da una gran folla. Rese grazie a Dio, a Aristotele e Christos per tutte le loro benedizioni e chiedendo il loro aiuto per tutti coloro che invocano con fiducia la loro intercessione nei secoli dei secoli, e inclinato il collo sotto la spada pertì per portare nel Sole i trofei della gloria eterna. In quel momento una grande luce si vide sulla piazza man mano che la sua anima raggiungeva la gloria e la vita ererna che l'attendeva.

    In conformità alle raccomandazioni del Santo, la sua preziosa reliquia fu trasportata dal suo servo nella sua patria, Lydda in palestina, ove si registrarono innumerevoli miracoli nella grande Chiesa costruita in suo onore.

    Simbolismo

    Egli è tradizionalmente rappresentato a cavallo, spesso in bianco con un drago ai suoi piedi, con indosso l'armatura, una lancia in mano, portando uno scudo ed una cappa d'argento con una croce rossa. La lancia e la croce rossa su una d'argento sono il simbolo più comune.

    Il drago è una rappresentazione di Nahf, il capo persiano dell'esercito dei saccheggiatori che hanno devastato Beryte e che San Giorgio ha sconfitto per salvare Alcyone e liberare il popolo. Questa immagine ha la sua origine nel nome stesso Nahf che significa «Serpente» in fenicio e che è stato soprannominato «il drago» dagli abitanti della Beryte perchè causava caos con la sua crudeltà. Gradualmente, il simbolismo di questa vittoria evolve, soprattutto dopo il martirio di San Giorgio, il drago divenne un'allegoria del vizio, e la vittoria di San Giorgio diventa quella dela Fede sul male.
    Vittoria ancora più importante e dal significato ancora più forte, in quanto porterà luce nel regno di Beirut, che si convertirà all'Aristotelismo grazie a Giorgio di Lydda.

    Festa

    E' festeggiato il 23 aprile

    Le relequie

    Il cranio di san Giorgio a Lydda (Paletina), della sua armatura non si conosce la sorte, come la lancia con la quale trapassò Nahf, uualmente perduta



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Jeu Juil 27, 2023 11:50 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Gennaro




    I - La nascita

    Gennaro nacque nell'anno di Grazia 27 a Torre del Greco, un piccolo borgo di pescatori che si affaccia tutt'ora sul Mar Tirreno.
    Sono anni bui per le popolazioni campane, martoriate dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio.
    Le condizioni di vita e sanitarie pessime fanno si che Gennarino come verrà chiamato in età infantile per il suo corpo esile e minuto, rimanga orfano di madre sin dalla nascita. Ella infatti muore di parto. Il padre del futuro Santo, come tutti i giorni era uscito in mare. Quando tornò a casa, al tramonto, apprese la terribile notizia dalle donne del paese: sua moglie era morta e c’era una bocca in più da sfamare. Complice la giornata di pesca poco fruttuosa, decise di abbandonare il pargolo fuori dalle mure della città. Qui Gennaro venne raccolto da una pia vedova senza figli di nome Marcella che lo portò nella sua residenza di Napoli.

    II - L’infanzia

    La donna nutrì subito un profondo affetto per il piccolo: lo accudì e lo crebbe come se fosse suo figlio, quel figlio che non ha mai avuto. Inoltre Marcella, grazie all'indennizzo per la morte del marito - perito anni prima in guerra -, poteva acquistare senza problemi quanta farina volesse quindi il pane non mancava mai visto che la vedova possedeva un piccolo forno a legna. La donna era spesso solita anche preparare il pane per tutti quei poveri che non potevano permetterselo, essendo per molti proibitivo il prezzo della farina - che ogni giorno saliva sempre di più a causa dei vari cataclismi che colpivano la Campania - il che l'aveva reso Marcella molto amata in tutta la città di napoli. Inoltre, ogni mattina ella si trovava sempre fuori casa un cesta piena di pesce che qualcuno lasciava la notte senza dirle nulla. Tutto quel pesce lo fece diventare molto intelligente.

    Quando il Santo raggiunse l'età degli studi, Marcella che sognava per il suo figlio adottivo una splendida carriera nel foro partenopeo lo fece studiare presso un famoso avvocato del paese, tal Lucio, che a tutti gli effetti fu suo mentore.

    III - L’incontro con Tito

    Essendosi la sua madre adottiva ammalata di tisi, Gennaro, che ormai aveva finito il suo apprendistato, e Marcella decisero di partire per Roma. Ivi, gli aveva detto un medico al futuro Santo, si trovavano infatti sorgenti solforose, esattamente nei pressi del Tevere, grazie alla quali la donna sarebbe di certo guarita. Così ogni mattina il giovane accompagnava sua madre a queste terme e poi mentre lei passava lì le ore che abbisognava per sanarli egli raggiungeva il foro romano per migliorare nell'avvocatura. Qualche volta però si metteva sulle pietre poco distanti dalle terme per studiare ed essere vicino alla madre allo stesso tempo, il suo mentore gli aveva lasciato molti libri da studiare ed era molto difficile, in quei giorni, non vederlo immerso in qualche lettura di giurisprudenza.

    Fu proprio mentre leggeva che incontrò Tito. Lo vide avvicinarsi ai malati delle terme che si curavano nelle acque termali e gli esortava a confessare i loro peccati all'Altissimo e seguire le parole dei due profeti, Aristotele e Christos, se avessero voluto raggiungere il Paradiso Solare. I malati vennero rapiti dalla religione aristotelica. Gennaro rimase affascinato da quell'uomo e dalle sue parole cosi carismatiche e sagge.
    Un giorno Tito si avvicinò a lui, gli disse semplicemente:
    “Il mio nome è Tito, sono stato il compagno di viaggio di Christos, il Secondo Profeta, e sono un suo Apostolo.”
    Dopo essersi presentato chiese a Gennaro: “Vi vedo ogni giorno qui alla fonte intento sulle vostre letture, siete uno dei romani che raccolgono prove per giustiziarmi?”
    Gennaro spiazzato dalle parole di quell'uomo e incredulo rispose: “Non sono qui per voi, sono qui per mia madre, sta molto male e le sono vicino nella sua malattia. Il mio nome è Gennaro.”
    Rasserenato l’Apostolo continuò: “Scusatemi se vi ho importunato con una domanda talmente diretta ma non ho potuto far a meno di notare che state leggendo il libro delle accuse e delle pene in vigore … Ho temuto che steste preparando la requisitoria per la mia accusa.”
    Gennaro comprese l’equivoco e sorrise alla serenità e alla semplicità di Tito e si offrì, in caso di processo di difenderlo da qualunque accusa gli venisse mossa. I due divennero ben presto amici e Gennaro unì allo studio della giurisprudenza lo studio della parola del Signore e si convertì. Fu proprio Tito nei pressi della fonte solforosa, a battezzarlo e ad introdurlo nella Comunità Aristotelica.
    Iniziò ad andare a pesca insieme a Tito, Samot e Anacleto: un giorno, sulle calme rive del Tevere, discutevano tutti e quattro di pesca. Samot scherzosamente fece notare a Tito, che Gennaro molto più pratico di lui, riusciva a prendere pesci più grossi di quelli che prendeva lui e sempre scherzosamente disse: “Quando viene a pescare con noi, prende tutto il pesce che avremmo preso noi…”. Tito rispose: “Il fiume è grande, e ci sono tanti pesci. Se invece di far chiacchiere rimanessi in silenzio, prenderemmo tutti e tre, il triplo di quello che prenderebbe ognuno di noi da solo. Piu' sono i pescatori, maggiore sarà il pescato, è direttamente proporzionale.” Sia Tito che Samot si resero conto che con quella futile conversazione, avevano appena toccato uno degli aspetti cardine della Santa Chiesa Aristotelica, cioè la Diffusione della Fede: i pescatori erano simbolicamente i sacerdoti, i pesci rappresentavano i fedeli.

    IV - L’ordinazione

    In un caldo giorno d’estate, Tito, pronunciando le stesse parole pronunciate da Christos, si rivolse a Gennaro: "Vuoi unirti a noi? In questo caso avrai molto amore nel tuo cuore e mi seguirai, dandomi un po' del vostro tempo al meglio che potrai. Prendi distanza dai beni, dal lavoro, dagli attrezzi, dici addio alla tua famiglia ... Preferisci la semplicità e l'istruzione rispetto ai ricchi ornamenti e ai bellissimi gioielli. Poiché il nostro compito ci richiederà il sacrificio del bene personale per il bene collettivo, ma, in cambio, sarai accolto in santità tra i figli di Dio.
    La strada sarà lunga e tortuosa, la via accidentata, l'orizzonte remoto, la salita ardua, ma il sole che brilla sopra di noi guiderà i nostri passi. Avremo problemi, discussioni, arrabbiature, passioni, esitazioni, ma l'amore e l'amicizia ci uniranno, e Dio ci supporterà.”
    Tito accettò e fu ordinato sacerdote.

    V - Il miracolo della colomba

    Le condizioni di sua madre erano migliorate molto in quei mesi e l’autunno era alle porte. Gennaro comunicò quindi a Tito, Anacleto e Samot qualche giorno prima la decisione di ritornare a Napoli. I due erano dispiaciuti ma sapevano che egli avrebbe continuato a predicare la parola di Christos anche lontano da Roma. Aveva già preparato le valigie e si sarebbe congedato quel giorno stesso da i suoi fratelli.
    Si trovavano a pranzo assieme agli altri apostoli quando accadde un evento straordinario. Samot leggeva una lettera di Paolo sulla necessità di scegliere un capo. Una persona ricordò che Christos aveva espressamente designato Tito, ma ciò non era avvenuto all'unanimità. Tito rimase in silenzio.

    Fu allora che Gennaro aprì allora una finestra, miracolosamente entrò una colomba dentro la stanza e volò sotto le travi. L'uccello staccò delle erbe che vi erano appese che caddero sulla testa di Tito. Erano rametti di basilico, la spezia dei Re. Tutti riconobbero allora in esso un segno della regalità spirituale di Tito. Questi si alzò e disse:
    “Miei amici, fratelli, io non sono un Re! Io non sono che il servo dell’Altissimo, e tutta la potenza quaggiù non viene che dalla riconoscenza per i suoi simili.”
    Samot replicò: “Tito, tu sei il nostro Re spirituale. Tutti noi lo riconosciamo. Sei la nostra guida, la roccia della saggezza, nostro padre, il nostro papà."
    Fu così che Tito divenne il primo “Papa” della Chiesa. Nominò quindi Gennaro primo Vescovo di Napoli e lo congedò.

    VI - Napoli

    I primi tempi a Napoli non furono di certo semplici. L’organizzazione della nuova comunità non era facile ma Gennaro poteva contare sempre su Tito, i due infatti continuavano a scambiarsi numerose missive. Assieme a Desiderio e Festo, due sacerdoti che il primo Pontefice gli aveva affidato per aiutarlo nel suo compito, aveva iniziato a far conoscere gli insegnamenti di Aristotele e Christos nel Napoletano, nel Beneventano e nel Casertano battezzando molte persone e portando aiuto ai più poveri.

    VII - La fame

    Ora accadde che una grave carestia colpisse in quegli anni le terre campane. Il pane ormai era scomparso, il pesce pareva essersene andato dalle acque del golfo, la frutta prima di maturare avvizziva, le bestie si ammalavano e morivano lasciando la loro carne piena di vermi o il loro latte marcio. Ormai per le strade della città di Napoli si lottava per la sopravvivenza e il vicino rubava al vicino, il fratello alla sorella, la moglie al marito. Si diceva addirittura che alcuni si erano messi a divorare i cadaveri pur di placare la fame. La criminalità si sparse e pareva ormai che la legge fosse morta. Il prefetto di Roma, che doveva governare la città, si era rinchiuso nel suo palazzo e cercava da lì di ripristinare l'ordine, ma invano: ogni giorno sempre più guardie disertavano e a malapena né aveva per impedire che la folla impazzita assaltasse la sua residenza.

    San Gennaro però camminava per le strade della città portando conforto ai morenti e cercando di rincuorare i disperati, molti davanti al suo buon animo chiesero il battesimo prima di morire tra le sue braccia, nella speranza della vera vita là su nel Sole. E fu durante uno di questi giri che, un giorno, il Santo incontrò dei ragazzi che stavano lapidando un loro coetaneo per rubargli un misero pezzo di pane secco e raffermo.

    "Fermatevi, nel nome dell Unico Dio!" disse il Vescovo interponendosi tra i bulli e la vittima.
    "Vattene, uomo!" lo apostrofò uno dei ragazzacci "O uccideremo anche te, così ci saranno meno bocche da sfamare e potremo mangiare di più noi!". Gennaro nel frattempo si era tolto il suo mantello e lo aveva poggiato sulla schiena martoriata del povero ragazzo mormorandogli alcune parole all'orecchio. Poi si rivolse a quello che lo aveva apostrofato:
    "Che grande sciocchezza mi dici! Uccidere tutti per avere più voi? Fate pure! Alla fine vi troverete ad ammazzarvi da voi fino a che né sarà rimasto uno solo e quando uno solo rimarrà e avrà tutto il cibo del mondo che né avrà avuto? La pancia piena certo, ma poi?".
    I bulli rimasero ammutoliti da quelle parole, non sapevano che rispondere.

    "Ragazzi" disse quindi il Santo con tono gentile. "Smettete di coltivare il vostro animo con la violenza! Prendete tutti i sassi che avete ancora tra le braccia e che volevate usare per uccidere questo vostro fratello nella disgrazia e seguitemi".
    E quelli senza esitare lo seguirono. San Gennaro li condusse fuori dalla città in un campo poco distante. "Ecco, seppellite i sassi per terra, e pregate con me!". I ragazzi fecero quanto diceva il Vescovo, ripeterono le parole che l'uomo diceva e, miracolosamente, delle spighe di grano cominciarono a crescere dove avevano seminato i sassi.
    Le colsero per portale al mulino, ma ogni volta che ne coglievano subito un'altra ne ricresceva. Accumularono tanto grano da fare pane per tutti gli abitanti di Napoli e anche per i villaggi vicini. I ragazzi aiutarono per sette giorni San Gennaro a preparare il pane e poi a distribuire a tutti i bisognosi, per ogni via e pertugio fino agli angiporti. Il settimo giorno, quando ebbero finito, il Santo si rivolse a loro con queste parole: "Ecco dunque cosa succede quando si coltiva il proprio animo con la fede! Non c'è più grande nutrimento per noi."

    Era il 13 maggio.

    VIII - Il fuoco

    Le terre della Campania erano spesso funestate dal Vesuvio che molto spesso, in quegli anni, borbottava e sputava fuoco danneggiando molto spesso i campi vicini. Molti erano certi che prima o poi sarebbe esploso e che avrebbe distrutto tutte le città circostanti e impregnato l'aria di cenere e polvere, così alcuni avevano già fatto fagotto e se ne stavano partendo mentre altri che non potevano cambiar casa - per un motivo o per l'altro - rimanettero implorando e pregando gli dei pagani che li proteggessero, in cambio, infatti, sacrificavano il loro capo di bestiame più bello, e tante altre leccornie, condite con spezie pregiate e frutta esotica, e anche collane e suppellettili sacri. Gli abitanti di Napoli prendevano tutto questo e lo bruciavano sperando che il profumo dei loro sacrifici giungesse fino al monte Olimpo e accattivasse loro la benignità dei falsi dei che essi, offuscati dalla menzogne del paganesimo, credevano veri e potenti.

    Alcuni però ricordando il miracolo della fame compiuto da San Gennaro e che essendo battezzati ed edotti nella vera fede lo consideravano giustamente un Sant'uomo o chi invece, perseverando nell'errore, lo credeva una specie di stregone o un semi-dio - figlio di Proserpina, che i gentili veneravano per aver buoni raccolti - vennero a implorarlo di calmare il Vesuvio che ogni giorno si faceva sempre più minaccioso. Il Vescovo dava a loro parole di conforto, citazioni dalle parole di Christos che Tito in persona gli aveva insegnato e aggiungeva alla fine:
    "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà". I questuanti alla sua porta si facevano ogni giorno sempre di più e tutti chiedevano la medesima cosa: che il Santo fermasse il vulcano e che salvasse le città vicine ma Gennaro rispondeva sempre con parole di conforto e finiva il discorso con il suo "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

    Un dì, un'intero gruppo di uomini e donne, anziani ed adulti, ricchi e poveri venne a lui nel mentre stava percorrendo la via principale di Napoli facendoli ancora una volta tutti insieme sempre la medesima richiesta ma questa volta Gennaro rispose in modo diverso:
    "Marco" chiamò volgendo il capo dentro la bottega accanto a lui. E un uomo ne uscì: era un povero ciabattino che guadagnava appena per nutrire e vestire se stesso e la sua famiglia. "Dimmi ti piacerebbe se chiedessi all'Altissimo di fermare l'eruzione imminente del Vesuvio?" domandò il Santo davanti alle facce stranite del gruppo venuto a fargli la stessa richiesta di sempre. Il ciabattino non ci pensò nemmeno un'attimo:
    "No. Io voglio ciò che vuole l'Onnipotente perché egli è un padre benigno, ogni cosa che fa, la fa per il nostro bene.
    Se il Vesuvio non erutterà lo ringrazierò per averci risparmiati.
    Se esso erutterà e distruggerà i nostri beni ma ci lascerà in vita lo ringrazierò perché ciò che ha distrutto si vede che ci faceva vivere nel peccato senza che ce ne accorgessimo.
    Se invece il Vesuvio erutterà provocando la nostra morte lo ringrazierò perché ci ha voluto ritrarre dalla vita per portarci nella sua grazia".

    Il gruppo convenuto era esterrefatto, solo ora comprendevano ciò che Gennaro volesse veramente dire con la frase "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

    A quel punto San Gennaro disse: "Marco, prendi la sacca con sette pezzi di pane e il tuo bastone. Ti piacerebbe recarti con me ai piedi del vulcano? Lì pregheremo per sei giorni e per sei notti, il settimo giorno torneremo a casa". Il ciabattino non perse tempo, fece quello che il Santo gli aveva detto e partì con lui. Il settimo giorno tornarono entrambi in città e dal momento in cui Gennaro mise piede a Napoli il Vesuvio smise di fumare e di fare qualunque rumore, pareva essere una montagna come un'altra.

    Era il 16 dicembre.

    IX - La peste

    Una grave pandemia di peste colpì un giorno Napoli. Nessun medico pareva riuscire a trovare una cura, nessuna cura pareva dare la guarigione. Ormai Tito era morto e l'Imperatore Nerone aveva cominciato a perseguire i fedeli dalle chiesa di Christos.

    Il Prefetto della città di Napoli però, memore di quanto aiuto gli aristotelici e in special modo Gennaro avevano dato alla città, non aveva osato denunciarli all'autorità imperiale e giacché spettava a lui il compito di amministrare la giustizia all'interno delle mura ogni volta che qualcuno giungeva a denunciare un qualche aristotelico egli gli dava qualche parola gentile, assicurandolo che avrebbe provveduto, ma in realtà lasciava che tali denunce cadessero nel vuoto.

    La peste però aveva portato via anche quel buon uomo che sul letto di morte chiese a Gennaro di essere battezzato, potendo così entrare nella comunità dei veri credenti prima di giungere a mirare l'Altissimo nell'aldilà. In sua sostituzione fu mandato un altro uomo, pieno di collera e più che zelante a dare piena esecuzione alle empie volontà dell'Imperatore. Cominciò subito a dare la caccia agli aristotelici di Napoli, facendoli tutti decapitare dopo processi sommari. Sperava di portare a Roma la testa del loro Vescovo su un piatto d'argento da mostrare come un trofeo durante uno dei pantagruelici banchetti dell'Imperatore Nerone, sempre ben incline a queste amenità. Il nuovo Prefetto dovette però rimanere deluso, riusciva, ogni tanto ma non spesso, a scovare qualche adepto di Christos ed Aristotele ma non riusciva mai a trovare Gennaro.

    Molti patrizi della città che si erano segretamente convertiti lo nascondevano, infatti, nelle loro dimore usando la loro influenza e prestigio per mettere i bastoni tra le ruote del nuovo Prefetto. Il Santo dal canto suo cercava, nonostante la persecuzione, di continuare la sua opera, sopratutto ora che la peste infuriava.

    Il settimo giorno dopo che la pestilenza era iniziata, venne da lui una figlia di un patrizio di Napoli, ella si chiamava Cecilia.
    "Ave, o episcopo" lo riconobbe lei per strada insieme a Desiderio e a Festo nel mentre distribuivano del pane a dei poveri appestati che invocavano l'intervento divino perché giungesse a salvarli.
    "Ave, o figlia di Dio" rispose lui sorridendole.
    "Vengo da te per farti una richiesta".
    San Gennaro fece un cenno con la testa e domandò di quale richiesta si trattasse e appena gliela avesse fatta molto gentilmente, se fosse stato nelle sue capacità, l'avrebbe accontentata.
    "Vorrei che mi aiutaste a pregare".
    "Pregare per cosa, figliola?".
    "Pregare per avere il coraggio di accettare il volere di Dio" rispose candidamente lei. Gennaro sorrise.
    "Figliola" cominciò "Tu da sola con la tua fede hai salvato Napoli!" gli disse, lei si stupì, era troppo umile per crederlo pensò che il Vescovo avesse un eccesso di gentilezza.

    Ma Gennaro alzò le mani al cielo, recitò una preghiera e all'improvviso ogni malato della città smise di tossire e si alzò come se nulla avesse, tutti i morti nei carri destinati ai roghi si levarono come se fino a quel momento avessero soltanto dormito, la peste era sparita e una dolce luce avvolgeva il viso e le vesti del Santo davanti allo stupore dei presenti.

    Ma proprio in quel momento delle guardie passarono lì accanto e riconoscendo in lui Gennaro, il capo della setta degli aristotelici, lo arrestarono insieme a Desiderio e Festo, che si erano interposti all'arresto, portandoli tutti e tre al palazzo della prefettura.

    Era il 19 settembre.

    X - Il martirio

    Il prefetto non ci mise molto ad ammettere la sentenza. Nel suo cuore li aveva già condannato tutti da molto tempo.

    Fece quindi subito predisporre un ceppo per la decapitazione nel centro della città, la sentenza sarebbe stata eseguita il giorno stesso a sole poche ore dall'arresto e dal processo farsa. I tre Santi furono quindi condotti dalla guardie verso il luogo dove sarebbero morti.
    Durante la camminata, un povero mendicante, che era stato tra i primi a convertirsi per mano di Gennaro, chiese al Vescovo di poter prendere un lembo della sua veste per tenerla come reliquia.
    "Potrai avere il fazzoletto che useranno per oscurarmi la vista" gli rispose Gennaro sorridendo. Venne a lui quindi anche una pia donna che si era sempre segnalata per la virtù e la carità.
    "Eusebia, cara amica e figlia, va a casa tua e prendi due ampolle e con esse raccogli il mio sangue!". Giunsero quindi nella piazza centrale di Napoli. Il boia fece mettere la testa di Gennaro sul ceppo e vibrò il colpo. Proprio in quell'istante però il Santo aveva portato un dito per sistemarsi il fazzoletto sugli occhi, nel scendere la scure gli tranciò il dito. Subito dopo anche Desiderio e Festo furono decapitati.
    Eusebia, piangente, era intanto ritornata con le ampolle e le riempì del sangue del Santo come l'era stato chiesto. Venne anche il mendicante per trarre il fazzoletto, come gli era stato permesso ma proprio nell'atto di piegarsi a toglierlo dal viso del vescovo gli venne scrupolo ma all'improvviso apparve davanti a lui l'immagine di Gennaro trionfante, immerso in una luce meravigliosa.
    "Prendi pure il fazzoletto" disse al mendicante con il suo sorriso paterno. "E anche il dito. Insieme al mio sangue, saranno grande fonte di salvezza!" aggiunse prima di sparire.

    Le reliquie

    Nel Duomo di Napoli, sono ancora conservate con pia e grandissima devozione le due ampolle del sangue del Santo che sono oggetto tre volte all'anno di un'incredibile miracolo. Infatti, le settimane antecedenti al 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre il sangue - che durante gli altri dì si presenta nero e secco - torna liquido e rosso come se fosse appena sgorgano dalla testa del Santo. I napoletani riservano in queste settimane e sopratutto nei giorni della commemorazioni di San Gennaro grandi feste e funzioni sacre molto magniloquenti.

    Il fazzoletto che bendò gli occhi del Santo sul ceppo ed impregnato del suo sangue è custodito nella città di Roma, presso la Chiesa di San Giovanni dei Martiri. Mentre il dito è custodito nella Cattedrale di Arles.

    ---

    San Gennaro è Patrono delle città di Napoli e Torre del Greco, degli avvocati, degli affamati, dei coltivatori di grano e delle persone colpite dalle calamità naturali.
    Giorni di festa: 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre.
    [/i]



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:05 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Gregorio di Nazianzo







    Patrono dell'Ordine Gregoriano


    Gioventù e formazione di Gregorio


    San Gregorio Nazianzeno nacque nel 330 dopo Cristo, figlio di uno dei canonici della diocesi di Cesarea. Fin da piccolo è stato introdotto alla teologia, alla scienza della Chiesa e tutto quello che un uomo rispettabile giovane ha bisogno di sapere. Aveva una grande sete di conoscenza, e mantenuto con vigore in discussione il suo tutore, un sacerdote onorevole. Fino alla fine della sua infanzia, è rimasto confinato all'interno della famiglia, lentamente imparando a riti aristotelica.

    Come egli era appena entrato il suo quindicesimo anno, suo padre, che era destinato a prendere le ordinazioni, inviato ad Alessandria per studiare, per integrare gli insegnamenti che aveva ricevuto a Cesarea, nelle scuole di grammatici . Così, Gregorio era a bordo di una galea, che era in rotta verso l'Egitto, e ha navigato tranquillamente in acqua. La traversata era nel principio, abbastanza tranquillo, ma non appena la barca ha preso un po 'fuori, era imprigionato in un violento temporale, con l'incredibile potenza del giovane Gregorio. Quando finalmente messo piede in Alessandria, è stato disturbato dalle sue esperienze, ma lo invita a iniziare i suoi studi.

    Introdotto nella scuola di Alessandria, ha seguito assiduamente ogni corso, e ha risposto con entusiasmo alle domande dei docenti. Una volta aveva lasciato poco tempo, si raggiungerebbe la grande biblioteca e leggere, tradotto, ha studiato le opere che aveva a sua disposizione. Una sera, quando ha decifrato alla luce di una candela, un trattato medico, grida sono state sentite. La persecuzione contro gli aristotelici non era diminuita, nonostante gli anni, e che questo giorno è stato uno dei più violenti. Per le strade, i Romani massacrati uomini, donne e bambini, senza distinzione. Poco dopo, hanno bruciato la biblioteca, che ha preso fuoco e le pergamene sono stati consumati. Gli occhi pieni di paura di Gregorio, mensole cadde in un rumore infernale. Terrorizzato, ha trovato il coraggio di lasciare da parte una delle poche questioni più recenti, quando ha sentito i gemiti di una vecchia, bloccata dal fuoco. A quel tempo, non più paura vissuta, corse e prese l'uomo sulle spalle, e sono riusciti a uscire dall'edificio in fiamme.

    L'uomo che aveva salvato era incosciente e, ovviamente, feriti. Gregorio poi lo portò alla casetta dove viveva, dove ha raccolti e curati per due settimane. Con la sua conoscenza medica, è riuscito a curare ustioni alla loro scomparsa, condividendo con il suo ospite, quando si svegliò. Si nutre, gli animali da compagnia e ospitato per quasi un mese, fino a quando è finalmente completamente recuperato. Amicizia e carità guidato il suo cuore, e, aspettando senza nessun altro premio che la guarigione del paziente, la sua gioia è stata grande per vederlo.

    Il suo ospite ha completato il suo lavoro, il vecchio non era, non senza una lunga lodato e ringraziato Gregorio. Così, ha proseguito i suoi studi ad Alessandria, una sezione della biblioteca è stato salvato. Ma dopo due anni in questa città, mi sembrava una buona idea per visitare un'altra città, e poi lasciò l'Egitto per Atene. Sin da giovane, sognava di andare lì perché sapeva che era il luogo dove aveva vissuto il grande Aristotele. Il suo viaggio era molto meno tumultuoso di quello precedente, e arrivò a destinazione in modo sicuro.

    Lì, si stabilì nella periferia della città, andare lì regolarmente per studiare nelle scuole molti fondata dagli eredi di Aristotele, c'era questo per anni e anni. Ci ha imparato la retorica e vi trovarono che egli aveva trattato. Era un caldo pomeriggio in piena estate, mentre aspettavamo per il nuovo professore di storia della chiesa, è entrato il sopravvissuto di Alessandria. Gregorio, sorpreso, nessuna parola pipa e attentamente seguito il corso, poi è venuto a discutere con il nuovo padrone. Il suo nome era Scorate di Costantinopoli, e del suo incontro ha cambiato radicalmente il pensiero di Gregorio. Infatti, quest'ultimo nei suoi primi anni, era fuggito ogni responsabilità e sostegno clericale. Si sentiva pronto a guidare una comunità morale, ma prima di aver completato i suoi studi.

    Una sera tornò a casa, frugale cenato e dormito. Ma di notte è stato svegliato da sospiri potenti. Aprendo gli occhi, si alzò e andò ad ascoltare alla porta della sua casa di piccole dimensioni. Ci fu un rumore forte fuori, colpendo gli oggetti uno contro l'altro. Lo aprì, ma non vide nessuno. Gregorio si spinse la testa attraverso la fessura, e un potente soffio di vento lo ha reso violentemente dentro. Credendo che l'Apocalisse viene, si inginocchiava e pregava durante la notte. Ma il vento calmato, e ardore anche raddoppiato. Il tetto rotto e volò via, mentre il giovane schiacciato contro il muro e ha continuato a implorare il perdono di Dio. Gradualmente, però, diminuito il potere, e all'alba, una grande bonaccia erano insediati sul territorio.


    Della vita monastica e della contemplazione


    Così tornò ad Atene e disse quello che era successo a Scorate, che lo invita a vivere con lui. Hanno parlato di grandi principi e valori che sono cari a loro: la conoscenza, l'amicizia, condivisione e carità. Per molti anni, hanno vissuto bene, regolarmente discutere questioni teologiche o politiche, ma una lettera inviata ritorno a Cesarea Gregorio. Ha annunciato, infatti, nel 357 il padre aveva appena tramonta mai, e quando è entrato nella casa di famiglia, gli fecero capire che le ultime volontà del genitore come lui è stato sostituito come canonico. Lui non si sente ancora in grado, così fuggì e si unì il monastero di uno dei suoi amici d'infanzia: Basilico. Entrambi hanno continuato l'approfondimento della loro conoscenza, di vita frugale, come ogni monaco aveva per vivere.

    Questo clima di raccoglimento è stato molto utile a Gregorio perché poi scoperto che la contemplazione. Parlava poco, poi ha cercato di mettere le parole su quello che è.

    Citation:
    Nel chiostro del monastero, solo ronzio pulcini, e il vento che soffia una leggera brezza. Nient'altro disturba la meditazione del monaco saggio, fino a quando si tuffò nella contemplazione. Quindi tutto ciò che è di un materiale non esiste più, e poi accede alla verità divina.



    Ma il tempo passava, ea poco a poco, si sentiva pronto a guidare un gregge di pecore. Dopo la sua ordinazione da Basilio, ha approfittato del passaggio di un mercante di caravan e prese la strada di Cesarea, trascorrendo le notti nel deserto a meditare e riflettere. Mentre il calore del giorno era al suo apice, hanno sentito un fruscio in lontananza, e una scossa potente è venuto a scuotere la terra. Sbalzato dal suo monte, Gregorio cercò di strisciare verso un riparo, ma il potere dalla terra era grande, così rimase passiva, in attesa di tornare alla calma. Quando al più alcun movimento disturbato il deserto vuoto, si alzò e guardò il sole.

    Quattro disastri, sopravvisse quattro volte lì. Mettendo insieme come è stato i resti della carovana, in seguito alla scomparsa del leader, ha esortato ad unirsi Cesarea, dove, al suo arrivo, ha iniziato a scrivere nelle sue memorie.


    Citation:
    345 - Alessandria

    E la schiuma ha colpito lo scafo della nostra barca, non ho mai visto un potere feroce. Per giorni e notti, il legno scricchiolava e gemeva sotto la pressione. Ho implorato l'Onnipotente, ma niente ha funzionato ...
    Ho letto che ci sono quattro elementi, ma tra di loro, l'acqua deve essere sicuramente la più potente e più pericolosa.

    345 - Alessandria

    Le fiamme leccare le pareti della biblioteca, ed ero impotente su di esso. Tutto sembrava rosso come il sangue scorreva e le persone innocenti, mentre stavo cercando di sfuggire a questo inferno.
    Sapevo che l'acqua, ora so che il fuoco.

    347 - Atene

    Bourrasquent potente ha colpito la mia casa, e scosse gli alberi. Il tetto ha volato sotto la loro pressione, distruggendo la mia unica casa. E ho pensato che l'Apocalisse era venuto, come il vento era sinonimo di distruzione.
    Sapevo che l'acqua e il fuoco, ora so l'aria.

    360 - Cesarea

    Nessun suono accompagna il tremito della terra, se non un ronzio terribile di portarmi al mio stomaco contorto e con violenza. Grande fu la mia paura, perché non si può vedere il suo nemico, quando arriva alle profondità.
    Sapevo che il, fuoco acqua e aria, ora so che la terra.


    Ci sono quattro elementi visibili, ciascuna delle quali può causare il caos, ma è necessario per l'equilibrio della vita. Ma Aristotele ci dice che ci sono quinte: l'etere. Non ho mai incontrato, e quando questo accadrà, non credo che potrei scrivere.



    Dei primi anni del suo sacerdozio


    Poco dopo, divenne vicario di Nazianzo, e si avvicinò il Vescovo di Cesarea, con cui aveva rapporti di amicizia. Il vescovo vecchia lo vedevano come un simbolo della gioventù e notizie in tempo reale, ma ha anche riconosciuto la sua grande intelligenza e virtù morali, mentre il giovane Gregory visto che il tempo ha forgiato la rappresentazione di saggezza ed esperienza. I sermoni e le masse del vicario è piaciuto molto, ha sostenuto per la virtù e molto citato Aristotele. Alcuni lo vedevano come una guida perfetta, e una donna, Athena, gli chiese di guidarlo sulla retta via. Qui si trova anche una delle lettere ha scritto:

    Citation:
    Tenere la mente tutto ciò che è estraneo alla virtù e degno dei tuoi pensieri, si applicano alla pietà e tutto ciò che è buono, l'esercizio fisico ad accettare nulla e nulla è stato deciso che sul serio esaminati, fortificare, in qualsiasi momento e in ogni caso, attraverso consulenze meditazione delineato dai santi che ci hanno preceduto.

    Passare sempre la giustizia contro gli stranieri, contro gli amici, prima di risentimento e di amicizia.
    Avere per amico e compagno inseparabile per la temperanza, che deve essere profondamente e saldamente radicata nella tua anima.




    Padre morì due anni dopo, lasciando il suo allievo una lettera in cui lo assicurava della sua profonda amicizia. Gregorio addolorato per la perdita di questo grande uomo, ma sapeva nel suo interno una forte e da quello che aveva letto che le porte del cielo si aprirono al vescovo. Poco dopo, ha ricevuto una visita dal suo amico Basilio, che è stato scelto per sostituire il maestro di Gregorio, come arcivescovo di Cesarea. Infatti, per diversi mesi, un sacerdote di Gnome, non più soddisfatte aristotelismo, e convertito molti dei suoi colleghi, e lontano dalla retta via. Così, l'arcivescovo chiamato il suo amico a capo della diocesi di Sasim, dove cercò di arrendersi. Vedendo le porte chiuse, ha predicato a lungo, chiamando i seguaci di Gnome indietro sotto il giogo della Chiesa aristotelica.


    Citation:
    La metafisica è la scienza delle cause ... Ma Aristotele anche definita come la scienza di ciò che è, come è: l'essere in quanto essere. Due definizioni apparentemente contraddittorie bene ma è in questo paradosso sta la verità. Per invitarci ad andare oltre. Per la verità, se uno non è uniforme. E 'sinfonica. Invisibili a coloro che non hanno esperienza, si rivela in una apparentemente contraddittoria e dobbiamo continuare a guardare a trovarlo.



    Non avrebbe mai potuto entrare, ma questo discorso l'immunizzazione contro gli aristotelici quella di Gnome, e nessuno è mai stato convertito.


    Dell'amore per i poveri


    Poi tornò a Nazianzo, dove ha gestito le attività quotidiane della sua diocesi, ed è diventato un semplice canone. Questo cambiamento di ruolo gli ha dato più tempo libero, aveva l'abitudine di avvicinarsi alla popolazioni più povere. Così egli insegnava ai poveri le Scritture, il messaggio di Aristotele e Christos, mai scoraggiarsi e tenendo sempre la stessa fede. A poco a poco si allontanò dalla gerarchia, che sembrava a volte perverso, non accanto al suo amico l'arcivescovo di Cesarea. Ha poi scritto Of Love dei poveri, ed è diventato un semplice eremita, che vive sulla sua terra e la sua preghiera. Andò da città a città, predicando con lo stesso vigore di prima, e moltitudini di messaggio convertito al aristotelica.

    Pochi anni dopo, circa 380, l'eretico Gnome morì e Gregorio fu invitato a predicare a Costantinopoli per convertire coloro che sono stati dirottati dalla Chiesa. Si lascerà una parola che diventa famoso e il detto del gregoriano ordine

    Citation:
    "Ognuno ha una debolezza, è il mio amici"



    Proseguendo la sua opera di riconquista delle chiese convertito da Gnome, finirà per fare di nuovo molto in termini di virtù, secondo i precetti di Aristotele. Indebolito dalla morte del suo amico Basilio, è entrato a far Nazianzeno, dove ha scritto molte opere più teologico. Stanco di una vita lunga, morì nel 390, quando ha finalmente scoperto che l'etere, raggiungendo anche l'Altissimo, Aristotele, Christos ed i giusti in paradiso dom.


    Citazioni famose


    - "Dio ci vuole partecipi della sua divinità al sole, è per questo che ci insegna attraverso i suoi profeti"
    - "Mi è stato creato per elevare a Dio da me stesso le mie azioni"


    Reliquie


    - La sua testa e la mano sono conservate nella cripta del monastero di gregoriano Argentat
    - La maggior parte del suo corpo è in Oriente, in attesa di unire l'Occident


    Preghiera a San Gregorio


    O San Gregorio
    Di distanza da noi tutti questi problemi!
    Ci protegge dal peccato,
    Ci tiene di disonestà!
    Infine eliminare tutte quelle bugie,
    E, infine, la verità prevale!



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:13 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di Santa Ildegarda di Bingen


    I primi anni

    Ildegarda di Bingen nacque probabilmente in Renania, nel Sacrum Imperium Romanorum Nationis Germanicæ, nel 1098, e morì a Settembre, nel diciassettesimo giorno, nell'anno 1179 nell'Abbazia Rupertsberg, vicino a Bingen.

    Non fu solo una mistica, ma anche una musicista e scrittrice, le cui opere non solo abbracciano la Medicina nelle sue diverse branche, ma anche la filosofia di Aristotele, Platone e il posto dell'uomo nel cosmo.

    Essendo una infante in una famiglia profondamente fedele, ma non meno diversamente, nobile, fu destinata ad una vita in un chiostro, all'età di otto anni. In effetti lei preoccupava la sua famiglia per numerosi fatti accaduti: a cinque anni ha sviluppato particolari competenze; un giorno, mentre camminava su un prato verde con la sua nutrice si voltò verso il suo e disse "Guarda là, vedete che bello, il piccolo vitello all'interno di quella mucca? È tutto bianco, ma ha alcune macchie sul suo fronte, sulle zampe posteriori e indietro!"
    Quando il vitello è nato, è stato trovato esattamente simile al modo in cui la bambina lo ha descritto.

    Così lei si iscrisse al monastero, dove ha incontrato Sorella Jutta di Sponheim, la Badessa del convento femminile del Chiostro di Disibodenberg, che divenne suo amica e confidente. Anche lei è stata data l'educazione religiosa fino a quando lei, definitvamente, ha preso i voti, all'età di quindici anni, presso l'Abbazia benedettina di Disibodenberg. Nel anno 1136 Jutta morì, e naturalmente Hildegarda era divenuta la sua allieva, nei sui dovere.

    La Medicina

    Poco si sa circa i primi anni. Infatti ha ricevuto visioni da Dio fin dalla sua infanzia, ma non sapeva come interpretarle. Ancora di più, crebbe ragazza e donna confusa, motivo per cui si è dedicata completamente alla medicina. L'Abbazia era piuttosto piccola e la rigida separazione sessuale all'interno del chiostro la fece concentrare sulla acquisizione di conoscenze. Soltanto pochi scritti di Medicina della piccola abbazia e la conoscenza delle sue consorelle, soprattutto la Reverenda Madre, è rimasto a farle prendere i suoi primi passi in questo campo del Sapere, e di stabilire un giardino del monastero. In questi primi tempi, è stato per le sue visioni che è riuscita ad acquisire nuove conoscenze, e quindi le ha messe in atto per comprendere meglio la condizione dell'uomo, più di quanto non sarebbe stato possibile in queste circostanze. Ben presto fu in grado di aiutare più di una persona che aveva bisogno del suo aiuto. A uno, ha dato un tè fatto di semi di papavero per curare la tosse, a un altro, sofferente di reumatismi, diede quelli di primula.

    Ha trascorso molto tempo nel giardino del monastero in questi giorni. Ha coltivato soprattutto quelle erbe che avevano forti poteri medicinali e ne impiegò l'uso in cucina, nel monastero, così acquisì una certa fama in merito. In tal modo, ha goduto la pace e la tranquillità del giardino, ha osservato la creazione del ONNIPOTENTE: la Terra. Tutto era in grado di deliziarla - il rumore prodotto da un coniglio in fuga, il suono dolce del vento che spazzava l'erbetta, il paesaggio che le si profilava allungando lo sguardo. Spesso è accaduto che allora la raggiungessero nuove visioni. Anche con tutte le manipolazioni con vegetali e erbe, ella ottenuto non solo la calma interiore, ma anche grande carisma.
    E si dice con dolcezza, parlando di Ildegarda, che ha utilizzato anche altri elementi per il processo di guarigione, in particolare il farro, ma anche importanti minerali e pietre preziose. Tra questi: pietra d'agata, frammenti di cristallo, di oro, di verde smeraldo e argilla.
    Parte integrante delle guarigioni di Ildegarda, sono la preghiera, la virtù e la fede!

    L'epifania

    Un giorno, nel giugno del 1139, mentre la raccolta di caprifoglio, ha sentito un gemito di una bestia in un cespuglio. Mentre si avvicinava, poteva vedere che nel posto c'era una bella colomba bianca, le cui ali era rimasto intrappolate in un cespuglio di more. La suora non ha esitato, liberò il povero animale ferito che volò via solo fino a posarsi su una roccia vicina. La colomba divenne così una donna di eccezionale bellezza, che si rivolgeva a Ildegarda mentre la sua aura illumina la zona circostante:


    Raffaella a écrit:
    Bambina cara...sono Raffaella, Arcangelo per Fede. Sono stato mandata a dirti che la strada che hai scelto, è quella giusta. Seguila, un bambino ti aspetta.


    Poi l'epifania scomparse. Ildegarda ne rimase sconvolta. Volle visitare il laghetto dei pesci per calmarsi nella sua terra e pensare a quello che era successo. Lì, proprio sulla superficie dell'acqua, notò una forma oblunga. Chiedendosi cosa poteva essere, con cautela mosse i suoi passi per vedere finalmente un bambino, a lei totalmente sconosciuto, il cui viso era sanguinante. Raccolto tutto il suo coraggio, disse una breve preghiera e la sua Fede le dava il potere di trasportare il bambino svenuto all'abbazia. Giorno dopo giorno ha vegliato su di lui, provando dolore per il ragazzo, sempre più stremato dalla malattia che lo aveva preso. L'ottavo giorno di luglio, il corpo svanì in un attimo che lei non lo guardò per un momento. Invece, al suo posto c'era un paio di foglie e radici di caprifoglio, l'impacco stesso che aveva avuto il tempo di raccogliere ai tempi.

    La Missione

    Agitata da questo, si dedicò alla meditazione profonda per qualche tempo, cercando il significato della vicenda. Anche lei, che ha dedicato la sua vita alla medicina prima, ora cercava di capire il significato dell'accaduto con gli altri chierici, e studiando teologia. A quel tempo, era vietato alle donne di studiare teologia, e così le accennavano singole nozioni. È stato questo il suo di procedere: in gran segreto, uno studio infastidito da una coscienza colpevole.
    Con il tempo imparò sempre di più a comprendere le visioni che avevano accmpagnato tutta la sua vita finora, e di cui a volte pensò che fossero inviate dalla Creatura Senza Nome. Poco dopo la sua nomina a Badessa, una voce parlò verso lei e stabilì il suo dovere di scrivere un articolo sulle sue visioni da condividere con il mondo. Stupita, pensò di essere vittima del Senza Nome, così si rifiutò di farlo. Improvvisamente un colpo di fulmine la colpì, lasciando il suo corpo paralizzato.
    Una suora del convento la trovò e si prese cura di lei al meglio che poteva. Un prete è venuto al letto della malata, devotamente la cercò di confessare e lo disse al suo Vescovo. Dopo lunghe esitazioni e un sacco di consultazioni, il Vescovo ha dato la giovane donna il permesso di scrivere il suo libro. Questo evento segnò l'inizio del suo diventare uno scrittore.
    Il suo primo libro, Scivias, ha raggiunto anche il Papa, che, attento, assegnò a due Vescovi l'esame del libro. La loro conclusione era chiara: Ildegarda non era posseduta, lei stava conducendo una vita virtuosa, alla luce di Dio, ogni inganno è stato escluso!
    Dopo una lunga riflessione e la lettura degli scritti della Badessa all'interno dell'Assemblea Episcopale, il Papa ha scritto a Ildegarda:
    "Vi ammiriamo, figlia nostra, e ammiriamo inoltre, che una persona è capace di credere che Dio, anche oggi, rivela meraviglie; e quando egli versa il suo spirito su di Voi, Vi guida ad un punto in cui dice a tutti noi: vedete, capite e svelate molti misteri. "

    La Fondazione del Chiostro

    A causa di tali permessi e la fama di profetessa, la sua reputazione nel mondo a quel tempo aumentò. Infatti, in mancanza di studi ufficiali, era considerata non istruita, rispetto ai Vescovi della Santa Chiesa Aristotelica Romana, ma le sue visioni provenivano da Dio, quasi che lei ne fosse il recipiente, ciò dissipò tutti i dubbi. Presto mantenne corrispondenza con sovrani, duchi, conti, anche con l'Imperatore Barbarossa, e tutto il popolo giunto alla abbazia a chiede il suo consiglio. Ancora, le famiglie più nobili volevano dare le loro figlie in Abbazia, sotto di lei.
    Ildegarda si rese conto che avrebbe avuto bisogno del proprio Chiostro, proprio per rendere l'idea di questa accorrere di persone. Per lungo tempo ha patteggiato con il Padre Abate, che non voleva lasciarla andare per la ricchezza degli immobili che erano venuti con lei. Con l'aiuto dell'arcivescovo di Magonza, riuscì a stabilire il Chiostro di Rupertsberg sul Monte Rupert, vicino a Bingen nel 1148, e qualche tempo dopo: la trascrizione dei beni e delle terre al suo chiostro, che erano dati all'abbazia di Disibodenberg da famiglie nobili, quando affidate le loro figlie alla cura di Ildegarda.

    A Rupertsberg, lei, come badessa ha beneficiato di ingenti ricchezze, soprattutto per l'acquisto di libri, teologici, oltre che quelli medici. Ha allentato le regole del San Benedetto, e alle sue monache ha permesso di studiare le lingue di cui avevano bisogno per leggere le opere di medicina e di teologia, in particolare quelli in greco antico e quelli che sono stati tradotti in latino. Questo ha portato ad una grande questione con i Vescovi e sacerdoti; perciò Ildegarda, sostenuta dalle sue visioni, supportò i suoi motivi nella maggior parte dei casi. Infatti, le monache, ancora, non erano ufficialmente riconosciute come teologhe o né erano consacrate come sacerdoti, ma avevano il permesso di studiare la teologia e così facendo, gli scritti di Aristotele e Platone.

    Altri Lavori.

    Tuttavia umile come lei era, non cercava di mettersi in mostra, soprattutto perché le visioni non potevano essere parificate ad un certo livello di conoscenza teologica. Invece, si dedicò ad altri studi. Ha modificato le dottrine cliniche della sua terra natìa inglobando le conoscenze degli antichi Greci e ricominciò a comporre libri. Questi, sono stati influenzati anche dalle sue visioni, che anche le permisero di scoprire una pianta che, dopo esser stata bollita, aveva salvato un bambino dalla morte; o le dava anche le idee della circolazione del sangue e le caratteristiche del sistema nervoso. Il "Physica"(Dottrina della Natura), "Causae a curae" (Cause e cure), così come il "Liber Creaturarum subtilitatum diversarum naturarum" (Libro Della Vita Interiore di Diverse Creature e Piante); questi furono scritti. Accanto a questo ha portato più opere in pergamena, che per lo più rispecchiato le sue visioni, il "Liber Vitae Meritorum"(Libro dei meriti della vita) e il "Liber Divinorum Operum"(Libro delle opere divine).

    Ha parlato di questi ambiti: scienza della nutrizione, piante, gemme e terapia musicale e di colori. Per quanto riguarda la medicina, Ildegarda non era soddisfatta di studiare i sintomi, ma voleva considerare le cause prime. Disse la Santa:

    Citation:

    "... il male è solo il distacco dal ordine divino, così che il recupero della salute del genere umano richiede un alterco con Dio".



    Nei suoi scritti lei descrive il Signore come fonte di vita, vale a dire, la creazione di tutta l'energia. Ildegarda torna spesso nelle sue opere per la posizione centrale delle risorse umane nel cosmo. Essa ritiene continuamente la correlazione di corpo, anima e spirito. Si paga tutto la sua attenzione al potere di guarigione dell'anima nell'organismo:

    Citation:
    "L'anima assume il ruolo principale nel funzionamento dell'organismo umano, perché comanda su di ess. L'organismo che ne necessita. Porta a termine in modo efficace questo compito con l'aiuto degli organi sensoriali, che sono fornito con tutti gli esseri umani: Il senso del vedere, odorare, sentire, gustare e toccare. È per questi che l'uomo è autorizzato a interagire se stesso con le altre creature ... "

    "...il potere dell'anima influenza la salute o la malattia di un essere umano..."


    Guaritore, ma anche musicista.
    Ildegarda compose più di settanta canzoni, inni e sequenze: “Ave Generosa”, “aspexit Columba”, “o civitatis”, “Vere presul” ... L'ultima è una dedica a Disibod, un monaco irlandese vissuto nel VII secolo e la cui biografia è stata scritta da Ildegarda. Ha anche scritto un dramma liturgico intitolato “virtutum Ordo” che contiene ottantadue melodie e inscena la densità di un anima tra la creatura e la virtù.

    La Fine della Vita, ed il Pellegrinaggio

    La sua influenza crebbe anche con l'aumentare dell'età. Ben ebbe bisogno di trovare un secondo chiostro in Eibingen. Mentre il primo, come si usava in quel tempo, fu aperta solo ai nobili, il secondo è stato esplicitamente pensato per le figlie delle classi medie, per farle partecipare anche in medicina, meditazione, canto, e teologia. Anche lei riuscì - come prete - a raggiungere il diritto di predicare al popolo per l'ambiente. Con queste omelie si risvegliò dentro la pietà del popolo, che ha portato a una fioritura di fede intorno Magonza, Bingen e, anche in tutta la Renania.

    Ella, alla fine, morì in età avanzata, nel 1179, nel 17 Settembre, che divenne la sua giornata di commemorazione, nella sua abbazia sul monte Rupert. Sul suo corpo senza vita riposato, quando si trova nella sua cella, una foglia di caprifoglio, l'impasto che l'aveva accompagnata per tutta la vita e alla quale doveva tutto. Anche quel giorno ci apparve come per miracolo il gran numero di germogli di questa pianta spari in tutto il chiostro. Oggi, le sue spoglie sono custodite nella Abbazia Rupertsberg. La sua cintura nel duomo di Costanza.

    Nel Regno Tedesco, il chiostro era famoso soprattutto come l'origine dell'Ordine di Santa Ildegarda, che si basa su di lei e porta la sua eredità teologica. Tuttavia famosa soprattutto è la sua medicina per il resto del mondo, perché due compagni di Ildegarda andarono a Embrun a rafforzare la medicina lì, e così presero delle cose con loro, che Hildegard utilizzò per lavorare, tra cui come un osso del dito indice della mano destra.

    Citazioni:

    "Il male corporale non può essere guarito se non si sa parlare all'anima..."
    "Balsamo nel cuore è meglio di un balsamo nel corpo".
    "La Penitenza cura, l'Astinenza previene".
    "L'uomo religioso volge la sua aspirane a Dio, al quale egli s'inchina in segno di riverenza. L'uomo vede le creature in tutto il mondo con gli occhi corporali, ma il religioso vede solo il Signore, in tutta la sua fede".

    Reliquie:


    Nel Duomo di Embrun:
    Un pestoio, in cui Hildegard produsse le polveri e gli unguenti, specialmente quelle che salvarono i bambini.
    Una borsa di seta, che usava durante la raccolta di ingredienti per la medicina, per preparare questi unguenti.
    Un osso del dito indice della mano destra.
    Una fascia di cotone piccolo che indossava un lungo periodo di tempo, legata intorno al braccio.

    Nell'Abbazia di Rupertsberg:
    Le altre ossa.

    Nel Duomo di Costanza:
    La Cintura di Ildegarda.

    Santa Ildegarda si celebra il 17 settembre.

    Appendice:

    Alcune ricette di Ildegarda

    Piccole torte della gioia

      - 1 grammo di noce moscata
      - 1 grammo di cannella
      - 0,3 once di chiodi di garofano
      - 2,2 libbre di farina di farro
      - 10 once di burro
      - 10 once di miele
      - 10 once di mandorle tritate
      - 4 uova
      - 1 pizzico di sale
      - Acqua o latte


    Mescolare tutti gli ingredienti con acqua o latte a sufficienza.

    Gli adulti possono mangiare quattro o cinque tortine al giorno, i bambini tre.
    Hildegard dice di queste tortine: "Scacciano l'amarezza che c'è nel cuore, lo calmano e lo aprono. Ma aprono anche i cinque sensi, rendono allegri, rinfrescano gli organi di senso, riducono gli umori nocivi e danno al sangue una buona composizione. Vi rendono forti, felici ed efficaci nel lavoro".

    Elisir di violetta
      - Vino
      - Viola
      - Galangal
      - liquirizia


    "Se qualcuno è di umore malinconico o depresso e si fa male ai polmoni in questo modo, che ne beva. Dovrebbe far bollire le violette nel vino puro, passarlo attraverso un panno, aggiungere galangal e liquirizia al vino a suo piacimento, quindi farlo bollire per un po' per renderlo una bevanda pura e berlo. Questo rimuove la malinconia e rende allegri e guarisce i polmoni. Bevete una volta al giorno per un periodo di quattro settimane".

    Polpettine di fave
      - 1 grammo di zenzero macinato
      - 10 once di fave macinate
      - 0,1 libbre di fiori di calendula


    Inumidire per ottenere una pasta. "Formare delle piccole torte e farle asciugare in un forno, il cui calore viene mantenuto per un po', e mangiare le piccole torte, buone anche per la Quaresima".



_________________


Dernière édition par Kalixtus le Ven Juil 28, 2023 2:39 am; édité 1 fois
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:15 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Giovanni (3-101)


    La festa di San Giovanni cade il 27 dicembre e il 24 giugno

    I - La vita con Christos

    Dopo aver incontrato Christos appena uscito dal deserto, Giovanni volle sempre propagare la santa parola d'Aristotele, e, quando Christos venne da lui, abbandonò ogni cosa per seguirlo.
    Non divenne mai uno degli apostoli ma fece parte di quei fedeli che, seguendo Christos e gli apostoli, ripetevano il loro santo verbo a coloro che dubitavano o che ricadevano nel peccato non appena Christos ripartiva.

    Egli fu, tra i discepoli di Christos, il più appassionato. Era anche il più giovane tra tutti coloro che lo seguivano, apostoli compresi. Fece voto di castità dopo il suo incontro con Christos di cui assorbì le parole cercandone tutte le volte il senso più profondo.
    Tra le genti, era sempre il primo ad illuminare le anime smarrite di coloro che incontrava, portando loro gli insegnamenti d'Aristotele e Christos, e l'ultimo ad andarsene.

    Christos finì per notarlo e gli disse:
    - Perché, tu, il più fedele e devoto dei miei discepoli, non accetti di unirti alla mia tavola e di diventare apostolo?
    Lusingato, Giovanni o scrutò per qualche istante e poi rispose:
    - Christos, la tua missione e quella dei tuoi apostoli è d'illuminare le genti con la santa fede aristotelica. Voi siete come un faro che illumina le tenebre. Ma a volte, dopo la vostra partenza, certi spiriti deboli ricadono nel peccato. Se io mi unissi a voi - e mi trovassi così al vostro fianco - le persone non verrebbero più illuminate dal nostro passaggio, ma il peccato perdurerebbe.

    Tuttavia, pervenne al fianco di Christos nel giorno della sua morte e quest'ultimo gli fece giurare di vegliare su sua madre Maria e di proteggerla come se fosse stato suo figlio.

    II - La sua vita dopo la morte di Christos

    Dopo la morte di Christos, Giovanni continuò a diffondere la fede aristotelica in Palestina e organizzò il clero affinché fossero salvaguardati i suoi insegnamenti.

    Perseguitato dai Romani, Giovanni decise di recarsi a Efeso.
    Durante il viaggio, guarì con le sue preghiere i soldati della sua scorta che si erano ammalati di dissenteria e, giungendo in città, sanò con le sue orazioni anche il figlio di un notabile, affetto da « spirito impuro », cosa che gli permise di battezzare tutta la famiglia.

    Non rivelava a nessuno le confessioni dei fedeli e per ciascuno dei loro peccati si recava nelle foresta per cercare rami e bastoni che ammucchiava poi in un campo, rivolgendosi così agli Efesini:
    "Questo mucchio rappresenta il perdono che Dio, tramite la mia intercessione e le vostre confessioni, accorda a tutti voi quotidianamente. Esso vi ricorda che ogni giorno vi potete smarrire, ma, che smarrendovi, vi sottomettete al giudizio dell'Altissimo, che perdona ma non dimentica."

    Durante una festa in onore della dea Artemide, per cui gli abitanti di Efeso avevano una grande venerazione, Giovanni salì sulla collina dove si trovava una grande statua della dea e cominciò a rimproverare la folla. Questa, furiosa, tentò di lapidarlo, ma le pietre colpirono la statua, che si rovesciò addosso a quelli che persistevano nel lanciar sassi finendo in mille pezzi. Quando poi Giovanni si mise a pregare, la terra tremò ed inghiottì i più vendicativi, ma dopo che la folla ebbe supplicato Giovanni e fatto appello alla sua misericordia, essi ritornarono dalle profondità della terra, venerando il santo e chiedendo il battesimo.

    Giovanni fu allora arrestato e condotto al tempio d'Artemide davanti un ufficiale imperiale che lo accusò di magia nera e volle metterlo a morte. Egli si mise a pregare Dio e il tempio crollò, senza però recare danno ad alcuna vita umana.

    Condotto al cospetto dell'Imperatore, questi decise di gettarlo nell'acqua bollente.
    Proprio quando Giovanni era sul punto di morire e aveva già perduto conoscenza, Christos gli apparve in sogno e gli disse:
    - "Giovanni, tramite la tua esistenza tu hai già illuminato con la vera fede la vita di numerosi fedeli. A tal fine, hai rinunciato ai piaceri della carne e ti sei offerto all'Altissimo. Oggi, Dio mi manda a porre fine a questo tuo compito."
    - "Come?", gli chiese Giovanni.
    - "Oggi, non morirai affatto, poiché tale è la volontà dell'Altissimo. L'imperatore ti libererà e raggiungerai Samot a Efeso per aiutarlo nella sua ricerca della verità sulla mia vita e sugli insegnamenti da trasmettere alle future generazioni."
    Immediatamente, l'acqua smise di bollire e il fuoco che l'alimentava si spense davanti agli occhi stupiti dell'imperatore che rilasciò Giovanni.
    Contemporaneamente, un fuoco identico a quello che si era spento apparve sotto il mucchio di rami, senza tuttavia bruciarli.

    Rilasciato, Giovanni se ne andò ad Efeso e, giungendo in città il 24 giugno al calar della notte, passò davanti al cumulo di ramaglia.
    Vedendo le fiamme, si stupì e Christos gli apparve di nuovo:
    - "Quando Dio accorda il suo perdono, non c'è nessun bisogno di rimembrarlo. Tramite questo stesso fuoco che doveva toglierti la vita, sarà fatta memoria a te, così come agli Efesini, che ricordarsi del perdono è anche ricordarsi delle colpe. In questo giorno, che separa la primavera dall'estate, è tempo di dimenticare".
    In quel momento, le fiamme avvolsero il cumulo di legna, alto diversi metri.
    - "Se questi rami aiutano i più deboli a rimanere sulla retta via, continua ad ammucchiarne, poiché nessuna cosa è assurda se serve a preservare la fede; ma sta a Dio dimenticare e perdonare e sta agli uomini riuscire a condurre una vita virtuosa senza essere aiutati. È per questo motivo che ti chiedo di bruciare, ogni anno all'inizio dell'estate, i rami che tu ammucchi, per permettere agli uomini di progredire".

    Negli anni seguenti, Giovanni assisté Samot nella sua opera e perseverò nel proteggere la fede ad Efeso. Ogni anno, bruciava i rami che aveva ammucchiato e chiedeva agli Efesini di perdonarsi l'un l'altro e di conservare una vita virtuosa nel corso dell'anno a venire.

    Al momento della sua morte, si fece scavare una fossa, nella quale poi discese recitando orazioni aDio. Non appena egli ebbe terminato la sua preghiera, fu avvolto da una luce tanto accecante che nessuno poté tenere gli occhi aperti.
    Dopo che il lume fu scomparso, la fossa fu trovata piena di manna.

    III - Citazioni

    Citation:
    Ciò che è scritto, è scritto.

    Citation:
    Amatevi gli uni con l'altri come io vi ho amato.

    Citation:
    Non c'è più grande amore di quello di una persona che dona la sua vita per i suoi amici.

    Citation:
    Colui che cerca di salvare la propria vita, la perderà.

    Citation:
    Smettete di giudicare basandovi sull'apparenza. Giudicate con equità.

    Citation:
    Il vento soffia dove vuole; odi la sua voce, ma non sai né da dove viene né dove va.

    IV - Preghiera a San Giovanni

    O glorioso Giovanni, che foste così caro a Christos da meritarvi di porre il capo sul suo santo torace,
    e di essere, da lui e al suo posto, dato come figlio a sua madre;
    mettete nel mio cuore un amore vivo per l'Altissimo, Aristotele e Christos.
    Intercedete per me presso il Signore affinché io,
    con il cuore libero da ogni affezione terreste,
    sia degno di essere sempre unito quaggiù,
    ad Aristotele e Christos, come fedele discepolo,
    e all'Altissimo, come figlio devoto,
    per restare poi eternamente unito a loro in cielo.
    Così sia.




_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:17 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di Santa Giovanna d'Arco

    Capitolo I : L'Infanzia della Santa

    Fu nell'anno di grazia 1412, durante un penoso mese di gennaio che nacque Giovanna, in Lorena a Donrémi. Questo piccolo villaggio la cui storia caotica l'aveva fatto passare sotto il controllo di regni diversi, si trovava su entrambe le rive della Mosa, definendo così l'appartenenza a questo o a quell'altro regno. Per la fortuna del regno di Francia, Giovanna d'Arco, figlia di Giacomo d'Arco e di Isabella Romea, era nata sulla riva facente parte del Barrois occidentale; per farla breve, tra i francesi. I suoi bisnonni erano fuggiti davanti all'invasione inglese della Francia e si erano rifugiati nel Sacro Romano Impero, ma la sua famiglia era rimasta sempre legata alle proprie origini francesi.
    Giovanna venne dunque al mondo il 5 gennaio e si racconta che al momento della sua nascita, all'interno della strana piccola casa dalla forma incerta, la vile tempesta di neve che allora imperversava sul villaggio si fosse all'improvviso placata e che tutte le pecore avessero cominciato a belare in coro...
    Fin dall'infanzia, la ragazzina mostrava una dolcezza e un amore incomparabili sia per le persone come per le bestie. Ella sapeva tranquillizzare le pecore al momento del parto e condurre il gregge ai pascoli con una spigliatezza tutta particolare. Ma Giovanna era sopra ogni cosa molto pia e virtuosa, a tal punto ch'ella passava per vera devota: difatti era ancora vergine nel giorno del suo tredicesimo compleanno mentre le sue coetanee del villaggio erano già tutte sposate o promesse.

    Capitolo II : Quando la ragazzina venne guidata dall'Arcangelo Michele dal re Levan II

    Fu nel marzo del suo tredicesimo anno di vita che la ragazza udì per la prima volta la voce di Michele, l'Arcangelo della Giustizia, che le ingiunse di liberare il regno di Francia dal giogo inglese. L'apparizione non la sorprese così come nemmeno il suo messaggio, giacché la sua devozione era eguagliata solo dalla sua innocenza. Per 4 anni, meditò su quelle parole e nel 1429, nel mentre che si diffondeva per tutta la Francia la voce che il regno sarebbe stato liberato da una ragazza venuta dalla Lorena, giunse alla corte del re per domandargli udienza.

    Il re, Levan II, esitò per tre giorni, poi accettò di vederla. Ma per essere sicuro ch'ella fosse mandata da Dio, la sottopose a una prova. Si travestì e si mescolò in mezzo agli altri cortigiani, domandando a uno di questi di far finta di essere il re. La ragazza non cadde però nel tranello e riconobbe il vero re. Il sovrano si inginocchiò allora davanti alla ragazza, impressionando numerosi cortigiani, e le domandò di perdonarlo.

    Levan II a écrit:
    "Chi sono io per tendere un tranello a una ragazza innocente che viene ad offrirmi il suo aiuto quando il mio popolo mi grida ch'ella è mandata da Dio?
    Sono coperto d'onta."

    Al che Giovanna gli rispose:

    Giovanna a écrit:
    "Mio sire, voi siete stato scelto da Dio per reggere il regno ed io per liberarlo, ma il Senza Nome assume disparate forme e non ve ne posso fare una colpa se prendete questo genere di precauzioni.
    Chi sono io per rimproverarvi di proteggere il bene più prezioso del vostro popolo, ossia il re, quindi voi medesimo?"

    Levan II e Giovanna s'intrattennero poi lungamente in privato, in seguito lui le affidò un'armata per liberare Orléans, allora sotto assedio, chiedendole di risparmiare il nemico ogni volta ch'ella ne avesse avuto l'opportunità tramite una richiesta di resa, al che Giovanna rispose che quella era la sua intenzione.

    La popolazione accolse la giovine con entusiasmo, vedendo in ella una speranza di giorni migliori, la risposta alle loro preghiere. Fu celebrata una magnifica messa e tutti poterono constatare la sua devozione e la sua purezza.

    Capitolo III : Quando Giovanna divenne una pia guerriera

    Unitasi ai suoi compagni d'arme, poté ora partire per ricacciare gli inglesi fuori dalla Francia! Ella portava un'armatura scintillante e uno stendardo bianco sul quale figuravano gli emblemi del re Levan II. Giunta ad Orleans, accolta dal tripudio dei cittadini, ridiede coraggio e fede ai soldati. Mentre i suoi capitani volevano partire all'assalto degli assedianti inglesi senza attendere, Giovanna si portò davanti all'armata nemica per parlamentare con il comandante, di nome Corrado XIX, Duca di Sussex. Lei gli promise salva la vita, a lui e ai suoi uomini, se tutti loro avessero abbandonato il regno di Francia senza indugio.

    Ma l'uomo guardò la ragazza dall'alto in basso e le rispose in questi termini.


    Citation:
    Chi sei tu, donnicciola, per osare parlarmi così? Tu che non sei altro che una donna da poco, una plebea, osi rivolgerti a me che sono nobile? Quindi non sai che la sola forza che esiste in questo mondo è quella della violenza? La mia famiglia ha distrutto tutti i suoi nemici, senza alcuna morale, senza alcun scrupolo, abbiamo saccheggiato, rubato, ucciso e così facendo abbiamo ottenuto i nostri titoli nobiliari. E tu che possiedi? Chi sei?
    Una pulzella, che faceva la guardiana di pecore, e che ora sta di guardia ad altri ovini, però in armatura. Ritorna alla tua fattoria, donnetta, non sei degna d'interloquire con me.
    Tu non sei che una poiana, mentre io sono un pavone."

    La ragazza, che guidata dai suoi sentimenti aristotelici aveva voluto dare prova di carità e compassione nei confronti dei nemici del regno di Francia, comprese in quel momento perché Dio l'aveva condotta lì.

    Le armate inglesi vivevano nel peccato. I loro capi avevano perduto di vista le virtù aristoteliche, avidi di beni materiali, ignorando i saggi precetti di Aristotele e Christos sull'amicizia aristotelica, considerando le donne come inferiori agli uomini, rubando, saccheggiando, erano divenuto schiavi della bestia senza nome.

    Allora, Giovanna si voltò verso la sua armata, prese lo stendardo reale, e si gettò nella battaglia contro gli inglesi.

    Terrorizzati dalla foga della giovine, gli inglesi furono disfatti, levarono l'assedio e fuggirono.
    Giovanna inseguì l'armata nemica, adempiendo al disegno divino, e man mano che risaliva verso nord, il popolo al suo passaggio scandiva:

    Citation:
    Santa Menolda! Santa Menolda!


    Capitolo IV : La Consacrazione del Re

    Anche Troyes, città simbolica per l'umiliante trattato, venne presa. Si giunse infine a Santa Menolda nel luglio del 1429. La guarnigione borgognona abbandonò la piazzaforte e si poté consacrare il Delfino alla presenza di suo padre Levan II. Giovanna era in piedi accanto l'altare come rappresentante del popolo di Francia.
    Fu un messaggio potente indirizzato a tutti: il re è forte e il regno di Francia trionferà su qualunque nemico, poiché è sostenuto ed approvato dall'Altissimo!
    Con questa consacrazione, re Levan II si riallacciò anche alla tradizione dei primi re franchi con la quale i re facevano consacrare, loro viventi, i propri figli al fine di assicurare la perennità della dinastia e la continuità della monarchia francese. Di fatto il trattato di Troyes perse valore. E la Francia ritrovò i suoi veri capi.


    Capitolo V : Il martirio

    Forte di tali gesta, Giovanna volle proseguire. Insistette per continuare la lotta, ma dal giorno della consacrazione sempre più capitani e signori la invidiavano e la rallentavano nelle sue iniziative. Decidette a fine agosto d'attaccare Parigi ma nulla era stato approntato. Non per questo ci mise meno impegno, ma purtroppo dovette infine desistere. Compiègne che aveva aperto le sue porte a Giovanna fu assediata dai borgognoni. Portandosi al loro soccorso, Giovanna fu fatta prigioniera non senza aver resistito con coraggio alle lame nemiche. Consegnata agli inglesi, questi ultimi la imprigionarono a Rouen per esser quivi giudicava.
    Durante il suo processo, che sarebbe durato tre mesi, fu interrogata molto rudemente, ma tenne duro malgrado l'incarceramento durato mesi all'interno delle prigioni inglesi e le loro condizioni di detenzione estremamente penose. Si dice che, durante il sonno, mormorasse il nome di "Clarice" e che udisse dei belati...
    Non riuscendo i suoi giudici a trovare un valido capo d'imputazione, fu infine condannata per eresia e stregoneria, poiché era vestita come un uomo. Per di più, furono messe in questione le voci che ella udiva: secondo loro, infatti, la Creatura Senza Nome parlava tramite di lei. Venne quindi considerata come eretica!
    Fu messa al rogo nella piazza del vecchio mercato. E affinché non ne restasse nulla del suo corpo, il cardinale inglese fece bruciare i suoi resti altre due volte... Il boia che appiccò il fuoco svenne e fu portato via dai suoi compagni, egli dichiarò più tardi:


    Citation:
    "Io ho veduto dalla sua bocca, proprio mentre spirava, volar via una colomba..."

    In seguito, un segretario del re d'Inghilterra che assistette alla scena dichiarò ritornando a Londra:

    Citation:
    "Siamo perduti; abbiamo bruciato una santa!"

    Giovanna aveva ridato slancio e ribaltato le sorti del conflitto. Levan II, grazie ai gran capitani ed ad abili negoziati, terminò la liberazione del paese. Per mettere fine all'alleanza anglo-borgognona, fece qualche concessione a Filippo il Buono: qualche città ai confini della Somme, le contee di Mâcon e Auxerre, etc. Il trattato d'Arras confermò la riconciliazione tra armagnacchi e borgognoni nel 1435.

    Capitolo VI : La riabilitazione

    Molti anni dopo il suo martirio, Giovanna era sempre vista ufficialmente come un'eretica, mentre invece la sua santità era fuori di dubbio agli occhi del popolo.

    Un giorno del maggio del 1457, nelle vicinanze di Rouen, il pastore Paolo Oscione partì alla ricerca di una delle sue pecore.
    La trovò che era precipitata nella Senna.
    Il pastore tentò di salvarla ma per poco non rischiò di annegare.

    Mentre recuperava fiato, il cuore straziato nel vedere la sua amata pecorella portata via dalla corrente, vide una ragazza vestita tutta di bianco uscire dall'acqua, ella prese la pecora tra le braccia e la riportò a riva, vicino al suo pastore.

    Questi le domandò il suo nome e volle ringraziarla, ma ella rispose solo di chiamarsi Giovanna e si dissolse nell'aria.

    Molti pensarono al villaggio che il bravo Paolo, un po' ubriaco, avesse avuto un'allucinazione, ma ciò bastò perché un processo di riabilitazione fosse aperto a Roma.
    Numerose testimonianze di miracoli furono raccolte, così come sugli ultimi istanti in carcere della santa e sul suo rogo tramite i testimoni ancora in vita.
    Essendo morti i principali responsabili del suo martirio uno dopo l'altro meno di un anno dopo il suo decesso, in circostanze misteriose, costoro non poterono essere ascoltati ma comunque ci furono abbastanza elementi per permettere al tribunale ecclesiastico di procedere.

    Fu presto evidente al tribunale ecclesiastico deputato alla revisione del processo che Giovanna aveva compiuto numerosi miracoli per la popolazione e che ella meritava, tanto per la sua vita casta e pia che per le sue gesta, lo status di santa.

    Così la memoria di Giovanna fu riabilitata e ora è festeggiata il 29 febbraio.




_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:19 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di Santa Ghilberta da Walburghe, detta la Brutta
    Certo Ripugnante, Ma Molto Santa

    I - Una terribile gioventù

    Ghilberta era una giovane donna incredibilmente brutta. Il popolo ignorante scorse in questa condizione l'intervento della Creatura Senza Nome, tanto non assomigliava alla madre o al padre. Del resto, la sua bruttezza era tale che si era deciso di rinchiuderla in una torre del castello di famiglia.

    Ma la giovinezza di Ghilberta la spingeva all'avventura, alla scoperta ed agli amori. Tentò, molte volte, di scappare dalla sua torre, ma ogni volta fu riportata manu militari dai suoi genitori. Ghilberta colmava la frustrazione con la lettura del Libro delle Virtù, della Vita di Christos e di quella di Aristotele. Tanto che alla fine, diventò erudita nelle cose della fede ed i suoi genitori, molto infastiditi dall'avere una figlia così brutta da non poterla dare in sposa, pensarono di offrirla alla chiesa come religiosa.

    II - Un'orribile epidemia

    Ma sopraggiunse un avvenimento che sconvolse la vita della regione d'Evreux. La peste, nera e mala, colpì gli abitanti. Non morirono tutti, ma tutti ne furono colpiti. E non passava giorno che il morbo non portasse via il suo carico di morti e desolazione. Famiglie intere perivano dall'oggi al domani. In meno di una settimana, la città aveva chiuso le sue porte, si era isolata dal mondo e viveva nella paura. Ghilberta vide così suo padre deperire e sua madre seguirlo. Poco a poco, il castello si svuotò dei suoi servi. La giovane donna pregava tutto il giorno, implorando la clemenza dell'Altissimo. La tristezza le bruciava il cuore, la collera anche, perché ignorava il motivo per il quale l'Altissimo agisse in questo modo, con tanto furore contro i suoi figli.

    Ma la fede è un lungo cammino, che bisogna percorrere a piedi nudi, talvolta su dei sassi taglienti. Ghilberta lo sapeva e sapeva anche che il dubbio era una delle vie per raggiungere una Fede ancora più grande. Nella sua tristezza e nella sua collera, attinse la forza per amare di nuovo l'Altissimo. Le occorse del tempo, ma che cos'è il tempo per un'opera tale? Che cosa sono i giorni ed i mesi, se si cerca di raggiungere la grazia?

    Una mattina, convinta di non essere affatto detestata dall'Altissimo e che la peste non fosse opera della Sua mano, ma piuttosto un'epidemia inerente alle cose dell'epoca, Ghilberta si vestì poveramente, smise le scarpe (mostrando così il suo strano piede, giacché ne possedeva uno con sei dita) e raggiunse la città, per seppellire i morti e consolare i morenti.

    La città sembrava vuota, ma dietro ogni anta, si poteva udire respirare o vedere qualche sguardo impaurito. Instancabilmente, la giovane Ghilberta da Walburghe, con un velo sul suo viso per proteggersi dall'odore, trasportava da sola i morti e li seppelliva. Giorno dopo giorno. Senza mai ammalarsi. Senza indebolirsi mai. E pregando per strada quotidianamente.

    Allora, la voce si sparse: una giovane donna combatteva da sola la peste. La figlia del signore assisteva i morenti con le sue fragili braccia e consolava le loro anime. Molto rapidamente, tutti desiderarono vederla, toccarla, pregare con lei. Ed essi si gettavano ai suoi piedi, così strani, per abbracciarli e baciarli. Instancabile, imperturbabile, Ghilberta proseguiva nella sua opera. E quelli che ebbero la fortuna di toccare i suoi piedi si salvavano. La peste li ignorava.

    III - Il miracolo del piede deforme

    Ghilberta ebbe allora una visione da una grande nuvola bianca che circondava il sole come una morbida corona: le apparve l'immagine di lei che immergeva i suoi piedi nell'acqua di una pozza e degli ammalati - quei poveri diavoli - che ne bevevano un sorso. Ed così, essi erano salvati.

    La giovane di Walburghe immerse dunque i piedi nell'acqua e propose alle persone di berla. L'epidemia si fermò. Non si ebbero più morti, non se ne soffrì più, Ghilberta, con il suo sesto dito del piede, aveva salvato la popolazione.

    Quando infine i miasmi furono spariti, si tolse il velo. Ma ben lungi dallo spaventarsi, le persone venivano ancora a ringraziarla, a baciarla sulle sue due guance pelose, ad accarezzare i suoi capelli quasi di seta. A loro non importava del suo aspetto, perché Ghilberta, tramite la purezza della sua anima e le azioni da lei compiute durante la pestilenza, aveva salvato loro la vita.

    Ben presto, si presentò alla fanciulla un giovane uomo di bell'aspetto. Lungi dall'essere disgustato, quest'ultimo confessò il suo amore a Ghilberta. Si sposarono ed ebbero molti bambini.

    IV - La morte della Brutta e le sue reliquie

    Alla sua morte, il piede destro di Ghilberta, quello col sesto dito, venne prelevato e posto in una teca d'oro che diventò oggetto di venerazione. Essa è, difatti, invocata per una veloce guarigione da tutte le malattie e si dice che colui che tocca le sue reliquie, anche se affetto da peste o persino dalla lebbra, e prega l'Altissimo tramite l'intercessione della santa, sarà immediatamente guarito.

    La sua festa è celebrata il 27 febbraio.


    Redatto da [illeggibile] monaco nell'Abbazia di San Taurino, nei pressi d’Evreux nel [illeggibile]
    Tradotto in italiano da Monsignor Franciscus_Bergoglio e Jul.



_________________


Dernière édition par Kalixtus le Ven Juil 28, 2023 12:22 am; édité 1 fois
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:21 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Girolamo

    Girolamo, anche se nato da parenti aristotelici, non fu battezzato prima del 360, data in cui partì a Roma con suo fratello Bonosio per continuare i suoi studi di retorica e di filosofia. Studiò sotto la guida di Elio Donato, un eccellente grammatico. Girolamo imparò anche il greco, senza avere ancora l'intenzione di studiare i testi fondamentali dell'aristotelismo.

    Profondamente influenzato dal concilio di Nicea che aveva consolidato la predominanza di Christos "messia" su Aristotele "semplice profeta annunciatore", considerava, come numerosi credenti dell'epoca, lo studio di Aristotele come una perdita di tempo, poiché la sua profezia si era già realizzata.

    Dopo alcuni anni a Roma, si recò con Bonosio in Gallia, e s'installò a Trèves "sulla riva per metà barbara del Reno". È lì che cominciò il suo percorso teologico e copiò numerosi testi popolari trovati durante le sue tappe.
    Alcuni suoi amici lo accompagnarono quando cominciò, intorno al 373, un viaggio attraverso la Tracia e l'Asia Minore per recarsi al nord della Siria alla ricerca delle tracce lasciate dalle prime tribù dell'umanità.

    Ad Antiochia, due suoi compagni morirono, ed egli stesso si ammalò più volte. Durante una di queste malattie (inverno 373 - 374) fece un sogno che lo distolse dai suoi studi pagani e lo convinse a consacrarsi a Dio. In questo sogno, ch'egli racconta in una delle sue lettere, gli fu rimproverato di essere "ciceroniano e non aristotelico". Sembra aver rinunciato per un lungo periodo dopo questo sogno a studiare i classici profani, ed essersi tuffato nello studio degli scritti di Aristotele e di Spyosu.
    Insegnò poi ad Antiochia. Desiderando vivamente vivere da asceta e fare penitenza, passò qualche tempo nel deserto di Calcide, a sudovest di Antiochia, conosciuto col nome di "Tebaide di Siria", a causa del gran numero di eremiti che ci vivevano.

    Pertanto, i suoi lavori sui testi di Aristotele gli fecero vedere le cose diversamente, e comprese molto in fretta che l'importante era vivere per gli altri e non fare penitenza permanentemente, come gli usi ereditati da Nicea spingevano i credenti a fare.
    Un giorno, durante una riunione di teologi, gli fu detto che le sue posizioni rischiavano di allontanarlo dalla via di Christos; egli rispose:
    Citation:
    Che tale o talaltro dottore della Chiesa sia quasi eterodosso dopo il concilio di Nicea, poco importa! Non nego che loro possono esserlo testualmente, su alcuni argomenti. Ma ciò che importa è che abbiano ben interpretato le Scritture, spiegato i punti oscuri e svelato i misteri del Libro delle Virtù.


    Al suo ritorno ad Antiochia, nel 378 o nel 379, fu ordinato dal vescovo Paolino. Poco tempo dopo, partì a Costantinopoli per continuare le sue ricerche ed è grazie a lui se Roma poté avere una biblioteca fra le più ricche di testi originali dall'inizio della nostra storia.
    Il suo più grande orgoglio fu di trovare la versione originale del Credo e di aver scritto la prima Agiografia di Sant'Olcovidio e di portarla a Roma dove restò tre anni (382 - 385), in contatto diretto con il Papa Damaso e il capo della Chiesa di Roma.
    Invitato al concilio del 382, che era stato convocato per mettere fine allo scisma di Antiochia, seppe rendersi indispensabile al Papa. Fra i vari compiti, si prese carico la revisione del testo della preistoria, sulla base del Nuovo Testo di Aristotele scoperto da lui. Questo lavoro lo occupò per molti anni, e costituisce la sua opera maggiore, pertanto una gran parte di questo lavoro fu nascosta poiché rimetterebbe in causa la predominanza di Christos mostrando quanto Aristotele era importante.

    Pertanto esercitò un'influenza non trascurabile durante questi tre anni passati a Roma, notoriamente per il suo zelo a raccomandare l'ascetiscmo.
    La critica virulenta che Girolamo faceva del clero regolare e la sua volontà di imporre Aristotele come profeta di uguale importanza di Christos, fecero nascere un'ostilità crescente nei suoi confronti da parte del clero e dei suoi sostenitori. Poco dopo la morte del suo protettore Damaso (10 dicembre 384), Girolamo lasciò Roma.

    Nell'agosto del 385 tornò ad Antiochia, accompagnato da suo fratello Paoliniano e alcuni amici risoluti a lasciare il loro ambiente patrizio per finire i loro giorni in Terra Santa.
    Assieme ai suoi amici, visitò Gerusalemme, Betlemme e i luoghi santi della Galilea, poi partirono in Egitto, dove vivevano i grandi modelli della vita ascetica. Ad Alessandria, scoprì il testo di Mhour e capì che la vita non doveva essere fatta di sofferenza per essere benedetta dall'Altissimo, ma al contrario la ricerca del piacere e della boulasse poteva essere ben più benefica che mortificarsi.
    Si rituffò nei testi di Aristotele con uno sguardo nuovo, e distrusse i suoi ultimi lavori per rituffarsi nella loro ri-scrittura. Il suo motto era ora una frase di Oane: "Non cercate Dio nella sofferenza, ma ricordatevi di aver sofferto per non perderlo."
    Capendo che bisognava educare le genti perché potessero vivere in società e in armonia, si mise a scrivere numerosi testi per aiutare il predicatore ad accompagnare i fedeli a meditare su dei testi che parlavano della vita, e di ciò che conoscevano: la vita quotidiana.

    Vivendo grazie ai mezzi che gli venivano forniti dai suoi amici nobili, e aumentando continuamente il numero dei suoi libri, scrisse senza sosta. Dobbiamo a questi trentaquattro ultimi anni della sua esistenza la maggior parte della sua opera.
    In seguito ai suoi scritti contro i Pelagiti (1), un deappello di sostenitori di questi ultimi invase il suo ritiro, vi appiccò il fuoco e costrinse Gerolamo a rifugiarsi in una fortezza vicina.

    Perseguitato da numerose fazioni settarie della Chiesa, e temendo che i i sostenitori dell'opera di Christos facessero distruggere i testi di Aristotele, affidò tre buste di cuoio sigillate, contenenti dei testi originali di Aristotele così come il suo anello di Vescovo, a uno dei suoi amici soldati che doveva tornare dalla sua famiglia a Montecassino.
    La data della sua morte ci è nota grazie alla cronaca di Prospero d'Aquitania. I suoi resti, sepolti all'inizio a Gerusalemme, si dice siano stati poi trasferiti nella chiesa Santa Maria Maggiore a Roma.


    (1)Pelagio, monaco bretone giudicato eretico dalla Chiesa, nato nel IV secolo.
    Pelagio minimizzava il ruolo della confessione ed esaltava il primato e l'efficacia delo sforzo personale nella pratica della virtù.
    Pelagio pretendeva che l'uomo potesse, per il suo solo libero arbitrio, astenersi dal peccato, negava la necessità della confessione e del battesimo.
    In effetti, per il monaco bretone gli umani, avendo il libero arbitrio, fanno la scelta di peccare e non devono quindi essere perdonati in seguito, solo Dio è giudice e Lui solo può, dunque, perdonare.
    Predica quindi una regola di vita che miri a fare di questa "un'élite della virtù", ma la sua intransigenza e la sua rigidità lo spinsero a dimenticare il giusto mezzo, e divenne talmente estremista nella ricerca della virtù che finì per affondare nell'eresia rifiutando Roma e il clero come rappresentanti del Creatore.



_________________
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Kalixtus
Cardinal
Cardinal


Inscrit le: 24 Fév 2013
Messages: 12878
Localisation: Roma, Palazzo Doria-Pamphilj

MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:55 am    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia di San Latuin
    Santo Patrono e protettore del ducato di Alençon

    Vita di San Latuin

    Non si conosce la data esatta della nascita di San Latuin, ma si sa che è nato nella seconda metà del IV secolo nella regione del Lazio, in una famiglia numerosa. Suo padre era un artigiano. Entrò presto negli ordini e si distinse per il suo ingegno ma anche per la sua gentilezza. Uomo di grande carità, era sempre pronto ad aiutare gli altri, ed in questo era molto virtuoso. Vicino a Bonifacio I, che divenne papa nel 418, consigliò il Pontefice a lungo, prima di venir nominato per un'importante missione.

    In quei tempi difficili, molte zone erano ancora nelle mani dei pagani e i popoli si fuorviavano in credenze empie, distogliendo le loro anime dalla Luce. Allora alcuni grandi uomini furono inviati in tutto il mondo per portare la parola divina ed illuminare l'anima ignorante rivelando la Verità. San Latuin fu inviato a nord della Gallia, al di sopra delle aree recentemente convertite da San Martino di Tours e San Giuliano di Mans.

    Dapprima si stabilì nella città di Sees. In presenza di quest'uomo, apportatore di nuove credenze, le genti locali innanzi tutto dimostrarono incredulità. Egli seppe tuttavia riunire qualche gruppo di persone e qualche villaggio della regione, ma molto presto l'incomprensione dei locali lasciò il posto alla rabbia e alla violenza nei confronti di ciò che non comprendevano. Allora San Latuin ed i suoi seguaci furono perseguitati e si ritirarono nella campagna. Ivi lui fece costruire un oratorio dove la piccola comunità visse e si ingrandì a poco a poco.

    Ben presto, vennero da tutta la regione ed anche da molto lontano per incontrarlo, poichè una voce affermava che fosse in grado di guarire gli ammalati. Effettivamente, San Latuin, senza chiedere niente, accolse uomini, donne e bambini affetti da malattie incurabili e li curava. Spesso le persone guarite così, si congiunsero alla sua comunità accrescendola. Ma altri ritornarono ai loro focolari, divulgando e dimostrando al mondo i miracoli di San Latuin. Si videro così dei bambini sordi ritornare dalle loro famiglie ed apprezzare la musica e i rumori come chiunque altro, degli uomini, feriti nei combattimenti, che avevano perduto l'uso delle loro gambe, ritornare a marciare con tutta naturalezza tra di loro o ancora, delle donne affette dalla lebbra, ritrovare una pelle sana e priva di malattia.

    La fama di quest'uomo semplice, che viveva recluso nel suo oratorio con la sua piccola comunità e che faceva dei miracoli, attirò l'attenzione del governatore della città di Sees, da dove egli era stato cacciato violentemente. Sua moglie, incinta, che portava il loro primo figlio, era affetta da una rara malattia della pelle che la condannava, così come l'erede del governatore che lei portava in grembo. Egli la condusse presso San Latuin e implorò l'uomo di guarire sua moglie e di salvare suo figlio. Pochi giorni dopo, la moglie del governatore ritornò a Sees, completamente guarita, senza alcun segno o postumi della sua malattia sulla pelle, ed aveva tra le sue braccia il figlio del governatore, in perfetta salute, nato all'oratorio.

    Si lodò San Latuin per la sua grazia, il governatore si convertì, così come la sua famiglia e tutta la città, e in ringraziamento per i doni concessi dall'Altissimo a San Latuin, si fece erigere una cattedrale. Fu così che San Latuin divenne il primo vescovo di Sees. Egli esercitò per molti anni, estendendo la sua influenza e la religione nelle regioni circostanti e sempre compì miracoli per guarire gli ammalati di Alencon, di Sees e dei loro dintorni e, molto presto, tutte le città dell'attuale ducato di Alencon divennero Aristoteliche. San Latuin morì tranquillamente durante il sonno, nel cuore della notte. Egli venne condotto al Paradiso Solare dagli angeli e conservò il suo corpo terreno. Al mattino, si ritrovarono solamente i suoi abiti, i suoi sandali così come la sua mitra ed il pastorale, che divennero reliquie del Santo, come la prima pietra della cattedrale che aveva benedetto e dove la sua mano si era stampata.


    Citazioni di San Latuin

    "Ogni malattia è una confessione dai corpi" Disse alla gente di Sees per spiegare che erano ammalati a causa del loro rifiuto della vera fede.

    "L'anima della vostra anima, è la fede" Insegnò a coloro che lo seguirono dopo che fu cacciato dagli abitanti di Sees, divenuti violenti per paura di qualcosa che non comprendevano.

    "Il mondo è nato dall'amore dell'Altissimo, è sostenuto dall'amore degli Uomini, va verso l'amore ed entra nell'amore" Disse alla moglie del governatore di Sees prima di guarirla e di aiutarla a mettere al mondo suo figlio.


    Reliquie di San Latuin

    Le reliquie di San Latuin sono conservate in molte chiese del ducato di Alencon. Ogni anno, il 20 giugno, esse sono portate fuori ed esposte alla vista dei fedeli e sono riunite nella cattedrale, dedicata al santo patrono del Ducato, dando luogo ad una grande messa ed alla più importante festa religiosa dell'anno.

    La Cattedrale di San Latuin di Alencon accoglie nella sua cripta la tomba del santo ma anche, come relique, il pastorale e la sua mitra. Anche se la tomba è vuota, è un luogo di raccoglimento per tutti gli Alenconesi.
    La chiesa di Verneuil conserva una fiala di acqua, benedetta da San Latuin, le cui proprietà curative sono eccezionali.
    La chiesa di Mortagne custodisce come reliquia i sandali del santo.
    La chiesa di Argentan detiene una pietra dove si stagliò la mano di San Latuin così come un vestito che gli era appartenuto.


    Tradotto da Doron
    Revisionato da Kali_




_________________


Dernière édition par Kalixtus le Ven Juil 28, 2023 2:38 am; édité 1 fois
Revenir en haut de page
Voir le profil de l'utilisateur Envoyer un message privé
Montrer les messages depuis:   
Poster un nouveau sujet   Répondre au sujet    L'Eglise Aristotelicienne Romaine The Roman and Aristotelic Church Index du Forum -> La Bibliothèque Romaine - The Roman Library - Die Römische Bibliothek - La Biblioteca Romana -> Le Dogme - The Dogma Toutes les heures sont au format GMT + 2 Heures
Aller à la page Précédente  1, 2, 3, 4  Suivante
Page 2 sur 4

 
Sauter vers:  
Vous ne pouvez pas poster de nouveaux sujets dans ce forum
Vous ne pouvez pas répondre aux sujets dans ce forum
Vous ne pouvez pas éditer vos messages dans ce forum
Vous ne pouvez pas supprimer vos messages dans ce forum
Vous ne pouvez pas voter dans les sondages de ce forum


Powered by phpBB © 2001, 2005 phpBB Group
Traduction par : phpBB-fr.com