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[IT] Il libro dell'agiografia - I Beati

 
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Kalixtus
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MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:37 pm    Sujet du message: [IT] Il libro dell'agiografia - I Beati Répondre en citant

Citation:




    Il libro dell'agiografia

      Libro 1 - Le agiografie

        I Beati

      • L'Abbé Tise di Cambrai
      • Beato Asaph chiamato "Santo Asaph
      • Beato Atri d'Egremont
      • Beato Bonifacius
      • Beato Cicerone
      • Beato "San" Dycat
      • Beato "San" Ethic
      • Beato Gatien de Tours
      • Beato Gauvin de Berry, chiamato "il Maestro".
      • Beato Gengoult
      • Beato Girtan
      • Beata Giulia Liberata
      • Beato Ippolito
      • Beato Jarkov
      • Beato Liziers
      • Beata Maisse Arsouye
      • Beata Mikolo
      • Beata Minus Mailhes
      • Beato Jerem51
      • Beato Morgan de Sauvigny
      • Beato Padre Luigi
      • Beato Platone
      • Beato Pouyss
      • Beato Ray de Boule
      • Beato Seneca
      • Beato Tanys Steward
      • Beato Teodoro di Liguria
      • Beato Tristan Vanqueour de Guillotine
      • Beato Zaltvyskle

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Dernière édition par Kalixtus le Ven Juil 28, 2023 2:16 pm; édité 1 fois
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Kalixtus
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MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 12:43 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    L'agiografia del beato Cicerone e il suo De natura Deorum


    Gioventù

    Cicerone nacque nel 106 a.C. in una famiglia agiata di Arpinum. Intelligente e dalla mente aperta, egli crebbe in un contesto famigliare che traboccava di frutteti, orti e di vacche da latte. Contesto che spiega probabilmente il motivo per cui il giovane Cicerone si fece rapidamente notare per la sua intelligenza e per il suo carisma.
    Su consiglio del suo precettore, un ateniese che l’iniziò alla sua lingua madre e che aveva un grande ascendente sul suo scolaro, Cicerone fu mandato a Roma a compiere i suoi studi di diritto. Nell’81 a.C. divenne avvocato. Usando, e forse talvolta abusando, del suo straordinario carisma, sviluppò un’arte oratoria stupefacente che in pochi anni lo rese la stella dei tribunali romani. Rifacendosi alla tradizione sofista, difese indistintamente tutte le cause, mettendo la sua arte oratoria al servizio dei maggiori offerenti. La sua padronanza della materia e il suo carisma gli fecero guadagnare diversi affari importanti. Il più famoso fu il cosiddetto “Pro Roscio Amerino” in cui si trovò come avversario un liberto di Silla. Questa causa lo rese celebre ma attirò contro di lui anche i fulmini del potere e nel 77 fu costretto all’esilio lontano da Roma.



    La formazione filosofica

    Il giovane uomo, sempre di fretta e sovraccarico di lavoro, si ritrovò nullafacente e dovette scegliersi una destinazione di viaggio. Fu allora che la sua vita cambiò radicalmente direzione perché, probabilmente ispirato dall’Altissimo, scelse di partire per la Grecia. Grazie all'estrema facilità con cui apprendeva la lingua, egli poté interessarsi per la prima volta alla filosofia e frequentare le scuole esistenti a quel tempo. Nonostante nel corso dei secoli il divino messaggio di Aristotele ebbe subito delle contaminazioni, gli fu possibile approcciarvisi per la prima volta, anche se sfortunatamente questo avvenne in modalità fortemente influenzate dallo scetticismo.

    Nel 75, diventato più mite, ottenne l’autorizzazione a rientrare a Roma dove si consacrò alla carriera politica, seguendo il cursus honorum: tribuno di Roma, sindaco di Roma, CAM, procuratore, portavoce e infine nel 63 a.C. divenne Console, titolo a cui potevano assurgere soltanto i Conti Romani.
    Parallelamente, egli perseguì la sua formazione filosofica. Nell'87, Silla aveva preso Atene e trasferito a Roma, sigillate, tutte le opere filosofiche della città. Cicerone, grazie alla sua conoscenza della lingua greca, ch’egli padroneggiava totalmente, ebbe modo di leggere i testi in lingua originale e di rendersi quindi conto delle successive trasformazioni subite dal pensiero di Aristotele. Da quel momento, convertito all’aristotelismo grazie al rigore del ragionamento del filosofo-profeta, consacrò il resto della sua vita alla filosofia. Avendo accolto la sua conversione nella sua vita in modo pieno, cercò di trasmettere queste idee nel corso della sua carriera politica. Fu proprio a causa di questa radicale novità nelle sue idee che il suo mandato di Console non venne rinnovato. Egli si consacrò quindi a partire da quel momento esclusivamente alla filosofia. Fu il primo autore latino di filosofia e si interrogò a lungo, seguendo Aristotele, sulla natura della divinità. Questo portò alla redazione della sua opera maggiore: De natura deorum.


    Il De natura deorum

    In questa opera primordiale che rese popolare il pensiero di Aristotele nell’Impero Romano, Cicerone partiva dalla dimostrazione aristotelica dell’unicità di Dio. In effetti, per Cicerone, come per Aristotele, un Dio deve avere potenza su ogni cosa e deve essere perfetto. Se esistono due Divinità, non possono avere potenza su tutto in quanto sono limitati dall’altra divinità e sono quindi imperfetti. Di conseguenza, l’unicità di Dio è intrinsecamente connessa con la Sua natura divina. Non può che esserci un’unica causa iniziale, un unico motore del mondo e quindi un solo Dio capace di dare ordine al Caos.
    Nell’esplicitazione del ragionamento del Maestro, Cicerone insistette sulla natura trascendentale di Dio. Egli dimostrò che Dio non poteva essere prigioniero della Sua stessa creazione e che la Sua natura infinita imponeva che Egli dovesse esistere aldilà del nostro mondo e persino non manifestandosi in esso. Essendo infinito e onnisciente, essendo la causa di tutto e il legislatore della natura, Egli ha potuto creare quest’ultima in modo tale che essa assolva il suo ruolo di ricreazione permanente dell’opera divina senza ch’Egli debba manifestarsi continuamente.



    La biblioteca aristotelica

    Conquistato dal messaggio di Aristotele, Cicerone decise di costruire una biblioteca consacrata alla gloria del suo Maestro nel centro di Roma. Avendo acquistato un terreno, si accorse che una parte di quest’ultimo era occupata da un tempio abbandonato votato alle false Divinità. Grazie alla sua padronanza delle procedure, forzò il Pontefice Massimo del tempo, Cesare, ad annullare la consacrazione del tempio. Nonostante tempo addietro in un processo avesse ridicolizzato il Pontefice Massimo che si avviava verso la dittatura, e quindi si fosse attirato l’odio durevole del clan di Cesare, riuscì comunque a far distruggere il tempo e a far erigere una magnifica biblioteca, rivestita di dipinti inneggianti alla gloria di Aristotele e contenente tutte le opere necessarie alla piena comprensione del Maestro dei maestri. Preservata nel corso dei secoli, questa magnifica biblioteca fu alla base della costituzione dell’immensa e incomparabile biblioteca vaticana.


    Gli ultimi anni di vita

    L’ultimo processo gli aveva creato forti inimicizie nel clan di Cesare. Nel 43 a.C., Ottavio, il futuro Augusto, desideroso di ristabilire il culto ufficiale e di cancellare l’onta del processo perso, intimò a Cicerone di riconoscere il suo errore e di erigere un tempio alla gloria di Venere, mitico progenitore di Giulio Cesare. Davanti al rifiuto del filosofo di rinnegare le sue affermazioni, il nuovo padrone di Roma lo condannò all’eradicazione e gli inviò il centurione della sua guardia pretoriana con il compito di tagliargli la testa. Rispettoso dell’ordine stabilito ma convinto della sua filosofia, per rendere le cose più facili al centurione, Cicerone gli porse il collo, ma lo fece recitando il dialogo di Aristotele in cui quest’ultimo dimostrava l’unicità di Dio.

    Grazie alla sua opera di traduzione, ai suoi trattati di filosofia in lingua latina e all’edificazione della biblioteca aristotelica, Cicerone ha facilitato enormemente la diffusione del messaggio di Cristo nell’Impero Romano.

    Per l’eleganza dei suoi discorsi e per la chiarezza delle sue arringhe, Cicerone, martire della fede, fu per sempre preso ad esempio dagli avvocati.

    Tradotto da Micchan.

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MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 1:32 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Agiografia della Beata Liberata Giulia
    (701 - 713 D.C.)



    L’Infanzia di Beata Giulia


    Beata Liberata Giulia, figlia di Braga, Re di Sabuedo, nacque nell’ VIII secolo.
    Sin da bambina, si diceva fosse bellissima e schiva e che tralasciasse i giuochi tipici di quell’età, preferendo ritirarsi nei proprî appartamenti per meditare. Il carattere e l’aspetto riservato della propria figlia aggradavano il re, sebbene questi fosse sospettoso, che ritenevate avrebbe così potuto maritarla, per scopi sia economici che politici, ad un qualche prence che avesse abbondanti terre e divizie in maniera tale da accrescere la rinomanza della famiglia reale.

    La Scoperta del Libro delle Virtù


    Ciò che il Re non poteva sapere era che, un mattino, Liberata Giulia avesse, trovato, svegliandosi, un libro sotto il cuscino. Lungi dallo stupirsi, ella pensò ad un dono del padre, uomo burbero, ma pur sempre gentile nei suoi confronti, e lesse l’opera con tanto impeto da innamorarsi ben presto dell’ eroe della storia che morì crocifisso e credette adamantina a questa narrazione.

    Pertanto, allorché si era diretta alla ricerca del proprio padre per ringraziarlo del dono, costui disse di non esserne l’autore e, turbato, cominciò a far condurre un’inchiesta all’interno delle mura del palazzo onde scoprire chi avesse avuto la temerarietà di fare questo regalo alla propria figlia. Frustra.

    Tuttavia, era ben distante dal sospettare quanta influenza esso avesse avuto sulla propria figlia e, allorché questa ebbe 12 anni, un trovatore di passaggio alla Corte le narrò la storia di Chrostos, morto sulla croce per la propria fede, la fede Aristotelica, di cui ella, così, apprese l’esistenza; la ragazza non poté non riconoscere l’eroe del proprio libro e decise di consacrare da allora tutta quanta la propria vita a costui.

    Il Progetto del Matrimonio ed il suo Insuccesso


    In questo periodo il re, d’altro canto, perseverava nella volontà di far portare a termina alla figlia un matrimonio politico ed aveva già stipulato un patto con Vergeborderio, re di tutte le terre d’Africa conosciute ed immensamente dovizioso, il quale gli aveva promesso, oltre ad una dote considerevole una certa copia di lande dell’Africa ancora inesplorata che, si diceva, rifulgessero d’oro.

    Perciò, una mattina di dicembre, il re svelò il progetto di matrimonio alla figlia, la quale, dopo qualche momento di panico, si oppose risolutamente. Tuttavia, il padre ritenne che non fosse che un capriccio da bambina viziata e volle imporsi colla forza. Allora, dalle labbra di Giulia Liberata furono pronunziate queste parole: “La ragione, senza l’avvallo del cuore, è come un guscio vacuo. La cosa essenziale è da trovarsi altrove e Dio oltrepassa i contrasti delle parti.”

    La Barba di Santa Giulia


    Il padre, lì per lì, non comprese che cosa volesse dire, ma, vedendo sul suo comodino un libro il cui nome era: “Libro delle Virtù II: La Vita di Christos”, incuriosito, lo prese onde poterlo leggere. Così capi che la propria figlia si fosse infatuata di Christos da pronunziare le sue medesime parole ed a ripudiare la fede pagana dei proprî antenati.
    Allora decise di farla rinsavire con la forza, ma allorché entrò nei suoi appartamenti, fu soggetto ad una visione orripilante: sul viso della figlia era spunta una lunga barba ispida.
    Sconvolto, tentò di strapparla, credendo fosse un inganno, ma non riuscì a far altro che causare le grida della poveretta.

    “Quale sortilegio ha dunque ha affetto mia figlia? Quale signore delle Tenebre servi per esserti così ridotta nelle condizioni di un uomo?” per tutta risposta Liberata disse: “Quello che tu interpreti come un sortilegio, invero è una mia richiesta…dacché gli eretici sono come le formiche, ritornano sempre.” ed aggiunse “Padre mio, ho pregato l’Altissimo che, per amore di Cristo,s mi rendesse turpe, affinché io potessi consacragli la mia verginità, cosa che non potrebbe essere qualora mi spoassi con l’uomo cui tu mi ha destinata.”

    Il Martirio di Santa Giulia


    Tuttavia, il Re, ormai furente, tentò ancora, per un ultima volta, di persuadere la propria figlia la quale rispose: “ Padre mio, le parole che escono dalla mia bocca non sono solo una mera ripetizione di frasi fatte apprese a memoria nei libri; è Christos che le pronuncia tramite la mia bocca poiché io amo lui come egli ama me.”

    Allora, livido pella collera e pel dolore a causa della mancanza di rispetto da parte della sua stessa figlia, il padre le disse: “ Se tu ami Christos quanto dici allora morrai come lui! Sei pronta a sacrificare la tua vita sulla croce come lui?”

    Liberata rispose solamente con un cenno affermativo del capo.


    Allora, nel glaciale giorno sette di febbraio, il sovrano fece inchiodare su di una croce il corpo della propria figlia dinnanzi a tutto il popolo radunato, onde educarlo: “ Mi figlia si è ribellata alla mia potestà: non vuole sposare l’uomo cui l’ho destinata e che la renderebbe ricca e felice; tuttavia, egli preferisce a questi un certo Christos, un falso profeta…che ella sia giustiziata!”

    Come Questo Martirio Convertì I Sudditi del Re


    Questo spettacolo ebbe l’effetto opposto; in pochi mesi, molto sudditi si informarono sul conto di questo Christos e divennero Aristotelici a causa dell’amore che egli aveva predicato, mentre rinnegarono la crudeltà della religione pagana. Il re, spossato da una tale e giunto all’acme delle proprie forze da un punto di vista sia fisico che morale, morì al crepuscolo del sette settembre del medesimo anno.

    Santa Giulia Protegge un’ Artista Povera


    Poco dopo la morte della beata, il suo culto si diffuse in maniera significativa e fiorirono ovunque dei crocifissi con delle donne barbute a simboleggiare la figlia del re che, con il suo sacrificio, aveva reso nota a tutti la religione Aristotelica nonché l’amore per il profeta e per l’Altissimo.

    Un giorno, mentre una povera violinista suonava dinnanzi ad una statua della beata, questa si animò e tese alla poveretta una scarpa argentea per alleviare un po’ la sua miseria. Accusata di furto, la musicante fu condannata a morte. Tuttavia, dinnanzi alle sue ripetute preghiere, ottenne di potersi recare a raccogliersi per un’ultima volta davanti alla statua della beata e lì, sotto gli sguardi increduli di tutti, Liberata donò alla musicante la seconda scarpa, provano così l’innocenza della violinista.



    Festa della Beata;
    17 Luglio
    Reliquie:
    xilografia della Beata custodita a Guastalla
    Crocifisso Ligneo della Beata a Fornovo

    Beata Protettrice degli Artisti e dei vagabondi

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MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 1:34 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia del Beato Platone

    I. LA NASCITA


    Nella città di Atene, a quel tempo, alcune famiglie avevano in larga parte il dominio sulla vita sociale. Tra esse c'era la famiglia di Aristone che discendeva dal Re Codro, l'ultimo leggendario re d'Atene, ed inoltre essi avevano per la loro genealogia, le funzioni esercitate dai loro membri e la loro importanza finanziaria, una più o meno grande influenza sulla vita della città.

    Una sera tempestosa, la giovane Perittione, lei stessa appartenente ad una famiglia influente, che cercava un riparo dalla copiosa pioggia, cadde davanti ad un tempio di Ermes e proprio lì Aristone accorse a rialzarla, e le offrì un tetto sotto cui ripararsi. Trascorse solamente una giornata affinché essi decidessero di sposarsi.

    Nell'ambiente dei due amanti, questa unione, sebbene permessa, suscitava dibattimenti e turbamenti: non era tradizione sposare tanto rapidamente persone di cui non si conoscevano le famiglie, ed il temporale era visto dalle superstizioni antiche come un cattivo presagio.

    Tuttavia, dall'unione di Aristone e Perittione nacquero quattro bambini: Adimanto, Glaucone, Aristocle, ed la bella Potone.
    Dei quattro, solo la nascita del terzo figlio diede problemi: non solo Ariston era partito in guerra e non potè vedere la sua prole, ma per di più Périctone durante il parto era in viaggio, ed il bambino nacque sulla strada, di notte, ad alcune leghe da Atene, e fu solamente per un miracolo che esso riuscì a sopravvivere così come sua madre. Decise di chiamarlo Aristocle, seguendo la tradizione perché era quello che il nome del padre di Ariston che era morto da poco.

    II. LA GIOVENTÙ


    Ma al suo ritorno dalla guerra, Aristone trovò i suoi tre figli cresciuti, e soprattutto Aristocle che non aveva avuto ancora mai l'opportunità di vedere che aveva già cinque anni ed era ben nutrito. Le prime parole che gli disse, giustificarono il soprannome che il bambino custodì fino alla sua morte. " Mi aspettavo di vedere un piccolo poppante in fasce ed invece ti trovo loquace ed allenato in un corpo molto largo! " La parola " largo", per l'ampiezza delle spalle, in greco si dice " Plato", fu soprannominato da allora " Platone", per tutti quelli che incontrò in futuro.

    Fin dalla sua giovane età, Platone sembrava presentare grandi capacità intellettuali, e per questa ragione, i suoi genitori insisterono per formarlo alla musica, alla matematica, allo sport, alla pittura ed alla grammatica. Così, a 16 anni, scrisse le sue prime poesie e le sue prime tragedie.

    A 19 anni, una voce pubblica giunse fino alle sue orecchie: il grande filosofo denominato Socrate era in città e sfidava il pensiero comune. Per Platone, fu una rivelazione: il pensiero poteva essere sfidato, ed esisteva un uomo che respingeva ciò che gli avevano insegnato in modo da poter comprendere da sé le verità che percepiva. Decise di incontrare questo Socrate. Ma i suoi genitori, temendo che questa cattiva compagnia non lo compromettesse nell'avvenire politico che gli riservavano, gli vietarono di rendersi a lui.


    III. LA RIUNIONE DI SOCRATE


    In una palestra conosciuta per essere il luogo favorito del vecchio filosofo, Platone andò ascoltare un dialogo tra Socrate ed uno dei suoi discepoli, senza, certamente, avere informato i suoi genitori. Preoccupandosi di non essere denunciato, aveva deciso di tacere la sua identità.


    Scorgendo il giovane uomo che non aveva mai visto prima, Socrate interruppe la sua discussione e lo indicò rigorosamente col dito dicendo:

    SOCRATE “chi sei, tu che entri qui per ascoltare le mie parole?„

    PLATONE “sono Platone, figlio umile di due agricoltori. Non posso pagare per apprendere i tuoi insegnamenti, o stimato maestro, ma posso diventare discreto.„

    SOCRATE “qui, non è il luogo né per la discrezione, né per la menzogna, Platone. Se sei qui, devi venire di fronte a tutti, ed argomentare senza errore. Non sono sofista da fargli pagare per le lezioni piene di certezze tanto false come la tua pretesa condizione contadina, denunciata dal vostro abbigliamento ridicolo.„

    Impressionato da Socrate che era riuscito a smascherarlo, Platone si giurò di seguirlo indefessamente, ed accettò di dialogare con lui. Per anni, Socrate e Platone solcarono insieme le strade per indurre la gente ad assumere le loro idee e rifiutare le opinioni senza fondamenta. Socrate utilizzava la sua libertà di pensare su tutti gli argomenti ed in occasione dei suoi dialoghi pubblici iniziò a rimettere in discussione i dogmi del politeismo della sua epoca. Così, giudicò gli atteggiamenti attribuiti ai dei greci indegni di reali divinità e la sua riflessione sembrava portarlo verso la dichiarazione di una divinità unica.
    Ma un giorno quando Platone era malato, alcuni soldati vennero ad interrompere Socrate in piena discussione, e lo accusarono di disordine all'ordine pubblico, d'empietà verso gli dei e di corruzione della gioventù. Fu fermato, giudicato, e condannato a morte tramite assunzione di cicuta.

    Inconsolabile, Platone tornò ad Atene e decise di mettere per iscritto i dialoghi più "roventi" del suo padrone che aveva ancora in memoria. Tuttavia, non ebbe il coraggio di riprendere i dialoghi del suo padrone sulle divinità, né proseguire la sua riflessione. La paura della morte fermò Platone.
    Una volta chequesto lungo lavoro fù compiuto, non osava porre termine all'opera di Socrate, e fondò l'accademia perché i giovani uomini e donne di Atene dove si poteva ottenere una formazione degna della memoria del suo padrone.

    IV. ARISTOTELE

    Con il passare degli anni, l'accademia di Platone diventò il luogo più apprezzato per l'arricchimento culturale e la formazione intellettuale. Non esisteva una grande famiglia che non iscrivesse i suoi bambini per far seguire loro gli insegnamenti dell'accademia, in modo che una vera amministrazione si predispose attorno ad essi, e non tutti potevano essere accettati senza superare tre prove di cui una era di tipo morale, una fisica, ed un'intellettuale:
    Le megere: vecchie donne antipatiche furono assunte per dissuadere i meno motivati dei discepoli.
    Il labirinto: i locali dell'accademia, sontuosi dell'esterno, erano un vero labirinto affinché i discepoli capissero che il cammino della conoscenza non è mai né diritto né semplice.
    Il sillogismo: ad ogni nuovo discepolo, Platone aveva abitudine di proporre un paralogismo, cioè un sillogismo perverso, per provare la sua reattività e la sua vivacità di spirito. Così un giorno, un allievo per il quale Platone non era stato avvisato entrò nell'anfiteatro nel quale dava una lezione. Si trattava di Aristotele. Come era visibile aveva passato la prova delle megere e quella del labirinto, Platone gli fece dimostrare che un gatto non poteva avere otto code.

    Impressionato dal rigore con il quale Aristotele gli rispose, lo accettò fra i suoi discepoli. Tra loro, fedeltà e complicità si formarono, che mai non aveva conosciuto con Socrate, quando era lui stesso discepolo. Ogni volta che elaborava una teoria, Aristotele ne trovava la giustificazione, e tutti due si intendevano su tutti gli argomenti della vita.

    Così passarono per anni fino a che Aristotele decise di lasciare Atene, incapace di mettersi d'accordo con Platone sulla corrispondenza delle idee e delle cose. Inizialmente, Platone si rammaricò di questa partenza, che giudicava indegna di uno spirito posato. Credé che Aristotele, offeso per non essere d'accordo con il suo padrone, avesse fatto un capriccio.

    Tuttavia, alcuni anni più tardi, udì nuovamente parlare di questo discepolo che non era mai riuscito a sostituire. Infatti, uno dei suoi allievi gli annunciò che lasciava il suo corso per Axos, poiché il maestro Aristotele vi insegnava cose ancor più innovatrici di quelle che facevano nella sua accademia. Allora, soddisfatto di aver formato un essere abbastanza profondo tale che riesca a formre anche lui dei giovani spiriti, decise di porre fine al suo lavoro accademico.

    V.GLI ULTIMI GIORNI

    Riprendendo il cammino verso la costa dello Troade, Platone sentì le proprie forze diminuire, e quando la gente lo riconosceva, si sorprese sempre più spesso di non voler dialogare con loro per stanchezza. Arrivato all'accademia di Aristotele, si mascherò per non essere osservato, ed osservò il suo vecchio discepolo spiegare l'unità di Dio. Cosciente di essere stato in gran parte superato in saggezza e trovando nel ragionamento di Aristotele quello che aveva già descritto il suo vecchio maestro Socrate, fu scosso nelle sue certezze e tornò nella sua locanda senza andare a salutare il suo vecchio amico.

    È in questa locanda di Axos che prese realmente coscienza della verità delle opinioni di Aristotele. Trovando infine il coraggio che gli era mancato nella sua gioventù, esclamò, dinanzi ai clienti e proprietari stupiti: “Aristotele ha ragione: da Dio, ce n'è soltanto uno, e garantisco che l'ha condotto a me perché io lo aiuti a trovare la Sua verità. Gloria sia resa ad Aristotele, posso morire in pace. „ Ed infatti, fu proprio quella notte che si estinse Aristocle-Platone nellasua camera della locanda di Axos.


    Tradotto da Filippo Benedetto Spadalfieri da Pontiregi detto "Philipdikingsbridge"

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    Agiografia del Beato Seneca
    De Providentia

    L'AUTORE

    Seneca visse nel I sec. dopo Christos; nacque da una famiglia romana che s'era stabilita in Spagna.
    Durante gli anni della sua gioventù, egli frequentò il filosofo Sotione, un pitagorico erede di Aristotele, fortemente portato allo studio delle scienze attraverso l'osservazione e il ragionamento, e del filosofo stoico Attalo che fu colui che più di altri spinse Seneca ad aderire alla nostra religione e che avrebbe ispirato tutte la sua riflessione sull'onnipotenza divina, fatalità dinanzi alla quale tutti i destini individuali si debbono inchinare.

    Dall'insegnamento di questi due uomini, Seneca stesso avrebbe tratto alcune delle scoperte che lo resero celebre: fu così che il primo, basandosi sull'osservazione e sul ragionamento, enunciò il famoso principio di Seneca:
    "Ogni corpo immerso in acqua ne esce bagnato."
    Inoltre, grazie a lui, con l'uso della ragione, siamo venuti a scoprire altri principi altrettanto meravigliosi, come quello della suo discepolo Tarzan che enunciò, stoico e fatalista, con il semplice utilizzo della sua ragione, il fatto seguente: "Chi non sa nuotare è destinato a colare a picco"!
    E' quindi a buon diritto che si ritiene Seneca il padre della filosofia constativo-constativa.

    Il suo talento finì per indirizzarlo alla carriera politica, ostacolata per qualche tempo dall'esilio in Corsica, dove lo aveva spedito l'imperatore Claudio.
    Tuttavia, la scienza di Seneca era tale che riuscì a distillare una pozione di sua invenzione che venne somministrata segretamente all'imperatore, che si ritrovò trasformato in zucca!

    Rientrato nelle grazie del potere, divenne precettore di Nerone, al quale si impegnò ad insegnare la virtù del giusto equilibrio.
    Ahimè, ben presto Seneca commise l'errore di confondere la ragione con la Ragion di Stato e aderì, a nome del giusto mezzo, all'assassinio di Agrippina, madre dell'imperatore, lui solo, senza essere consapevole del pendio scivoloso sul quale si era spinto.
    Infatti, ben presto fu il suo turno di cadere in disgrazia; prima che gli fosse ordinato di suicidarsi, cosa che fece con in puro stile stoico, inchinandosi ai voleri del destino, organizzò una cena con gli amici al termine della quale si aprì le vene.

    Fu durante il periodo in cui cadde in disgrazia che scrisse il De Providentia.


    IL DE PROVIDENTIA

    Il De Providentia è un'opera in cui Seneca dimostra che nulla di veramente malvagio può accadere all'uomo retto.
    Ciò che appare come avversità è soltanto un mezzo attraverso il quale l'Altssimo testa le virtù di ogni uomo.
    In quanto tale, colui che è uomo retto uscirà dalla prova più forte di prima.
    Così l'uomo saggio è colui che si sottomette alla volontà divina, senza alcuna limitazione, accettando il destino che gli è toccato e cerca di star lontano da tutte le fonti di corruzione (crimine, avidità di denaro , desiderio di fama) che lo possono trasformare in un essere malvagio e soggetto alla punizione divina.
    Per il resto, come lui stesso dice nella sua conclusione: "Se muori per aver preso una tegola in testa, questo era il tuo destino divino, poichè la volontà divina è onnipotente, e non vi è alcun dubbio che fu l'Altissimo che ha lasciato cadere la tegola iallo scopo di farti seguire un altro percorso ".
    "Tutto è per il meglio nel migliore dei mondi, disse anche, un mondo rgolato come le sfere celesti che si muovono per dare al mondo la sua gerarchia e il suo ordine, come Aristotele ci ha insegnato. Ciò che ci accadei è parte del disegno divino ".



    Scritto e tradotto da Fratello Jerem
    Tradotto in italiano da Padre Ariberto

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MessagePosté le: Ven Juil 28, 2023 2:13 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia della Beata Tanys Stewart
    chiamato Tanys de Urgell

    "Incontrare Tanys, mi ha portato ad essere più vicino alla Chiesa, e la sua morte, mi ha spinto a prendere il calamo per scrivere queste pagine, e non è abbastanza ancora per rendere grazie per il lavoro svolto dal protagonista di questa storia, perché egli fu un sant'uomo. Questo è quello che i testimoni che lo hanno sentito e visto, dichiarano.

    Per la migliore conoscenza della storia del Galles, questi testi non solo riferiscono la mia personale esperienza: noi includeremo anche suoi propri scritti e le voci di altri che l'hanno incontrato nella vita, per dare forma e colore in modo migliore ai suoi passi tra noi. Questo umile scrittore giura di fronte al Libro delle Virtù, restare fedele alla storia per quanto possibile, così che la nebbia del tempo non si possa affievolire i fatti da ricordare"- Andreu Colmenar i Bathory, noto come Kolme.

    È nostro dovere onorare e tributare venerazione silenziosa a un uomo che, con la sua aura di santità, ha servito la Chiesa ispanica con l'esemplarità e la fedeltà di un santo. La vita di Tanys, ha illuminato generazioni di Vescovi, e all'ombra di un grande uomo come lui, la Chiesa è cresciuta e ha vissuto la sua epoca d'oro. È per questo che scrivo, tanti anni dopo la sua morte, cercando di recuperare la sua vita e il suo lavoro, in modo che non possa mai morire, e, come la sua anima nel paradiso solare, possa essere sempre un testimonianza eterna. - Nicolás Borja, Cardinale della Chiesa Aristotelica.



    I. Le Origini - La sua Vita e la sua Prima casa

    A proposito del giovane Tanys, possiamo recuperare solo le poche parole che egli ha lasciato nella sua biografia, prima di essere ordinato sacerdote da Aparicio. Suo padre era un soldato gallese, fuggito dal suo paese dopo una guerra fratricida, e sua madre era la pia figlia di un mugnaio catalano che ospitò il padre fuggito. Tanys nasce e crebbe dalla coppia sposata, ammaestrato nella fede aristotelica come un ideale di vita. Ma dopo un po' di tempo, alcuni banditi si presero lavita dei suoi genitori. Solo al mondo, ferito e pensando che il genere umano fosse motivo della sua disgrazia, Tanys passò i successivi sette anni della sua vita a vivere come un eremita, lontano dalla società, senza lavoro né casa.

    Tuttavia, mentre ancora era giovane, fece un sogno, mentre dormiva sotto un albero di ulivo, che gli fece capire quanto era orgoglioso. Queste rivelazioni gli mostrarono la verità, quelle stesse che Aristotele aveva insegnato di eremita Tebas: un uomo è completo solo quando può vivere in virtù tra gli altri uomini, come un saggio deve contribuire alla vita della città. Questo è un chiaro simbolo delle parole di Aristotele, che dicono:

      "Una vera amicizia è possibile solo tra eguali. Ma tu sei vivo come un olivo: piantato e immobile. Si vive lontano dall'umanità, piuttosto che dalle città, partecipando come gli altri esseri umani. Allora vi si permetterà di mettere radici, addio!"


    Tanys non ebbe dubbi a seguire l'insegnamento di Aristotele e ispiratone, decise di ritornare in società e iniziò a cercare il giusto equilibrio. E questa (non) fu la sua sola rivelazione.


    II. La sua via nella comunità - Il suo tempo nella mondanità

    Così, egli si stabilì in Urgel, un luogo che sempre considerò la sua casa. Lì, scoprì la sua vocazione di servire l'Altissimo, e decise di prendere i voti, per la gioia dei suoi vicini. Juan Valdés, il Vescovo, vide la fede e il suo desiderio di servire la comunità di Irgel, e lo cooptò, nominandolo vicario nella chiesa cattedrale di Urgel, il 20 dicembre dell'anno di grazia 1455.

    Le sue prime messe e battesimi, divennero famosi con l'arrivo di Sua Eminenza il Cardinale Ubaldo, che ammirava le prediche di Fratello Tanys per "la sua semplicità e la vicinanza alla gente". E se la sua devozione fu grande per la Chiesa, ma ebbe anche grande devozione per la gente, così che fu eletto tre volte sindaco di Urgel. Furono mandati prosperari ed esemplare, ed i viaggiatori riferiscono che l'ospitalità di Urgel ha avuto origine in quei giorni.
    Ma presto egli scoprì la necessità di concentrare se stesso in colloqui spirituali e, quando venne nominato Parroco di Urgel, egli lasciò da parte la sua vita politica, per essere solo al servizio della religione.


    III. Il suo viaggio in Francia - Le sue conoscenze e la sua formazione

    Fin dal primo momento egli fu lluminato. In quei giorni, la Chiesa dei Regni Ispanici non era altro che un giovane virgulto del forte albero che sarebbe diventata nei mesi e anni successivi.

    Fray Tanys, consapevole di ciò, organizzò il clero catalano attraverso lo studio di diverse discipline, e decise di recarsi in Francia insieme alla diaconessa Sorkunde (che, in seguito, sarebbe diventata la regina d'Aragona), per approfondire la conoscenza della fede. Lì, egli ebbe modo di divenire un erudito, imparando dai teologi più illustri del suo tempo.

    Nel suo viaggio egli incontrò l'Ordine Cistercense, studiando il lavoro e la dottrina dei santi nelle terre di Francia , imparando il loro ruolo e seguendo icon fervore i i loro principi, creando un indissolubile legame con molti alti dignitari di quell'Ordine religioso regolare.

    Quando tornò nella penisola iberica, fu nominato vescovo di Llerida da Sua Eccellenz Don Svarogih, il 18 giugno dell'anno 1456. La sua vita e magistero seguirono il cammino dei santi Cistercensi, guidati dall'esempio di Santa Illinda, San Benoit e San Bynarr. La sua fede incrollabile, la sua umiltà e le sue vesti prive di ogni tipo di lusso, così come il suo modo sereno di guardare, erano gli attributi più facili da vedere in lui.

    Il suo lavoro pastorale fu immenso e ha ispirato molti Vescovi che vollero seguire il suo esempio, come per l'esempio di Christos e dell'Apostolo.

    Con la sua nuova responsabilità,lavorò alla modernizzazione dei registri battesimali insieme a Ubaldo, e la pubblicazione dei registri Parrocchiali. Inoltre viaggiò nelle diocesi, dando impulso alle nuove vocazioni e alla nomina di nuovi sacerdoti, organizzando masse e sacramenti, e predicando per le strade.

    Le sue prediche erano così convincenti, ispirate dall'Altissimo, che la popolazione ancora ricorda le cerimonie di massa di molti giovani credenti catalani e aragonesi nel fiume Ebro e nei suoi affluenti, dal momento che le chiese non erano sufficientemente grandi per così tante persone che desideravano divenire fedeli.


    IV. El Císter - Un abbazia a Urgel

    Quando tornò nella penisola iberica, insieme ad un numeroso gruppo di fratelli, chiese al Capitolo dell'Ordine Cistercense, di poter fondare un'Abbazia nella penisola iberica, che, a quei tempi, non aveva alcun ordine di clero regolare, né la possibilità di seguire la via contemplativa della vita in una comunità monastica, per praticare le virtù aristoteliche in una società guidata strettamente dalla Dogma e dai principi della Fede.

    Dopo aver ottenuto la patente di approvazione del "Cister", e l'autorizzazione a diventare egli stesso Abate, egli ricevette una generosa donazione dal conte di Urgel, Don Juhan I de Volpilhat, che concesse alla Chiesa, in modo definitivo e perpetuo, parte dcelle sue terre feudali, insieme con l'Abbazia di Vallbona, che a quei tempi era abbandonata, e faceva parte, precedentemente, dell'Ordine benedettino.

    Con il suo influsso rinnovatore, l'Abbazia tornò in vita, e divenne un centro intellettuale di grande importanza: i monaci hanno lavorato giorno dopo giorno nello scriptorium, alla copia e traduzione del Dogma, del diritto canonico e della vita dei Santi, perfezionando la morale e la creando il primo seminario ispanico, dove i novizi e preti secolari venivano entrambi istruiti ai misteri della fede.

    Tra i campi di luppolo e orzo, la fede crebbe, e fu fondato un convento storico, che rafforzò l'importanza della Chiesa aristotelica.


    V. Guerra e Religione - La sua ascesa alla Primazia

    Poi, ebbe inizio una grande guerra civile della Corona d'Aragona: il Consiglio di Reggenza guidato da Jehan de Urgel crollò, il Re Reginhart scomparve per lungo tempo, il Principato di Catalogna volle rompere i suoi legami con la Corona, e l'instabilità generalizzata, condizionata dal processo e giudizio dei "Tercios" in Catalogna, e le diverse sollevazioni in Aragona contro gli stessi "Tercios", l'esercito della Corona.

    La guerra si estese e i campi furono tinti di rosso, e lo scontro degli eserciti, abbandonata la fede, affrontarono epoche oscure. Tuttavia, la figura di Tanys emerse, e come luce nelle tenebre, fu essenziale per la risoluzione di quel sanguinoso conflitto, nogoziando tra le diverse fazioni, in nome della Chiesa e dell'amicizia aristotelica.

    Dopo ciò, i chierici dell'Assemblea Episcopale, lo elesse Primate il 23 Ottobre nell'anno di grazia 1456.

    Anche se egli cercò con insistenza di rendere i fedeli docili al bisogno di pace, la creatura senza nome vinse questa battaglia. Nel Dicembre del 1456, la Catalogna si rese indipendente, e ogni regno della Corona iniziò una cammino solitario lungo una strada diversa.
    Tanys, come Primate della Chiesa, chiuso quel triste capitolo della storia, quando annunciò la destituzione di Reginhart da re della Corona d'Aragona, usò le parole: "Rex eris si recte facies, si non facias, non eris" ( Sarete re se agirete con rettitudine, se non lo farai, non lo sarai), a dimostrazione che la virtù è al di sopra del potere, e che il potere è sostenuto dalla virtù: quelle erano le parole di Isidoro di Siviglia, al tempo dei Visigoti, che si sarebbe udite di nuovo, ma questa volta sulle sue labbra.

    Dopo quel momento, il suo lavoro fu solo per la Chiesa e la sua ristrutturazione: venne creato il Concistoro Ispanico, venne riscritto lo statuto della AEH, e ogni città ricevette una visita e predicazioni incessanti, molti battesimi lungo i fiumi, nomine dei vescovi nei posti vacanti, dialoghi fluenti con le istituzioni di ogni regno, con un incremento delle vocazioni ispirate alla grande attività intellettuale della Chiesa, la creazione delle basi per l'Ordine Episcopale delle Sante Armate dei regni ispanici, l'espansione del "Císter" e una trattativa per un nuovo Concordato con la Catalogna, che non fu cancellato dalla CHiesa con la fine del vecchio Concordato con la Corona, ma che vide rinnovati i propri obblighi.

    Frate Tanys aprì le porte della Chiesa ispanica in entrambi i sensi: dai fedeli alla Chiesa, e dalla Chiesa ai fedeli. Ci ha mostrato che c'era una lunga lista di incarichi dove i nostri fedeli e religiosi potevano lavorare per la Chiesa, non solo a livello della diocesi, ma anche nelle congregazioni romane. Oppure pure piccoli compiti - ma anche importanti - come il coro della chiesa o la raccolta di un mazzo di fiori per l'altare.

    Quindi, tutto il suo lavoro ebbe culmine nella celebrazione del "Primo Concilio della Chiesa aristotelica Ispanica", un evento che iniziò una nuova era per la Chiesa nelle nostre terre, dove la nuova Chiesa ispanica sarebbe stata forte e unita dal messaggio del Profeta e dalla volontà di Dio, con una missione esclusivamente spirituale.

    Così, il suo lavoro portò frutto e divenne un forte e robusto albero, che nonostante la minaccia di coloro che sono contrari alla fede, non potrà mai essere abbattuto. La sua umiltà ha raggiunto gli obiettivi che il potere e l'ostentazione non erano riusciti a realizzare: i principi secolari lo rispettavano, ma non a motivo dei suoi oneri e onori, ma a motivo della sua santità.

    Sembrava che la pace iniziava a farsi di nuovo strada nei territori dell'antica Corona, con una nuova era di prosperità in cui la fede era diventata sempre più importante, anche se i Regni avevano iniziato la loro strada come stati independenti, e la Catalogna incoronava i propri principi.


    VI. Il tramonto - Il ritiro e la fine della sua vita...

    A causa della sua attività incesante, la salute del suo corpo fisico peggiorava. Anche le sue visioni erano diventate ogni volta più difficili da tollerare. E, come le più brillanti stelle hanno la loro fine, lui ebbe la sua: saggio e guidato dalla fede e dalla ragione, si dimise da ogni carica per grazia di Aristotele e Christos. Tuttavia, venne nominato Vice-Primate e Cardinale Nazionale elettore, per la sua importanza e influenza. Nella sua amata Urgel, tra le mura della sua casa, trascorse i suoi ultimi giorni, fino al suo ultimo respiro, discreto come sempre.

    E la sua luce, smise di brillare in questo mondo per brillare ancora oggi come una stella nel Paradiso solare.

    Ancor più, la leggenda ci dice che, tra le rovine della sua casa, un albero di ulivo cresce ora, e nell'abbazia di Vallbona, la sua "magnum opus" di portare il "Cister" nella penisola iberica, le sue predicazioni si sentono ancora aleggiare nelle notti della calda estate catalana.


    VII. ...ma non la fine della sua opus - né dei suoi miracoli

    Molte cose sono state dette sulle apparizioni di Frate Tanys dopo la sua morte. Il mito è ricco e di solito contraddittorio, ma ci sono due miracoli centrali e autentici, con un numero importante di testimonianze e di verità dimostrate.

    Il primo miracolo che gli viene attribuito è quello dell'ubiquità: fu visto contemporaneamente nell'Abbazia di Vallbona des Monges, durante la messa notturna, e nel Palazzo di Pedralbe nelle Sale dei Catalani per discutere il Concordato, e a battezzare nel fiume Ebro, il tutto allo stesso tempo. È stata documentata la sua apparizione in molti luoghi, alla stessa ora, nei suoi tempi d'oro: L'Altissimo gli ha dato questo dono perché sapeva che la sua vita non sarebbe stata abbastanza lunga per riordinare completamente la Chiesa Ispanica se non era in grado di essere in molti luoghi allo stesso tempo, così come la Chiesa doveva essere presente su molti fronti.

    Il secondo miracolo, è stato un giorno con eclisse solare. Si dice che durante una delle sue predicazioni nelle piccole città di Andorra e dei Pirenei, il suo corpo divenne etereo, immateriale, e mostrò l'immagine di un uomo con la barba e l'aspetto messianico, coronato da un alone, vestito di luce, trasfigurato, come in un'ascesa al Sole. I teologi dicono che quei simboli scelti da Dio rappresentano la "Salita di Christos", per rendere un così difficile concetto teologico, semplice agli occhi dei presenti che partecipavano alle sue predicazioni.


    VIII. La sua eredità sulla Terra - Le reliquie di Tanys

    Tra i suoi possedimenti materiale che si lasciò alle spalle dopo la sua morte, possiamo annoverare:

    un collare con una croce di legno, realizzato con legno di ulivo, secondo la tradizione, da un ramo di quello sotto cui ebbe la sua visione. È in possesso alla famiglia Berasategui, a Valencia, a motivo del legame di Tanys con Sorkunde.

    Un bastone da pellegrino con una zucca borraccia, perso da qualche parte in Urgel.

    Un pezzo di mantello frastagliato, del saio del Cister, perso in Vallbona.

    Una ciotola di legno, dove bevve l'ultimo sorso d'acqua prima di morire, perso in Catalogna.

    La medaglia cardinale d'Aristotele, sparito a Roma, durante i suoi viaggi alla Curia.

    Un manoscritto con i suoi ricordi e profezie, chiuso sotto sette chiavi dall'Inquisizione ispanica, in un caveau segreto.

    Si ritiene che nel mondo ci siano ancora molte sue reliquie, ancora non identificate.

    E ora, caro lettore, è mio desiderio e quello di ogni persona aristotelia, che si continui a onorare la memoria di Frate Tanys Steward, e quando voi non sarete più, che siano i vostri figli e i figli dei vostri figli a farlo. Che la vostra preghiera sia unita a quelli di tutti i fratelli e le sorelle che hanno incontrato il "Virtous Varon" che fu, per il quale Dio stabilisce un luogo privilegiato nel Sole.


Agiografia scritta e riordinata da Kolme e Nicolás Borja, da un originale manoscritto spagnolo, per il Sant'Uffizio

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    Agiografia del Beato Teodoro di Liguria

    L'INFANZIA

    Nato ad Alicarnasso nel 57 A.C. da Venantios e Alibut, una coppia di mugnai che ebbero lui solo, come figlio. Per la sua situazione di unico erede e per l’agiatezza della famiglia crebbe nel lusso e nell’allegria.
    Visse la sua infanzia nella grande casa a ridosso del mulino paterno, per sua indole circondato da amici di ogni ceto sociale, dai figli della borghesia cittadina a quelli degli schiavi. Sempre pronto a dirimere le liti che si venivano a creare tra i compagni di gioco.
    Di carattere mite, pacato e diplomatico, riusciva sempre a trovare una mediazione tra le parti, quando ciò non avveniva, agiva in modo da convincere gli altri bambini, con la sua innata capacità dialettica, della fondatezza delle sue affermazioni. Viziato dai genitori e dai due schiavi che lavoravano in casa, fu tuttavia sempre rispettoso di tutti.
    Fin dalla tenera età però fu soggetto di eventi bizzarri e inspiegabili.
    A 8 anni, un mattino, i genitori ritrovarono una barca sopra il suo giaciglio e il figlio sotto che chiedeva aiuto; Teodoro spiegò loro che aveva passato una notte agitata e aperti gli occhi, tutto era nero. Un po' inquieto, tentò di alzarsi e capì che aveva dormito con una barca in testa. "Una barca ?? Ma sono io che sono debole di mente o le barche appaiono durante la notte, sulla testa della gente ?" Si era detto ed aveva concluso :”C'è una sola spiegazione : da qualche altra parte, un'antibarca si dev'essere materializzata sulla testa di qualcun'altro, in modo che la quantità totale di barche sia conservata al finire della notte”.
    All’età di 10 anni invece venne colto da una malattia dello stomaco che lo rese debolissimo … era deperito molto e vicino alla morte quando sotto il suo cuscino, trovarono un piccolo piatto bianco fatto di materia flessibile e coperto di una pellicola fine di carta trasparente. Un pezzo di carne spezzettata era disposto nel piatto e la carta trasparente portava un'etichetta: "30% di grasso massimo - Origine: Francia - Da consumare entro: vedi imballaggio.
    Nessuno aveva questa risposta, ma cucinata la carne provarono a dargliela da mangiare e miracolosamente Teodoro recuperò le forze in pochissimo tempo uscendo dalla malattia completamente guarito!

    ADOLESCENZA E CONVERSIONE



    Quando Teodoro aveva 15 anni avvenne che il padre, persona onesta e di animo buono, incontrasse un mendicante straniero e gli desse asilo per un certo periodo.
    Quest’individuo si rivelò colto e intelligente e venne assunto dal Venantios come precettore per il figlio. Egli insegnò in casa i princìpi dell’Aristotelismo: l’unicità e l’amore di Dio per le creature e per l’uomo, l’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte al Creatore e l’importanza della collaborazione nel lavoro e nella vita sociale.
    Parlò tanto e bene che alla fine la famiglia si convertì alla nuova religione. Venantios affrancò quindi i propri schiavi ed incominciò a discutere della sua nuova fede con i concittadini.
    In quel tempo i princìpi ed i valori aristotelici erano visti dalla società come sovversivi e pericolosi. Fu così che la famiglia di Teodoro venne prima emarginata e poi fatta bersaglio di attacchi sempre più evidenti, finanche sfociati in aggressioni fisiche, da parte di quei cittadini che vedevano la liberazione degli schiavi come una minaccia ai propri interessi.

    SOFFERENZA ED ESILIO COATTO

    Una notte, un gruppo di uomini armati assalì la famiglia mentre dormiva: uccise gli schiavi affrancati che per rispetto e affetto erano rimasti a lavorare nel mulino da uomini liberi, separò la madre da Venantios e Teodoro, i quali vennero incappucciati e portati via. Infine gli aggressori bruciarono il mulino e la casa.
    Picchiati e scherniti dai loro assalitori, vennero poi venduti ad un mercante di schiavi che li caricò su una nave diretta verso la penisola Iberica. Nulla seppero più della madre e Venantios, preso da un grande sconforto, si ammalò e perì poco dopo la partenza, lasciando Teodoro solo al mondo.
    Tuttavia il giovane riuscì a non perdersi d’animo e trovò conforto nella fede che lui e suo padre avevano abbracciato. Nelle dure condizioni di vita sull’imbarcazione mantenne sempre la sua mente lucida e positiva, senza perdere occasione per dimostrare ai suoi compagni di prigionia la verità dei princìpi aristotelici.
    Grazie alle sue abilità oratorie riuscì a convertire molti schiavi alla religione monoteista.

    L'EVENTO MIRACOLOSO


    Una notte, in cui infuriava una terribile tempesta, l’imbarcazione su cui Teodoro viaggiava cercò di portarsi sotto costa alla ricerca di una baia riparata dalle forti ed immense onde.
    Ad ogni bordata d’acqua tutta la struttura tremava e, terrorizzati dalla furia del mare, gli occupanti del natante, ivi compresi quelli che Teodoro aveva educato alla fede aristotelica, presero ad invocare un gran numero di dei e spiriti pagani. Solo la voce di Teodoro era salda e senza paura. Il ragazzo esortava tutti alla conversione:”il Signore è uno ed Aristotele e Christos i suoi profeti! Lasciate dunque i falsi dei ed affidate a Lui le vostre preghiere, perché solo l’unico vero Dio può salvarci!”
    Quelli però non gli davano ascolto.
    La nave, mossa dalle onde e dal forte vento, era ormai fuori controllo quando lo scafo colpì degli scogli affioranti e fece naufragio.
    Gli schiavi, legati con dei ceppi alla struttura in legno della nave, affondarono con essa e l’equipaggio in preda al panico scomparve nei flutti.
    Miracolosamente la parte di legno a cui Teodoro era incatenato si staccò nello schianto e tenne a galla il giovane che aggrappato a quel moncone perse i sensi.
    Il mattino dopo, il mare si era placato ed un bel sole splendeva sulla costa Ligure. I pescatori di quella regione videro Teodoro, unico superstite, sulla spiaggia privo di sensi.
    Di fronte a loro il mare e l’Isola Gallinara, i cui scogli avevano provocato l’affondamento della nave.
    I poveri pescatori aiutarono Teodoro e lo accolsero nelle loro case, dove egli raccontò come poteva l’accaduto lasciando tutti nello stupore. Chiunque sentisse la sua storia concordava nel ritenere quell’ evento miracoloso e Teodoro benedetto dagli dei.

    EVANGELIZZAZIONE DI ALBENGA E DELLA LIGURIA


    Con la sua intelligenza ed il carattere gioviale, Teodoro non ci mise molto ad imparare la lingua locale e, colpito dall’ospitalità di quella gente semplice, rimase con loro ed imparò a pescare ed a fabbricare reti e nasse.
    Col tempo, convertì i suoi nuovi concittadini (gli ingauni) e divenne per loro una guida spirituale.
    Teodoro visse ancora molti anni nella regione che si affaccia sul mar Ligure, diffondendo quanto più poteva il credo aristotelico.
    Non si sposò mai nè ebbe eredi, morì serenamente di vecchiaia il 21 novembre del 40 D.C. con il conforto e l’amore dei suoi concittadini.
    Attualmente le sue spoglie mortali riposano nella cripta situata sotto la Parrocchia di San Teodoro
    In Albenga.

    Parte del moncone di legno a cui Teodoro era incatenato durante il naufragio si trova attualmente in una teca nella Parrocchia di Albenga. I ceppi in ferro sono stati donati dalla Città al Vescovo di Genova e si trovano nel palazzo vescovile. Ogni anno,il 21 Novembre, tutti gli ingauni dotati di barca si radunano lungo la costa verso il tramonto. Eseguono una circumnavigazione dell’isola Gallinara con le lampare accese, portando sulla prua statuine lignee del santo che verranno benedette dai sacerdoti locali. Nel frattempo gli altri aspettano sulla riva con i falò accesi.

    Licio_da_corregio

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