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[IT] Il libro delle virtù - Gli Arcangeli

 
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Kalixtus
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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:16 pm    Sujet du message: [IT] Il libro delle virtù - Gli Arcangeli Répondre en citant

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Kalixtus
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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:19 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia di San Gabriele Arcangelo


    Nascita di Gabriele

    Gabriele nacque un giorno come gli altri, un giorno che non differiva in niente da tutti gli altri. Niente lasciava presagire il posto che avrebbe occupato nei tempi a venire, niente. Perché Gabriele era nato come tutti gli altri. Solo la sua virtù e la purezza del suo cuore gli avrebbero permesso di raggiungere l’Altissimo.
    I genitori di Gabriele erano pii, ma, essendo abitanti di Oanilonia, il messaggio di Dio che avevano ricevuto e che gli avevano insegnato era corrotto. Gli inculcarono che Dio aveva creato la terra, che era la base e il motore di tutte le cose, ma allo stesso tempo che infliggeva punizioni senza ragione, e non regnava se non come un sovrano tirannico…

    Sebbene i primi quindici anni di Gabriele fossero passati senza che succedesse niente che lo potesse distinguere dagli altri giovani della sua età, si interessò alla ricerca della Verità su Dio, e comprese che questi era un Dio d’Amore e non d’Odio…


    Vita di Gabriele

    Il padre di Gabriele, che si chiamava Vorian, era marinaio e lavorava per un ricco armatore di Oanilonia, di nome Leto. Costui era un brav’uomo, giusto con i suoi pescatori, ma aveva sposato Ecate, una donna malvagia e crudele. Avevano avuto un figlio, chiamato Leviatano, che era nato alcuni mesi prima di Gabriele. Leviatano aveva ereditato tutti i vizi di sua madre, ma nessuna delle virtù di suo padre. Era collerico, subdolo ed esperto di menzogne. Era tuttavia un eccellente navigatore e suo padre l’aveva nominato a quindici anni capitano di una delle sue navi da pesca.
    Proprio a quella nave fu assegnato Gabriele, allorché, compiuti quindici anni, cominciò anch’egli a lavorare come pescatore.
    Leviatano arrivò urlando come sua abitudine, sputando sui pescatori non abbastanza rapidi per i suoi gusti, picchiandoli e scatenando in loro collera e risentimento. Spesso i pescatori sprofondavano in una nera collera e tentavano di ribellarsi e di picchiare Leviatano, ma questi, felice del loro odio nei suoi confronti, evitava sempre i colpi e si accaniva nel picchiarli col sorriso sulle labbra.
    Gabriele assisteva a tutto ciò, vedeva quest’uomo mostruoso, poco più grande di lui, che si deliziava dell’odio che tutti nutrivano per lui.
    Erano allora due settimane che si trovava sulla barca di Leviatano, senza che gli si potesse rimproverare nulla perché faceva bene il suo lavoro, quando Leviatano piombò su di lui. Lo rimproverò di aver svolto male il suo lavoro, urlandogli contro per vedere una sua reazione, ma Gabriele restò calmo e senza collera né odio. Gli insulti e le grida di Leviatano scivolavano su di lui come la pioggia su una superficie liscia. Niente di ciò che diceva si faceva strada in lui per scatenare la collera. Deluso dalla reazione di Gabriele, gli dette un forte colpo e riprese a guardare da un’altra parte.
    Qualche tempo dopo si venne a sapere che Leto era stato ucciso dal figlio, durante un degli accessi d’ira di quest’ultimo. Gli aveva fracassato il cranio con il suo sestante. Anche se, ufficialmente era stato solo un incidente…
    Divenuto padrone, Leviatano divenne incontrollabile, sfogava la sua ira su tutti e generava collera tra tutti quelli che lavoravano per lui.
    Solo Gabriele restava impassibile davanti agli insulti e ai soprusi di Leviatano. Quest’ultimo ne rimaneva sbigottito, non capiva come, malgrado tutta l’ondata d’odio con cui ricopriva Gabrile, questi restasse calmo, obbediente e operoso…

    È in questo periodo che Gabriele incontrò un vecchio mendicante cieco che gli disse questo:


    Citation:
    “Comprendi, popolo, che sei tu ciò che ti distingue, non la tua nascita,
    comprendi popolo, che Dio ti giudicherà in funzione delle tue azioni, non della tua nascita.
    Egli ti mette sul cammino e sono gli uomini, tuoi pari, che, consapevolmente o no, lo rendono tortuoso o dritto, ti ci avvicineranno o allontaneranno, ma sta a te e solamente a te decidere qua verso dove cammini perché alla fine è per te che cammini.
    Certo, devi camminare per i tuoi fratelli, le tue sorelle e per Dio, ma è la tua salvezza che è in gioco.
    Amando Dio, amando gli uomini, tuoi fratelli e tue sorelle, tu non puoi che guadagnare, se non è sulla Terra, sarà altrove, l’astro del giorno.
    E’ a te stesso e ai tuoi fratelli che Dio ti raffronta, perché qui sono i tuoi più grandi nemici, sebbene molti cerchino di essere buoni.”



    Quest’ultime parole riempirono il suo cuore e la sua anima e in seguito la vita di Gabriele fu una sorta di accettazione di tutto il male del mondo. Aveva già imparato a subire il male senza opporsi, ma sapeva che doveva soprattutto comprenderlo, perché, per lottare contro di lui, che cosa c’era di meglio che seminare la pace e l’amore all’interno stesso del male?

    Non aveva fino ad allora lasciato parlare la sua ira o il suo odio, ma tuttavia sapeva che avrebbe dovuto dire di no al male, quando si sarebbe ingrandito troppo e avrebbe seminato la discordia negli animi.
    Aveva già una tale capacità di contenersi che dava di sé l’immagine di un uomo per cui la vita non aveva più segreti.
    Aveva ormai un tale fiducia in Dio che si sarebbe lasciato condurre dalla provvidenza e dall’amore divino.

    Una sera, Dio gli parlò nel sonno e gli disse:


    Citation:
    “Uomo io sussurro ogni giorno la mia parola nell’incavo del tuo orecchio,
    e nel profondo del tuo cuore,
    ma tu, peccatore e profittatore,
    cambi le Scritture,
    e corrompi i miei detti, facendomi parlare attraverso di te.
    Numerosi sono coloro ai quali ho trasmesso la mia parola,
    ma tutti hanno preferito deviarla,
    non serviva se non ad attirare su di loro la gloria,
    non serviva se non a giustificare le loro parole.
    Ma verrà un giorno in cui confiderò ad Uno le mie parole di saggezza,
    ed ad Un altro i miei comandamenti.
    Perché io ti amo, Uomo,
    e quando vorrai comprendere ciò che devo rivelarti,
    io ti parlerò,
    e quando consapevole ti fermerai solamente alle mie parole,
    io ti manderò a bruciare tra le fiamme dell’inferno nelle viscere della Luna.
    Perché solo la sofferenza potrà farti vedere che io opero ogni giorno per il tuo bene.
    E facendoti soffrire ti farò comprendere che senza di me niente esiste e niente può esistere.
    Se ti obbligassi a seguirmi tu non comprenderesti perché è bene farlo.
    Hai bisogno di tempo per capire, Uomo, eppure io ti amo.
    Non cercarlo, il Bene è qui, nella semplicità del tuo cuore.
    Va’, Gabriele, trasmetti il mio messaggio a coloro che ritieni degni di essere salvati.
    Perché, Gabriele, te lo dico, d’ora in po’ quest’era di decadenza si avvierà verso la fine.
    E solo i giusti saranno salvati.”


    Allora Gabriele percorse Oanilonia alla ricerca dei giusti, donò loro una tale sete di Dio che molti, nel proprio campo, cominciarono ad operare per la gloria di Dio. Spiegò loro anche la necessità di sapere a che cosa siamo chiamati. Disse queste parole:

    Citation:

    “Miei amici, miei fratelli,
    Dio riserva a ciascuno di voi una via particolare.
    Non smette di gridarla nel profondo del vostro cuore.
    Sappiate aprirvi al suo appello e rispondere “sì!”
    Dicendo: “signore tu sai che cos’è bene per me. Là dove tu mi porti io non potrò straziarmi perché è la mia via. Là dove tu mi porti io non potrò che essere felice malgrado gli ostacoli.
    Allora, aprite i vostri cuori”



    Molti furono toccati dalle sue parole ma ciò non era sufficiente a mantenere la massa degli uomini sulla via di Dio.
    In effetti le Parole d’amore che provenivano da Gabriele parlavano di allontanarsi dal peccato, di avvicinarsi sempre di più alla piena virtù che solo Dio possiede, di avvicinarsi sempre di più a Dio.
    Ma, era talmente più semplice restare sulla propria via, era talmente più semplice persistere nel peccato…perché cambiare quando si sta bene in una situazione?

    Fu allora che Leviatano, sempre più incuriosito dalla temperanza di Gabriele, lo fece chiamare. Quando arrivò, vide suo padre legato ad una colonna di legno. Leviatano gli disse che suo padre aveva perso un intero carico di pesce, era un cattivo elemento e meritava un punizione. Leviatano cominciò a picchiare Vorian, Gabriele lo supplicò di fermarsi, ma più Gabriele supplicava, più Leviatano picchiava forte…
    Leviatano colpì così forte che trafisse in un’esplosione di sangue il ventre di Vorian, che morì sul colpo, accompagnato dalle lacrime di suo figlio…
    Leviatano si aspettava che a quel punto Gabriele reagisse e, accecato dalla collera, tentasse di vendicare suo padre, ma Gabriele non fece niente, gli volse le spalle e si allontanò, ma giusto prima di andarsene, disse questo a Leviatano:”Il tuo Odio e la tua Ira non mi toccano, tu pensi di essere il più forte, ma la tua fine è prossima, Dio ti punirà per i tuoi peccati e tu sarai condannato ad un’eternità di sofferenza.”. Prima che Leviatano avesse il tempo di rispondere, Gabriele se n’era andato…


    La caduta di Oanilonia

    Gabriele errava per il porto di Oanilonia in preda ad una grande tristezza dopo lo scatenamento di violenza a cui aveva assistito. Si avvicinò alla barca “Que-Bec”, chiamato così perché la sua prua rappresentava un albatros con il grande becco aperto: il suo armatore aveva detto “ma que bec ca la gha quala navi lì!” (ma che becco ha quella nave)! con il forte accento dei quartieri poveri, così fu scelto il nome “Que-Bec” per quella barca. L’armatore era un amico di Gabriele, l’aveva riportato sulla retta via qualche tempo prima.

    Stava per andare a vederlo quando dei lampi apparvero nel cielo di Oanilonia.
    Gabriele capì immediatamente che l’ora della caduta di Oanilonia era arrivata.
    Decise di andare subito ad avvisare tutti coloro che aveva incontrato e l’aveva seguito sulla via della virtù per salvarli.
    Cominciò dall’avvisare il suo amico Alcisde, l’armatore del “Que-Bec”, perché preparasse la barca ad imbarcare tutti quelli che Gabriele avrebbe portato, al fine di salvarli.
    Percorse tutte le strade di Oanilonia, dicendo a tutti quelli che conosceva di andare al porto e di imbracarsi sul “Que-Bec”, raccomandandosi di non portare niente che potesse appesantire la braca. Quando tornò al porto accompagnato da quattro orfani, vide Leviatano che, con gli occhi folli di furia e collera, lanciava un’enorme trave sulla barca, che cadendo sulla sua vela lo rese prigioniero della città. Mentre una risata tonante da folle usciva dalla gola di Leviatano, Gabriele, ascoltando solo la sua fede, saltò sul ponte per aiutare a liberare il “Que-Bec”. La trave era molta alta e Gabriele, che era molto forte, propose di fare del suo corpo una scala. Prese un asse, che teneva tra le mani e disse ad uno dei marinai: “Sali sul mio corpo, mi puoi usare come una scala”. Questi riuscì così ad arrampicarsi sino alla trave e liberare la barca. Tutti allora gridarono: “Viva Gabriele che fece del suo corpo una scala, viva il “Que-Bec” libero!”.

    Dopo averla così liberata, salirono tutti sulla barca.
    Un uomo domandò allora a Gabriele :”Che cosa si aspetta Dio da noi?”
    Gabriele rispose:


    Citation:
    “Eppure Oane ha inciso sul primo muro della nostra città le parole del Creatore, c’è scritto che cosa Dio ha detto ai nostri antenati:
    "Che la vostra fedeltà sia quella dei figli verso i loro genitori o sarò severo come lo sono i genitori verso i loro figli. Poiché, quando ciascuno di voi morirà, lo giudicherò, in funzione della vita che ha condotto. Il sole inonderà ogni giorno il mondo della sua luce, come prova d'amore per la Mia creazione. Quelli, fra i tuoi, che vi manderò, vivranno un'eternità di beatitudine. Ma, ogni giorno, la luna gli darà il cambio. E coloro che, fra i tuoi, vi verranno gettati, là conosceranno soltanto il tormento."

    Ma io vi dico anche questo:

    “ Questo giorno è un giorno totalmente nuovo,
    non è mai esistito e non esisterà mai più.
    Prendete dunque questo giorno e fatene una scala
    Per raggiungere le più alte vette.
    Non permettete che la fine del giorno
    Vi trovi simili a come eravate all’alba.
    Perché domani potrebbe essere il giorno in cui sarete giudicati.”



    La nave si allontanò mentre Gabriele tornò nella città in preda al caos assoluto. E, in sei giorni, fece tutto quello che poteva per salvare coloro che potevano ancora essere salvati.
    Venne allora il settimo giorno, che fu un tremendo cataclisma.
    Gabriele era sulla porta quando vide Leviatano che, fuori di sé, cercava di lasciare la città sulla sua barca chiamata “Kraken”, ma gli elementi erano scatenati e un tremendo turbine si formò attorno al Kraken e lo inghiottì. Fu allora che un terremoto distrusse Oanilonia che fu sommersa dai flutti.
    Dei testimoni videro allora un arcobaleno illuminare i cieli oscuri e riconobbero allora Gabriele mentre veniva portato verso il sole.

    Preghiera a San Gabriele
      San Gabriele Arcangelo,
      angelo della Temperanza,
      apri le nostre orecchie
      ai dolci avvertimenti
      e agli appelli pressanti dell’Altissimo.
      Tieniti sempre davanti a noi,
      ti scongiuriamo,
      affinché comprendiamo bene
      la parola di Dio,
      affinché lo seguiamo,
      affinché gli obbediamo
      e adempiamo a ciò che vuole da noi.
      Aiutaci a restare svegli,
      affinché, quando arriverà,
      il Signore non ci trovi addormentati.
      Amen

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Kalixtus
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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:22 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia di Santa Galadriella l'Arcangelo

    L'infanzia nera:

    Galadriella nacque nei tempi torbidi nei quali la Città di Oanilonia era consegnata ai peccati. La sua famiglia faceva parte di quelli che si rivendicavano come i forti. Controllavano il commercio delle mucche e si assicurano così la loro superiorità sugli altri. Barricati in un grande casamento a fianco della collina che sovrastava Oanilonia. Galadriella cresce in questo contesto di conflitti permanenti, resta chiusa instancabilmente nella sua camera e nella sua casa. Galadriella era una bambina semplice che non chiedeva mai niente e che si accontentava di ciò che gli si offriva. Di Dio non conobbe niente durante la sua infanzia. Le si raccontò solamente la storia della sua città facendo passare Oane per un uomo di potere. Fu rigettata rapidamente dai suoi fratelli e sorelle che la trovavano troppo debole. Fu messa dunque in disparte ritrovandosi ben presto sola, viveva nel solaio della sua casa, nel buio, aspettando solamente i due pasti che gli si portava mezzogiorno e sera. Tuttavia arrivò un giorno che cambiò tutto per lei. Mentre la domestica veniva a portargli il suo piatto di mezzogiorno, come d'abitudine, la luce che passò dalla botola rivelò a Galadriella una pila di libri che non aveva mai visto. La fortuna gli sorrise trovò al lato dei libri delle candele ed un piccolo oggetto che le premise di creare una debole fiamma. Apprese così a leggere, sola nel suo solaio e scoprì presto altri libri perché il suo solaio ne era pieno. Un giorno mentre finiva di leggere un'opera che trattava di piante medicinali e ne cercava una nuova da studiare trovò un vecchio fascio di pergamene, molto consumate, con numerose pagine. Si chiamava “La Guida”. Questo libro raccontava la storia di Oane e della creazione della città ed è così che Galadriella scoprì l'esistenza di Dio. A partire da quel giorno lo pregò ogni giorno, pregava un po’ di più la domenica per entrare in comunione con Lui come facevano gli antichi cittadini riunendosi sulla tomba della Guida.

    La liberazione:

    Un giorno un grande fracasso la svegliò. La casa era una ancora una volta attaccata. Il vizio si era spinto al suo parossismo e la città non era niente più che un macello dove tutti si uccidevano l’un l’altro, fornicava e la famiglia di Galadriella doveva pagare il prezzo del decadimento degli uomini che avevano dimenticato Dio ed il suo Amore. Tutta la famiglia e la servitù furono massacrati, le donne violentate prima di essere sgozzate o sventrate. Galadriella, nascosta in fondo al suo solaio pregò durante tutto il tempo nel quale durò l'attacco, seguito dal saccheggio. Dopo parecchi giorni nei quali non mangiò, rintanata nel suo solaio, infine uscì. La casa era saccheggiata, non restava più niente, tutto era stato preso o distrutto. Scappò nelle montagne dove sopravvisse del tempo prima di tornare nella città. Trovò delle persone che, come lei, credevano ancora in Dio e nel suo Amore. Con essi aiutò chi poteva, mangiando e bevendo sempre poco, non possedendo niente per lei se non un vecchio abito semplice per vestirsi. Durante questo tempo servì il povero ed il debole dando prova della più grande generosità possibile, la sua umiltà era riconosciuta da tutti quelli che erano con lei.

    L'illuminazione:

    E’ allora che Dio si rivolse agli abitanti di Oanilonia annunciando loro la distruzione prossima della città. Avvenne allora che i sette Signori del Vizio, come li chiamava Galadriella, apparvero e presero il controllo di una parte della città per la loro ribellione contro Dio. Galadriella era nel campo opposto, insieme a quelli che credeva ancora all'Onnipotente, al suo Amore e riconosceva i peccati degli uomini così come chi accettava con umiltà. Durante i sei giorni Galadriella pregò con Raffaele, Michele, Silfaele, Gabriele, Giorgio e Uriele e quel pugno di uomini e di donne che l’avevano seguita. Durante questi sei giorni Dio si rivolse due volte a lei. La prima mentre una donna era morente per mancanza di cibo. Le disse allora:

    - Galadriella, dei sette uomini che incarnano le virtù supreme sei quella che possiede di meno e non senti mai il bisogno, aiuta questa donna per provarmi che incarni bene la perseveranza e sarai ricompensata.

    Durante i due giorni che seguirono Galadrielle mangiò solamente un tozzo di pane, lasciando il resto della sua razione alla donna che si salvò. Il terzo giorno Dio parlò una nuova volta a Galadriella e gli disse come la prima volta:

    - Galadrielle, dei sette uomini che incarnano le virtù supreme sei quella che possiede di meno e non provare mai il bisogno, offri ai tuoi compagni tutto ciò che possiedi per provarmi che incarni bene la perseveranza e tu sarai ricompensata.

    Galadriella diede allora tutto ciò che possedeva, anche il suo abito, che custodì tuttavia come prestito alla richiesta di una donna. E mangiò grazie all'amicizia dei suoi compagni, ciascuno dei quali le diede un poco di che nutrirsi ogni giorno. Il settimo giorno arrivò, il suolo si spaccò, le fiamme uscirono dalla terra e tutta la città fu inghiottita. Galadriella, i suoi sei compagni e i loro discepoli si erano rifugiati su una collina dove assisterono al cataclisma. E’ allora che la luce scese su essi. Galadriella, Raffaella, Michele, Silfaele, Gabriele, Giorgio e Uriele ebbero l'onore di essere chiamati arcangeli per l'umiltà e la virtù che tutti loro avevano incarnato, i loro discepoli diventarono degli angeli perché avevano provato anche essi il loro desiderio di pentimento.

    L'arcangelo:

    Diventata arcangelo grazie alla sua umiltà e la perseveranza che incarnava Galadriella diventò uno dei sette secondi di Dio che avevano per missione di aiutare gli uomini ogni volta che ciò fosse possibile così come di combattere la Creatura senza nome. Galadriella compì allora con zelo la missione che Dio gli aveva confidato. Durante i primi tempi, fino alla nascita di Aristotele non fece altro che guardare con sofferenza gli uomini dedicarsi al paganesimo. Ma la nascita del Profeta cambiò molte cose, ella ispirò allora numerose persone a seguire la strada della perseveranza. Ad ogni preghiera che gli era rivolta scendeva sulla terra e concedeva il suo perdono. Non cessò mai il suo combattimento contro gli avidi.
    Giunse un giorno in cui venne chiamata sulla Terra da un giovane ragazzo che gli chiedeva il suo aiuto. Il bambino, che era solo a piangere e pregare sul suo letto in una grande camera fastosa, vide arrivare una donna, coi lunghi capelli biondi, vestiti di un leggero e semplice abito di lino bianco immacolato che rivela le sue forme, due ali nella schiena che irradiavano una luce pura. Si rivolse così al ragazzo:

    - Sono Galadriella, Arcangelo della Perseveranza, mi hai chiamato in aiuto e rispondo alla tua chiamata, dimmi in che cosa posso aiutarti.

    Il ragazzo, stupito per la bellezza e la purezza di Galadriella gli rispose:

    - Mio padre, il Re di queste terre, mi costringe a mangiare e bere come un guerriero perché dice che sono troppo gracile. Ma non amo mangiare tutte queste cose e bere tutti questi vini come lui e la sua corte.

    Galadriella scosse la testa e mentre si alzava in aria per partire in un battito di ali gli rispose:

    - Sarai accontentato mio ragazzo.

    E lei sparì nel cielo tra due nuvole. L'indomani i magazzini del Re furono ritrovati vuoti, questo, non potendo accedere a tutto il cibo che ingurgitava ogni giorno morì. Il giovane ragazzo diventò Re e mai più qualcuno fu grasso in questo regno.

    Venne un giorno in cui Dio chiese personalmente a Galadriella di compiere una missione per lui. La convocò, si presentò a Lui in ogni umiltà e le disse:

    - Galadriella, vai a compiere per me una questua. Vai nelle terre dimenticate, là dove si trovano le rovine di Oanilonia, voglio che mi riporti la Corona della Creatura senza nome.

    Galadriella partì per un lungo viaggio. L'area delle terre dimenticate non era conosciuta da nessun uomo e solo un angelo poteva accedervi volando. Non c'è altro che leghe e leghe di terre aride e nere, senza nessuna vita o goccia di acqua. Galadriella trovò all'area delle rovine di Oanilonia un'immensa crepa. Durante i giorni cercò in giro la Corona della Creatura senza nome senza successo. Esasperata pensò ad abbandonare e ritornare vergognosa in Paradiso per confessare il suo insuccesso a Dio. Avvenne allora che un uccello uscì dell'immensa crepa. Galadriella comprese che doveva andare a cercare la corona nel baratro. Ella entrò dentro, illuminava la sua strada grazie alla luce divina che irradiava. In fondo al baratro, su un piedistallo cinto di lava, trovò la corona. Enorme, tutta d’oro ed incastonata di numerose pietre preziose, testimonianza dell'orgoglio della Creatura senza nome. Galadriella prese allora la corona ed uscì del baratro ma là fu attaccata. La Creatura senza nome in persona gli saltò sopra, avvolgendola della sua nefandezza. Combatterono parecchi giorni senza arrivare a far trionfare né la luce né l'ombra. E’ allora che Giorgio, Arcangelo della Giustizia arrivò per aiutare Galadriella. Trapassò la Creatura senza nome con la sua lancia e la respinse facendola fuggire. Riportò allora Galadriella e la corona al Paradiso, là Dio distrusse l'oggetto, simbolo di brama e gratificò Galadriella di una grazia divina per il suo combattimento contro la Creatura senza nome.


    Tradotto del greco Da Arilan di Louvois, Teologo del Santo – ufficio romano.

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    Agiografia dell’arcangelo S. Giorgio

    I L’amicizia

    Il fulmine si abbatté molto vicino. Terrorizzati, i bambini si strinsero ancora più nelle braccia delle loro madri. Queste piangevano, implorando pietà all’Altissimo. Gli uomini inveivano tra loro, attribuendosi l’un l’altro la responsabilità degli eventi. Erano sei giorni che gli elementi si scatenavano sulla città di Oanilonia, con la rabbia che avevano all’inizio del mondo. Un cielo nero d'inchiostro, minaccioso, opprimeva pesantemente la città maledetta. Fra il piccolo gruppo che si era rifugiato in un granaio, da tempo svuotato, il timore coltivava la rabbia, la furia e la disperazione. Si poteva vedere un uomo che aveva smesso di prendersi gioco di Dio quando Egli aveva annunciato la distruzione della città. E questa donna che rimuginava incessantemente, con vergogna, alle sue orge lussuriose con tanti uomini e donne, tanto numerose che non riusciva contarle. O anche questo giovane uomo, che aveva provato un piacere immondo nel fracassare il cranio del suo fratellino, e che, ora, tentava di riscattarsi rassicurando i bambini raccolti nel piccolo luogo. Tutti sapevano perché erano stati puniti, ma nessuno osava riconoscerlo, alcuni cercavano anche di far ricadere gli errori sugli altri, nell’inutile speranza di fare dimenticare i propri peccati.

    Una burrasca terribile forzò la porta e riempì con un vento glaciale il fragile edificio. Le sue fondamenta tremarono quando il tuono seguì il lampo, con una potenza assordante. E subito si fece silenzio. Certo, il tornado urlava ed il tuono rimbombava, ma erano già sei giorni che gli abitanti di Oanilonia non sentivano altro che quello. No, non era la natura che si era fatta silenziosa, ma gli uomini. Poiché coloro che si erano rifugiati nel granaio tacevano, paralizzati dal terrore, vedendo l'ombra che si stagliava sulla porta. Un uomo, tanto grande e massiccio che doveva curvarsi e stringere le spalle per entrare, si avvicinò a loro. La penombra lasciava intravedere il suo viso ruvido e la sua barba incolta. Il sua folta capigliatura argentata gli dava un'aria di saggezza, contrastando con la grandezza delle sue mani, che sembravano capaci di ridurre in polvere anche la più dura delle pietre. Il suo sguardo blu pallido, consumato dal tempo, sembrava che nel profondo conservasse una gioia fanciullesca. Il colosso era vestito con una camicia rattoppata e consumata del tempo. Un grande pezzo di tessuto, arrotolato attorno alle sue gambe, dimostrava la sua condizione di povertà. Accennò un lieve sorriso e tutti i profughi sospirarono di sollievo. Quindi parlò con la sua voce cavernosa:

    “Quando non c'è più speranza, resta sempre l'amicizia.”
    Allora, un’anziana donna, con lo sguardo duro e la volontà di ferro, avanzò verso lui e gli chiese:
    “E tu, straniero, sei venuto in amicizia? Poiché questa è la città degli uomini e delle donne la cui parola è di miele ma i cui atti sono come il veleno. Vivono su montagne d'oro, e non desiderano altro che di innalzarsi ancora di più nella loro folle ricerca di bottini. La vita dei loro simili importa loro poco, tanto li divora la loro sete di tesori.”
    “Lo so”, rispose l'uomo. “È per questo che vengo a voi. La ricchezza dell’anima non può essere uguagliata dalle ricchezze di questo mondo infimo. Porteranno le loro montagne d'oro nell'altra vita?”
    “No, certamente no!” gli rispose l’anziana signora. “Ma le ricchezze del mondo ci sono sempre proibite? Dobbiamo ridurci a vivere come animali per onorare la ricchezza dell’anima?”
    “La vita vi ha insegnato a ripudiare la vostra mano sinistra per usare la destra?” chiese l'uomo. “È lo stesso per i tesori che Dio ha creato per noi. Che le ricchezze materiali siano vostre, poiché Dio, per amore dei Suoi figli, ne ci ha fatto dono. Ma non dimentichiamo mai che non c’è tesoro più bello dell'amicizia.”

    Allora, un giovane uomo si alzò e gli chiese: “Ma chi sei tu, le cui parole sono così piene di saggezza?”
    “Il mio nome è Giorgio”, rispose.


    II L'avarizia

    In quel tempo, su una delle sette colline d'Oanilonia, un uomo tremava più di qualunque altro davanti alla collera divina. Non temeva per la sua vita, poiché questa non aveva importanza per lui. Ma era tanto attaccato ai suoi beni che non riusciva a separarsene. Mentre la gente massacrava e violentava, lui saccheggiava le case disabitate ed accumulava le ricchezze tanto da creare una vera collina di metalli preziosi, di tessuti delicati, di pietanze succulenti… Decise allora di costruire una torre così alta, così ampia così solida da poter metterci tutti i suoi beni al riparo della cupidigia altrui. Aveva assunto muratori e soldati, promettendo loro un salario senza pari, i primi per costruire la sua fortezza e gli altri per respingere i poveri, i diseredati e gli affamati che volevano le sue ricchezze. Queste ricoprivano i pendii della collina e illuminavano i dintorni di luce dorate e di profumi appetitosi. Solo i muratori potevano mettere piede tra questi tesori per costruire la torre, ma quando uno di loro abbandonava il suo lavoro per abbandonarsi alla cupidigia, i soldati trafiggevano il suo cuore con mille colpi di spada. E l'uomo ricco esultava all’idea di poter conservare i suoi beni fino alla sua morte, guardando i poveri e gli affamati che circondavano la sua collina e la osservavano con sguardo supplice. Quest'uomo si chiamava Belzebù.

    Allora venne Giorgio, seguito da tutti gli infelici che avevano incrociato nel suo cammino. Appena questi vedono il miele, il latte, la carne arrostita, gli abiti di seta e le casse che straripano di pietre e metalli preziosi, corsero prendere la loro parte, non ascoltando le esortazioni alla misura che gridava Giorgio. E le guardie sfoderarono le loro lame e dettero la morte a tutti quelli che si avvicinavano alle ricchezze. Quando il massacro terminò e che le lacrime sostituirono le grida, Giorgio si avvicinò a soldati, con passo calmo e sicuro. Uno di loro, particolarmente zelante, gli mise la punta della lama sotto il mento, con un palese atteggiamento minaccioso. Ma Giorgio gli disse: "Perché hai ucciso questa povera gente?". "Mi pagano per questo", rispose il mercenario. "E quanto sei stato pagato finora?", aggiunse Giorgio."Nulla. Il sire Belzebù mi pagherà una fortuna quando la sua torre sarà costruita e le sue ricchezze vi saranno depositate", disse il soldato con voce più forte. "Allora, tu uccidi per servire una persona che vuole soltanto conservare le sue ricchezze e tu credi che lui manterrà parola e ti pagherà in seguito, come ti aveva promesso?", gli chiese Giorgio. "Certamente! Poiché altrimenti, sarebbe schiavitù!", grida il soldato, nervoso nel sentire una tale domanda. Allora, Giorgio concluse così: "In verità, ti dico, chiunque vive per i beni materiali, a scapito dell’amicizia che tutti i figli di dio dovrebbero avere verso i propri simili, non merita alcuna fiducia. Anziché uccidere per difendere l' avarizia di un uomo di tal genere, prendi queste ricchezze, che tu calpesti, e donale a quelli che ne hanno veramente bisogno. Dio ha creato questi beni perché tutte le Sue creature possano trovare di che vivere al riparo della necessità, e non perché uno solo ne usufruisca più degli altri."

    Allora, le guardie posarono le loro armi, i muratori cessarono il loro lavoro, la gente si avvicinò, e si divisero le ricchezze, a ciascuno secondo le sue necessità. Belzebù urlò la sua collera nel vedere i suoi beni sfuggirgli, passando di mano in mano. Ma ciò si svolgeva in occasione del settimo giorno della punizione divina su Oanilonia e la terra si mise a tremare. La torre in costruzione crollò e ampie fenditure si aprirono attraverso la collina, che inghiottirono avidamente i tesori. La maggior parte della gente fuggì, incoraggiata da Giorgio. Ma alcuni continuavano a riempirsi le tasche di tutto quello che potevano ammassare. Belzebù si batteva contro tutti quelli che incrociava, tanto era grande la sua rabbia di perdere ciò che gli apparteneva. La collina veniva inghiottita poco a poco, ma Giorgio scorse un bambino ancora sopra che piangeva perché aveva la gamba incastrata sotto una cassa pesante. Corse verso di lui mentre il terreno tremava, minacciando di sprofondare in ogni istante. Non appena lo raggiunse gli liberò la gamba, lo prese tra sue braccia e cercò di raggiungere il bordo. Allora, alcune persone decisero di spingersi verso di lui per aiutarlo in questo tentativo disperato, ma tutta la collina venne allora inghiottita nelle viscere della terra, in un gigantesco rogo di fiamme

    La gente era distrutta dalla tristezza di perdere un tale amico. Si chiesero allora se Dio non gioisse nel far soffrire la Sua creazione. Ma non era così e lo capirono appena videro una dolce luce rassicurante che risplendeva dal pozzo ai loro piedi. E alcuni esseri che irradiavano calma e dolcezza ne uscirono, portati da maestose ali bianche. La gente riconobbe in loro coloro che erano appena morti tentando di salvare il bambino. Ma riconobbero soprattutto Giorgio, elevato alla dignità di arcangelo, tenere quest'ultimo tra le braccia e renderlo a sua madre, indenne. Quindi tutti ascesero vero il sole, dove Dio li attendeva.


    III Le lingue

    Venne un tempo in cui il re Hammurabi di Babilonia faceva guerra in tutta la Mesopotamia per diventare il re dei re. Un giorno le sue truppe giunsero nella città di Mari e la incendiarono. La popolazione era terrorizzata e non sapeva cosa fare per salvarsi. Allora, la creatura senza nome venne sussurrare all'orecchio del generale babilonese e gli suggerì l'idea di esigere da ciascuno un tributo in cambio della salvezza. Più uno avesse dato, meno avrebbe rischiato di venire ucciso. I ricchi signori della città, anche quelli che poco prima consigliavano gli Shakkanaku, i re della città, vennero per primi, portando con loro le casse pesanti piene di ricchezze. Ma un’anziana donna aveva come unico tesoro soltanto alcuni semi di grano. I soldati le risero in faccia, affermando che una tale offerta era un affronto al grande generale babilonese. Sfoderarono le loro spade e si avvicinarono all’anziana donna, pronti a passarla per le armi. Ma un uomo di alta statura e con la barba argentata s' interpose. Uno dei soldati alzò la sua spada ma non poté calarla sull'uomo, come fermato da una forza invisibile. Allora, l’uomo aprì la bocca e dichiarò:

    “Perché volete colpire questa donna? Mentre i signori ricchi di Mari hanno conservato per se ricchezze innumerevoli, essa vi ha offerto tutto quello che possedeva. Tu ti prendi gioco del suo dono, ma ha offerto quanto aveva di indispensabile mentre quelli vi hanno lasciato soltanto ciò che era loro superfluo. Prendete questi semi di grano e portateli via con voi: vi sembreranno ben più pesanti nel cuore dell’Inferno lunare". Quindi si diresse verso le casse e ne distribuì il contenuto tra tutti gli abitanti più poveri e più affamati di Mari. Le guardie non sapevano che fare di fronte ad un uomo disarmato, che non provava ad attaccarli e la cui forza si trovava nella saggezza delle sue parole. Stizziti lasciarono il campo e tornarono a Babilonia.

    Il viaggio era lungo fino a questa potente città. Il calore era intenso e l'irrigazione rendeva l'aria umida e pesante lungo le rive dell'Eufrate. Ma quando arrivarono, quale fu la loro sorpresa quando videro l'uomo con la barba d’argento attenderli ai piedi delle gigantesche mura. Il generale gli chiese: "Ma chi sei tu che parli con tanta saggezza?". "Sono l'arcangelo Giorgio, umile servitore dell'unico Dio, quello che avete dimenticato a vantaggio di legioni di false divinità e di una vita di peccato" , rispose. Poi aggiunse: "Seguimi fino alla ziggurat e vedrai da solo il giudizio di Dio, come l’ho visto io stesso molto tempo fa". Allora, il generale e le sue guardie seguirono l’arcangelo fino alla base di una gigantesca torre a terrazzamenti sui quali cresceva una vegetazione rigogliosa, prova della potenza del re Hammurabi di Babilonia.

    Allora, san Giorgio alzò le braccia e gridò: "Dall’inizio dei tempi, i figli di Dio parlano una sola lingua, poiché i fratelli e le sorelle devono comprendersi per amarsi. Ma oggi si dividono poiché hanno dimenticato il loro padre ed il suo amore. Verrà un giorno in cui i profeti si succederanno per ricordare loro da dove vengono e dove andranno. Da quel momento, verrete giudicati non sulla vostra fede, ma sul vostro amore verso il mondo che vi circonda. Imparerete a conoscerlo e imparerete ad amarlo. Per questo, Dio, nella Sua grande mansuetudine, ha deciso di dividere la parola dei Suoi figli in molte lingue, affinché dobbiate sforzarvi di scoprirvi l'un l'altro."

    E san Giorgio abbassò le braccia e la torre crollò in un immenso cumulo di polvere. Da quel giorno, la parola dei figli di Dio è molteplice e dobbiamo imparare gli uni dagli altri per vivere. Così facendo, capiamo a quale punto le nostre differenze sono ingannevoli e che siamo tutti fratelli e sorelle.


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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:29 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia di San Michele Arcangelo

    Nascita di Michele

    Michele era nato nella città di Oanilonia, era il quinto dei dieci figli di Diana e Robin, una coppia di cacciatori che viveva, come molti a quel tempo, per servire uno più ricco di loro.
    Il loro maestro, perché bisognava chiamarlo così, non aveva altro scopo che acquisire più ricchezze e terre di quante ne potesse utilizzare.

    Quest’uomo, conosciuto con il nome di Maestro Satana Sibarita, aveva proclamato di possedere le terre nel raggio di due chilometri intorno alla città e tutti coloro che ci cacciavano o che le coltivavano dovevano versargli la metà dei prodotti.
    Si diceva che non si addormentasse se la giornata non gli aveva dato di che riempire due dei suoi bauli, uno di mais, l’altro di carne.
    Inviava i suoi sottoposti a raccogliere sempre di più dagli sfortunati che vivevano ai confini della città.

    La vita di Michele

    Michele crebbe dunque tra i poveri di Oanilonia apprendendo da suo padre l’arte della caccia e dell’uso della lancia. Da sua madre imparò a seguire le tracce lasciate dagli animali che cacciava. Imparò anche a leggere le stelle per trovare la strada. Vivere con i suoi nove fratelli e sorelle gli insegnò la condivisione e l’amore per gli altri.

    All’età di tredici anni Michele aveva già le spalle e la forza di un adulto, primogenito della famiglia, era spesso lui che difendeva i suoi fratelli e le sue sorelle mettendosi tra loro e chi li infastidiva. Nonostante non avesse mai picchiato nessuno, era temuto e rispettato dagli abitanti dei sobborghi. Molto presto gli fu chiesto di dirimere le dispute perché si diceva che potesse leggere nel cuore della gente.

    Quando non aveva prove per assegnare la vittoria, deponeva la sua lancia sulla testa di una delle due persone e, se la lancia restava in equilibrio, quella persona diceva la verità, nel caso contrario mentiva.
    Ma molto presto non ebbe nemmeno più bisogno di usare la lancia.
    Al solo sentire che lo si sarebbe fatto venire, il colpevole rinunciava e le cose si sistemavano da sole.
    Alcuni dicevano che aveva un potere sovrannaturale, ma i più saggi sapevano di che cosa si trattasse.
    Eppure malgrado la su grande saggezza e la sua destrezza con la lancia non poteva fare niente contro i seguaci di Satana che diventavano sempre più avidi.

    Suo padre morì il giorno del suo ventesimo compleanno, rendendolo capofamiglia, poiché era il maggiore dei figli. Fu allora che ricevette la visita del suo amico Timoteo che gli aveva chiesto la mano di Emmelia, sua sorella minore.
    A Oanilonia i preti avevano abbandonato il popolo per occuparsi esclusivamente dei notabili e dei più ricchi, riservando loro i favori dell’Altissimo.
    Michele si fece carico dell’organizzazione del fidanzamento e tutti furono i benvenuti.

    Quel giorno Simplicio, uno dei luogotenenti di Maestro Sibarita, era presente e cedette al fascino della sorella di Michele. Tornò il giorno successivo con le sue guardie e ordinò che Emmelia li seguisse per entrare al servizio di Satana, ma Michele si frappose, sgominò le guardie e finalmente Simplicio fu alla sua mercé…
    Ma invece di ucciderlo, prese la sua spada e gliela lanciò dicendo .” Se il tuo occhio destro ti porta verso ciò che non ti è destinato strappalo e brucialo, perché è meglio che una parte di te muoia piuttosto che attiri su di te la collera di Dio”.
    Il luogotenente fuggì e tornò dal suo maestro. Ma tornò il giorno successivo con una truppa più grande, arrestò Michele e Timoteo che furono condotti alla prigione di Oanilonia e lì rinchiusi.

    La distruzione di Oanilonia

    Il primo giorno di prigionia fu anche il primo dei sette giorni che portarono alla distruzione della prima città degli uomini.
    Un fulmine si abbatté sul muro della prigione, permettendo a Michele ed al suo amico di fuggire il caos e di riunirsi ai loro cari.
    Michele riunì più persone possibili, dicendo loro che la punizione di Dio sarebbe stata terribile, ma che i giusti avrebbero potuto vivere una nuova vita lontano dalla città maledetta.
    Poiché Timoteo era pescatore, propose di ritrovarsi al porto per fuggire attraverso il lago. Michele aiutò coloro che per la loro fede in Dio meritavano di imbarcarsi. Poiché restavano dei posti, chiese al suo amico di lasciare salire dei bambini che si erano rifugiati presso di loro.
    Dei codardi che volevano fuggire dalla città, più per paura che per seguire la volontà di Dio, tentarono di assaltare la barca, ma Michele si mise in mezzo, permettendo a suoi ed ai bambini di lasciare la città senza intoppi.
    Quando i suoi amici furono al sicuro, egli restò solo e per sei giorni salvò coloro che potevano essere salvati.
    Il settimo giorno c’erano ancora persone da salvare ma nessuna barca. Come per miracolo apparvero altre due imbarcazioni, egli invitò dunque coloro che avevano il cuore puro a salire su queste barche. Sembrava capace di leggere nel cuore della gente se la loro fede era reale e inviava sulla prima barca coloro che giudicava degni e sulla seconda coloro che fuggivano per paura o per salvare le proprie ricchezze. Vedendo le due imbarcazioni piene, si rifiutò di salire, dicendo che Dio aveva una missione per lui e che sentiva di dover restare per salvare altri amici. Arrivata all’uscita della città la prima barca prese senza intoppi il largo, mentre la seconda più pesante per l’oro portato fu bloccata dai fondali bassi. Egli disparve con la città mentre forti venti distruttori che soffiavano da centro della Terra spaccarono la terra in numerosi abissi.

    Alcuni sopravvissuti, lontani dalla città, raccontarono che in quel momento, mente la pioggia cadeva malgrado il cielo senza nuvole, un arcobaleno che veniva direttamente dal sole cadde sulla città, Michele scelto da Dio fu così trasportato da un nembo celeste e divenne uno dei sette arcangeli.

    La prima apparizione

    La prima apparizione dell’arcangelo è d’altronde quella che fece di lui un angelo guerriero sebbene non avesse mai fatto colare una goccia di sangue.

    Qualche generazione dopo il giorno del giudizio e la morte di Michele, due gruppi discendenti diretti di coloro che egli aveva protetto discutevano perché una parte aveva costruito un tempio a Michele e l’avevano chiamato con un altro nome, considerandolo come pari di dio, perché aveva saputo salvarli. Gli altri consideravano il sacrificio di Michele come un esempio e non come l’atto che fa di un uomo un dio.

    Ispirato dall’ombra colui che si era dichiarato Gran Sacerdote di Anubi (nome che aveva dato a Michele, non è chiaro per quale ragione, è possibile che fosse il nome del suo gruppo, ma non è stata finora ritrovata alcuna prova di ciò) vide crescere il suo potere.
    Dicendo di ricevere le sue informazioni dal duo stesso dio, il Sacerdote nominò un neonato re del popolo, perché figlio di Anubi, e governò in sua vece per molti anni, fece radere al suolo il tempio dedicato a Dio e dichiarò che, poiché questo dio non aveva saputo proteggere i suoi fedeli, questi sarebbero diventati suoi schiavi. Per rafforzare il suo potere e far dimenticare il vero dio, riprese il nome degli arcangeli per farne a loro volta degli dei.

    Il patriarca dei fedeli pregava ogni giorno dio e, malgrado le loro sofferenze, lo ringraziava per ciò che avevano.
    Il Signore si impietosì ed inviò l’arcangelo in persona.
    San Michele apparve in armatura, con una lunga lancia ed un grande scudo e si fece riconoscere da tutti, apparendo alla sommità del tempio che gli era destinato.

    Il Gran Sacerdote lo interpellò e gli disse: “Anubi, eccoti finalmente; sei venuto a ringraziare i tuoi fedeli e a ricompensarci per aver tanto costruito per te?”
    Michele di risposta: “ No, sono venuto a portare le parole di speranza di Dio verso coloro che non si sono allontanati da lui perché numerose sono le comunità di fedeli che percorrono il mondo in attesa dei profeti che li riuniranno nell’amore e nell’amicizia.”
    Il Gran Sacerdote non lo riconobbe più ed ordinò alle sue guardie di smascherare l’inganno massacrando i fedeli del dio unico. Michele si frappose e per due giorni respinse gli assalitori, senza ucciderne alcuno, permettendo ai fedeli di fuggire verso altre terre.

    Dopo due giorni di combattimento i fedeli del Gran Sacerdote erano sia troppo stanchi sia troppo feriti per proseguire e videro delle ali spuntare sulla schiena dell’arcangelo permettendogli di ricongiungersi ai cieli. Il Sacerdote fece uccidere tutte le guardie dai suoi preti e disse che non era stato Anubi a venire, ma un dio vendicatore, per punirli per aver lasciato in vita i servitori del falso unico dio.

    Ci sono diverse varianti di questa leggenda che sostengono che l’Arcangelo era alla testa di un’armata d’angeli, un’altra che avrebbe armato le braccia dei più forti tra i fedeli, un’altra ancora che egli non aveva fatto altro che ispirare il più valoroso tra i servitori di Dio per guidare la rivolta e condurre i suoi attraverso il deserto. Tutto ciò ha poca importanza, l’essenziale è che furono l’intervento di Michele e la volontà di Dio che permisero ai loro figli di fuggire verso terre più accoglienti.

    La leggenda di monte san Michele (mont saint Michel)

    La seconda apparizione dell’arcangelo che ho trovato accadde nell’epoca in cui alcuni Barbari veneravano degli dei alcolici, avendo per solo tempio la taverna e per sola liturgia la bevuta. Il quel periodo esisteva una comunità di fedeli perseguitata da un barbaro di nome Saathan che venerava un Dio alcolico che esigeva sacrifici di bambini.

    La comunità in fuga verso il Nord si trovò bloccata in una foresta in riva all’oceano.
    Il patriarca della comunità disse a tutti i suoi di prepararsi a sacrificarsi nell’oceano per non cadere nelle mani dei barbari. Si diressero allora verso il punto più alto della costa e si misero a pregare il Signore affinché chiedesse a san Michele di preparare la loro venuta.

    Dio, che non poteva tollerare che dei suoi figli mettessero fine alla propria vita, fece sapere al patriarca tramite un messaggero celeste che non stava al figlio scegliere il giorno in cui si sarebbe ricongiunto al suo creatore. Ordinò dunque, se l’amavano ed avevano fede in lui, di abbattere dei grandi alberi e fare una palizzata intorno alla roccia. Una volta fatto, prepararono un grande banchetto e accesero un fuoco sulla sommità della roccia affinché Saathan conoscesse la loro posizione.

    Così fu fatto e sette giorni più tardi la palizzata fu completata e il fuoco acceso. La mattina videro le truppe di Saathan accerchiare la roccia ed attaccare la fragile protezione. Con l’aiuto di pietre e di lance, i fedeli si preparavano a battersi, poiché tale era la volontà di Dio. Allorché, nel luogo stesso in cui era stato acceso il fuoco, un angelo vestito di un’armatura e armato di lancia e scudo apparve… Non disse una parola, ma tutti i fedeli sapevano che fosse.

    L'arcangelo Michele lanciò la sua arma verso l’orizzonte che sembrò levarsi verso il cielo e avanzare verso la rocca come un muro di cavalli al galoppo, questo muro travolse tutto ciò che si trovava sul suo passaggio ma non distrusse la fragile palizzata. Le truppe di Saathan furono inghiottite e quando il mare si ritirò aveva fatto della roccia un’isola circondata di sabbia mobile dove finiva di sprofondare l’armata vinta dalla forza dei fedeli.


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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:38 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia di Sant’Uriele Arcangelo

    Nascita di Uriele e Belial

    1. Nella città di Oanilonia viveva Adiguelle, moglie di Teofilo, dal quale aspettava due gemelli. Questi bambini erano stati concepiti nel più grande amore e non erano stati macchiati da alcuna lussuria. Adiguelle era una donna generosa e sempre attenta a chi le era vicino. Si occupava abitualmente dei più poveri ma in quel momento la situazione era difficile, gli uomini cominciavano ad allontanarsi da Dio, a sprofondare nella pigrizia e nell’avarizia, cosa che creava sempre più rivalità tra gli onaniloniani e questa situazione non faceva diminuire la povertà, al contrario, il numero dei bisognosi non cessava di crescere e questi erano disprezzati dai più forti. Non volendo svantaggiare nessuno, Adiguelle si occupava di ognuno di loro, ma ormai la creatura innominata inspirava in loro la gelosia e la sete di vendetta. Sfinita da questa situazione e dai bambini che aspettava, Adiguelle non poteva più trattenerli sulla retta via. Mise al mondo due bambini, uno chiamato Uriele, che secondo una leggenda significa “dona e ama”, l’altro Belial, che significa “dona e riceverai”. Allora la creatura senza nome persuase i più poveri ad uccidere quella famiglia, l’amore che regnava tra di loro e l’amore che riservavano all’Altissimo era, secondo le loro parole, la ragione che obbligava i più forti a disprezzare i più deboli.
    Presentendo il pericolo, Teofilo prese Uriele e suo fratello dalle mani della loro madre e dopo averli abbracciati li nascose sotto una cassa. Aveva appena riposto la cassa quando coloro ai quali Adiguelle apriva ogni giorno la casa entrarono e li uccisero nel modo più orribile. Ma i bambini, sotto la loro cassa, furono risparmiati perché non erano stati visti.


    Accolti

    2. Furono raccolti da Menopus, un uomo anziano e pio, che non sapeva niente dell’origine di quegli “amori”, come amava chiamarli e che non desiderava sapere niente. Dette ai piccoli il latte che produceva grazie alla sua mucca Minerva, mucca che sarebbe diventata celebre ben più tardi presso i pagani per aver dato il latte, come se le sue simili non potessero… Ma torniamo alla nostra storia, la luce della candela si abbassa ed è necessario che io finisca di scrivere prima che mi trovino. I due giovani crebbero dunque senza mai separarsi; esisteva tra di loro un legame che andava al di là dell’amicizia e dell’amore fraterno, ma sfortunatamente uno di loro stava per allontanarsi dalla retta via.

    La tentazione di Belial

    3.I due bambini, malgrado le tentazioni della Creatura senza nome, continuavano a crescere piamente e non esitavano a privilegiare gli altri rispetto a se stessi. Certamente, dopo ciò che era accaduto ai loro genitori, di cui non sapevano niente, ma ne furono avvertiti in sogno, cercavano di essere discreti, fino al giorno in cui la Creatura andò a parlare a Belial:
    “Perché privilegiare gli altri? Soprattutto quando non hanno niente da offrirvi; servite dunque i ricchi, vi pagheranno, così non lavorerete per niente”.
    Belial gli rispose:
    “Io non ho mai lavorato per niente, queste persone hanno bisogno di me, se non lo facciamo noi, chi lo farà?
    “Nessuno, ma che cosa ti danno in cambio? Niente; imprecano contro di te, perché più dai, più vogliono”.
    Questa riflessione non lo toccò subito, però, man mano che cresceva, questa insisteva e venne un momento in cui non riuscì più a farle fronte. Cominciò a chiedere dei soldi in cambio, ma i poveri già senza denaro non riuscirono a darglieli. Abbandonò dunque il suo servizio e cominciò anch’egli ad entrare nella pigrizia e nel peccato, traendo sempre più soddisfazione dalle sue azioni e non vedendo che non era indispensabile.

    La tentazione di Uriele e la sa preghiera

    4.La creatura senza nome andò poi a parlare all’orecchio di Uriele, ma questi, conoscendo le sue intenzioni, non lo volle ascoltare, perché più si fosse lasciato tentare, più sarebbe stato difficile resistere.
    Raccogliendosi in preghiera, si mise in ginocchio e cominciò a recitare la preghiera che sarà a lungo utilizzata dai chierici.
    Citation:
    “O Dio altissimo,
    padre dell’umanità
    e onnipotenza divina,
    chiudi le mie orecchie
    alle tentazioni
    e apri i miei occhi
    all’amore senza fine che tu mi dai,
    che io possa donare a coloro che devono ricevere,
    amare coloro che devono essere amati,
    sapendo sempre
    che se io non fossi là,
    qualcun altro sarebbe là per farlo
    perché sei Tu che parli attraverso la mia bocca
    e che operi attraverso le mie mani.

    Perdona mio fratello e tutti gli altri,
    non sanno quello che fanno.”

    Questo giovane era benedetto da Dio, era certo, era stato scelto affinché donasse la sua vita per questo mondo. Davanti a tale forza e benedizione la Creatura senza nome non poteva più niente e, sebbene l’avesse tentato altre volte, non riuscì mai a convincere Uriele, neanche per un momento.

    La Punizione- Istituzione degli Arcangeli

    5. La situazione degli uomini non andava migliorando. Non credevano più in Dio e non agivano che in funzione di se stessi a scapito dei propri fratelli e persino delle proprie famiglie. Ciò diede adito a rivalità e spesso la legge del più forte portò a crimini senza precedenti.
    Fu allora che si abbatté la Punizione Divina, non che l’Altissimo non amasse più questo mondo, ma se non fosse intervenuto, sarebbe stato sconfitto.
    Allora ci furono dei lampi e sebbene molti fuggissero, i più determinati lottarono sia per il bene, sia per il male e si divisero in due gruppi.
    Coloro che incarnavano da soli tutti i peccati del mondo, gli inaudiendes (ndt: in latino, coloro che non sentono) erano comandati da sette uomini malvagi:

    Asmodeo, il goloso,
    Azazel il lussurioso,
    Lucifero l’accidioso,
    Belzebù l’avaro,
    Leviatano l'iacondo,
    Satana il geloso e ovviamente
    Belial il superbo.

    Questi sette, credendo nell’Innominato, assicuravano che quella punizione provava inconfutabilmente che Dio non li amava.

    Dall’altro lato, conoscendo le loro colpe, un gruppo predicava il pentimento. Guidati da

    Gabriele,
    Giorgio,
    Michele,
    Galadriella,
    Silfaele,
    Raffaella
    e Uriele,

    incarnavano rispettivamente e contrariamente agli inaudiendes le sette virtù: temperanza, amicizia, giustizia, perseveranza, piacere, convinzione e il generosità.

    Ciascun gruppo aveva i propri adepti; i Peccatori erano i più numerosi, occorreva ai Virtuosi una fede senza falle per resistere e non farsi corrompere.

    Alla fine del settimo giorno, forti venti distruttori si levarono dal centro della Terra e spaccarono il suolo in numerosi abissi, gettando gli inaudiendes nelle loro profondità.
    Ma in mezzo a questa carneficina arrivò una nube celeste e portò i sette virtuosi alla sommità della volta celeste. Là risplendeva una dolce luce. Non sapendo ancora dove si trovavano, la paura li avrebbe potuti prendere, ma quel luogo era così dolce e riposante che si sentivano bene e provavano un’immensa sensazione di calore, una sensazione d’amore.
    Fu allora che una voce forte e tenera si fece sentire:

    Citation:
    “Figli miei, siete qui davanti a me perché avete compreso che io non vi punivo né per gelosia, né per piacere, ma perché la razza umana era giunta a tal punto che solo la Punizione avrebbe potuto rimetterla sulla Mia retta via. Io vi nomino per questo Arcangeli, voi incarnerete le sette virtù che avete difeso e sarete d’ora in avanti gli ispiratori di tutte le virtù. Vi dono tre paia d’ali, segno del vostro potere e del vostro rango.
    Andate adesso, il paradiso vi attende”.



    Dannazione eterna

    6. Gli inaudiendes furono inviati nelle profondità degli abissi, là dove il fuoco crepita e i peccatori sono sottoposti a supplizi.
    Se si guardano, tutti gli esseri della creazione sono peccatori, ma l’Altissimo, nella sua grande bontà, ha offerto il perdono, chi non accetta di riceverlo conserva il proprio peccato e lo subirà fino alla fine dei tempi.


    Belial e la superbia di corrompere di nuovo gli uomini di Dio
    Istituzione dell’esorcismo


    7. Ai suoi primordi la Chiesa era ancora fragile e Belial si disse che per meglio distruggerla era necessario agire dall’interno. Sempre più superbo, decise di prendere possesso del corpo del più alto dignitario della Chiesa: il Papa. In quel periodo il Papa Igino era gravemente ammalato, Belial pieno di viltà, ne prese possesso e da quel momento i tratti del Santo Padre cominciarono a cambiare. Un servo, Mirall, se ne rese conto e implorò l’Altissimo di mandare qualcuno. L’arcangelo Uriele, santo patrono della battaglia contro la possessione, chiamata poi esorcismo, fu inviato.
    Egli scese più velocemente possibile, battendo le sue sei ali a perdifiato; se la Chiesa fosse caduta allora, il risultato sarebbe stato atroce. Entrò nel corpo di Igino, i suoi pensieri virtuosi dovevano riprendere vigore, ma euuuhhhhh, dal canto suo anche Belial lottava.

    “Osi intervenire contro il tuo stesso fratello, Uriele?
    Non vedi che Dio si serve di te?”

    “Tu non sei più mio fratello, Belial.
    Io ti rinnego, torna da dove sei venuto, riprendi a popolare gli abissi, solo Dio è sovrano, solo Dio è il Signore. Che le virtù sole di quest’uomo sorgano!”

    Mentre si svolgeva questo scontro, anche il cielo e la terra sembravano affrontarsi in un combattimento decisivo.

    “Ritorna da dove sei venuto, principe dei demoni e lascia l’anima di quest’uomo in pace, comprendi?
    Vade retro Belial! Torna da dove sei venuto!”

    In quel momento una fiamma si levò dalla bocca del posseduto ed andò a schiantarsi lontano, sull’astro che dominava la Notte, mentre il cielo tornava al suo colore normale.

    Sant’Uriele ascese al cielo in gloria, seduto su una nuvola e accompagnato da mille voci celesti che cantavano la gloria di Dio, perché solo Dio è sovrano.

    Ciò accadde nell’anno di grazia 140.


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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:44 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:


    Agiografia di Santa Raffaella Arcangelo

    Dubbi

    Una vecchia era in cammino dal tramonto del sole. Faceva molta fatica a muoversi. Da tre mesi sentiva che le sue forze si esaurivano, che le gambe poco a poco la abbandonavano, ma nonostante tutto camminava, camminava tutto il tempo e si fermava solo per dormire e riprendere le forze. Sapeva chi doveva trovare. Un uomo che abitava in una casetta, un uomo ricercato e guercio che si era dato da solo il nome di aborto. La notte era ormai scesa, e quella cosa ambulante aveva paura, non sapeva dove dormire e quella strada che non conosceva non le diceva nulla di buono.
    Continuava a camminare, più svelta, si affrettava ora, doveva arrivare, non ce la faceva più ma ne andava della sua vita. Se moriva, tutto era finito. Certo, i suoi genitori le avrebbero detto che sarebbe vissuta dopo la morte. Che Dio era lì apposta per salvarla. Ma era impossibile: se fosse esistito Dio, lei non avrebbe subito tutte quelle disgrazie e la vita non esisterebbe. Perché separarsi per ritornare da Lui dopo la morte? Questa storia non stava davvero in piedi. E sarebbe successo a lei se non fosse arrivata al più presto. La storia di un Dio cominciò a stuzzicarla. Ora cominciava a farsi prendere dal panico. Quasi correva. Tanto, per lo sforzo che ci metteva, era come se lo facesse. Non era più sostenibile e d’un tratto si voltò e, di fronte a ciò che credeva il vuoto, urlò.

    “Se davvero esisti, fatti vedere. Non nasconderti, se non sei capace di amare coloro che hai creato, se non sei capace di mantenere i tuoi impegni o se fai soffrire questo mondo a tuo piacimento. Fatti vedere!”

    Il tuono imperversava già nella mente di quella povera donna e già ella aspettava quel Dio di cui aveva tanto sentito parlare ma che mai aveva visto.
    Questa era la cosa più strana: lei che non credeva in nulla era convinta che avrebbe avuto una risposta, certo, una risposta, ne avrebbe avuta una, ma ben lontana da quella che si aspettava. Benché forse, in fondo al cuore, una parte recondita le urlasse la verità.

    Rivelazione

    Al posto delle correnti mortali che si era immaginata, sorse una candida luce, ed era impossibile sapere da dove venisse. Si poteva credere che le tenebre stesse brillassero.

    Una voce si fece sentire; anch’essa proveniva da ogni luogo e da nessuno allo stesso tempo, era rassicurante e sembrava venire dalla notte dei tempi.

    “Raffaella, Raffaella,
    Perché gridi?
    Le tue grida spargono l’eco nelle montagne e turbano il corso dei fiumi. Pietrificano di paura i piccoli di questo mondo e fanno combattere i più saggi.”

    La vecchia non seppe cosa rispondere. Fu estremamente toccata da quello che aveva appena sentito. Sentire la voce di Dio era già di per sé straordinario, ma che quest’ultimo la chiamasse per nome lo era ancora di più. Da quanto tempo non era stata chiamata per nome? Non era mai stata chiamata per nome, mai più dopo che suo padre se ne era andato. I soprannomi avevano finito per prendere il suo posto. Raffaella, il cui cuore cominciava ad aprirsi di nuovo, era ancora scettica, ma la fiamma di odio nei suoi occhi non si era ancora spenta.

    Quello che all’inizio aveva preso per un atto d’amore si tramutò, sotto l’influsso della collera, in affronto. Siccome la sua anima non era pronta a ricevere un amore puro, le era impossibile ricevere l’amore più forte che potesse esistere; ma l’onnipotenza di Dio e la conoscenza che aveva di sua figlia cominciavano la loro opera.

    “Come osi chiamarmi per nome, o Tu, Dio, dalla mente benevola e dalla mano malvagia?”
    “Un padre non chiama forse i suoi figli per nome?”
    “Sì, ma un padre si preoccupa per i suoi figli, li accudisce e li ama.”
    “Non è quello che faccio?”

    Dicendo queste parole, Dio mostrò la terra.

    “Raffaella,
    Ecco il tracciato della tua vita.
    Quelle tracce sono i tuoi passi.”

    “Se quelle tracce sono i miei passi, a chi appartengono le tracce che proseguono a fianco?”
    “Sono le mie, Raffaella, cammino al tuo fianco da quando sei venuta al mondo.”
    “E nei momenti più difficili, ci sono solo due impronte. Perché non c’eri quando avevo bisogno di te?”
    “C’ero, e se vedi solo due tracce è perché ti portavo in braccio, figlia mia.”

    Il cuore di pietra, così difficile da convincere, divenne in quel momento cuore di carne. Raffaella capì chi aveva di fronte, suo padre, e, cadendo in ginocchio, gli chiese perdono.

    “Trattieni le lacrime, Raffaella, questo momento è per la gioia, credevi male ma almeno restavi fedele alle tue idee. Ora che hai visto, la tua convinzione ti salverà e mostrerà a molti altri il cammino che ho tracciato per loro.”

    “Padre, perché non ti sei mai mostrato, perché non mi hai mai detto che c’eri?”
    “Te l’ho detto, figlia mia, ma le tue orecchie non volevano ascoltare, mi sono mostrato a te ma i tuoi occhi non volevano vedere, ti ho preso per mano ma non me l’hai stretta; allora mi sono rivelato al tuo cuore e tu hai creduto.
    Ti ho lasciato scegliere poiché eri libera, non volevi accogliermi, non mi sono imposto.
    Mi hai cercato e mi sono rivelato.
    Molte domande si agitano ancora in te ma sii paziente, risponderò nel profondo del tuo cuore quando verrà il momento.
    Vai, poiché ora sai che sono con te fino alla fine dei tempi.
    Se cadi, ti rialzerò.”

    Domande

    A partire da quel momento, la luce si fuse col paesaggio e, anche se non era più così intensa, Raffaella la poteva vedere, e quella luce la guidava nella notte. Avrebbe potuto mostrarle il cammino, ma Raffaella lo conosceva; avrebbe potuto rischiarare le tenebre, ma Raffaella non ne aveva bisogno; invece, quella luce le mostrava il cammino interiore e scacciava tutte le tenebre.
    Raffaella aveva lasciato Oanilonia qualche giorno prima e la persona che cercava abitava lontano, era una dei pochi ad aver lasciato la città quando questa viveva ancora lontana dai tormenti.
    Mentre camminava, Raffaella non smetteva di ripensare al suo incontro con Dio; Egli si era comportato da padre nei suoi confronti, si era comportato come il suo vero padre che aveva lasciato la città di Oane, non si seppe mai perché, proprio lui che le aveva tanto dato, che l’aveva tanto amata, era completamente sparito. Questa era una fra le cose più toccanti. Dio amava ciascuno di noi, era così bello ma così difficile da credere. Perché la miseria? Perché l’infelicità? E perché dover morire prima di vederlo di nuovo? Se lo sapeva, la risposta alla sua ultima domanda le giunse come una verità indiscutibile: Dio ha lasciato gli uomini sulla terra perché abbiano la totale libertà. Dovevano scegliere tra seguire il Suo cammino o andare là dove Lui non era passato, là dove persino la più grande strada non si vedeva. Là dove Dio era assente, o meglio là dove ci si rifiutava di vederlo, perché Dio era ovunque. Benché onnipotente, Dio lasciava agli uomini il libero arbitrio.
    Ma allora, se Dio lascia a ciascuno il libero arbitrio della propria vita, perché esso gioca a volte a scapito della libertà o della felicità degli altri? Perché la libertà di uno calpesta la libertà di un altro?

    Continuava a camminare, doveva arrivare alla capanna. Era stanca, sempre di più, ma vi era in lei una così grande sete di Dio che fermarsi le sembrava una perdita di tempo. Finì per trovare il tugurio che faceva da casa a colui che cercava. Entrò, passando da quello che sembrava essere una porta e non vide nessuno, non vi era nulla a parte una pergamena.

    Quando nasci, non scegli tuo fratello.
    Chiunque egli sia, devi imparare a conviverci, a vivere per lui.
    Se tuo fratello risplende d’amore per Dio, allora quest’amore non potrà fare altro che raggiungerti.
    Se invece tuo fratello si scosta dall’amore divino, spetta a te farglielo vedere a costo della tua stessa vita.
    Ma a che scopo dare la propria vita per qualcuno che non vuole vedere?
    Se ci riesci, gli offri una possibilità di unirsi a Dio e agli angeli dopo la sua morte e per questo anche tu ti unirai a loro.
    Se fallisci, sarai tu a unirti a loro.

    Tuttavia, è anche detto, non insistere con tuo fratello se i suoi occhi non possono vedere, pensa e adoperati per il maggior numero di persone, poiché quelli per i quali ti sarai adoperato potranno anch’essi adoperarsi per altri.

    Allora, è meglio dare la propria vita per tentare di salvarne uno che non vuole essere salvato o dare la propria vita per salvare una moltitudine la cui voglia di vedere è ardente?


    Raffaella lesse e capì un’altra cosa. Ogni uomo era stato posto in una particolare situazione che poteva evolvere, non solo in ragione dei desideri di Dio o del male ispirato dalla creatura senza nome, ma in funzione del modo in cui ogni fratello e ogni sorella disponeva del proprio libero arbitrio e della propria libertà. Le azioni di ciascuno, se non erano riscattate su questa terra, sarebbero state riscattate quando Dio sarebbe venuto a prenderli.
    L’evidente verità venne a trasfigurare Raffaella per amore divino. Si mise in ginocchio, in lacrime, e pregò.
    Che il Signore, Dio dell’Universo, le dia la forza di servire umilmente e amorevolmente in ogni tempo e in ogni luogo.

    Pregò per tutta la notte poi al mattino si alzò, piena di una nuova sicurezza.
    Era fiduciosa, Dio era lì con lei, ed ella dimorava in Lui.
    Un’aura benefattrice e amorevole brillava ora intorno a lei. Se gli occhi erano e restano incapaci di vederla, l’anima era capace di percepirla poiché l’anima seguiva l’amore, il dono più grande che Dio aveva fatto all’uomo.

    L’inizio dei suoi atti come

    Raffaella si avvicinava a Oanilonia e già il velo della discordia che pesava sulla città si faceva sentire. Infatti, la creatura senza nome aveva seminato il dubbio nei cuori perché gli uomini si scostassero dalla verità; il tutto prima di partire vigliaccamente, presentendo la reazione di Dio.
    Sempre di più la popolazione si divideva in due gruppi, quelli che restavano fedeli a Dio e quelli che, credenti o no, si lasciavano penetrare dal dubbio.

    Quanto erano deboli gli uomini, bastava loro sentire che Dio non esisteva per voltarGli le spalle. Era ancora più facile dire che Dio non li amava e che non vi era più speranza, così nessun peccato sembrava impedito da una valida ragione.
    Raffaella vedeva questa debolezza, perciò si unì a un gruppetto di fratelli e sorelle e conservava in lei la speranza nonché la ferma convinzione che Dio li amava. Pregava perché ogni uomo vedesse in sé il cammino di Dio, perché ognuno vedesse che non camminava da solo.
    La convinzione e la sicurezza di cui dava prova le permettevano di predicare ed ella poté convincere molte persone solo con la parola.

    La Punizione

    Fu allora che si abbatté la punizione divina. Cominciò col fulmine che si scatenava nell’alto del cielo poi cominciarono a piovere interi fiumi, gli uomini, uno a uno, vennero abbandonati dalla vita. Poi vennero le lingue di fuoco che si abbattevano su ogni uomo.
    Gettando i più malvagi nelle fiamme eterne dell’astro notturno e promettendogli una nuova esistenza di sofferenza e tormenti.
    Esse davano tuttavia una nuova vita a coloro che avevano creduto, innalzandoli il più vicino possibile alla gloria divina sull’astro che domina il giorno.
    Raffaella fu elevata con altri sei al rango di arcangelo perché ispirassero per tutti i secoli dei secoli le sette virtù.

    La sua Missione

    Un giorno sulla terra,
    Un uomo soffriva.
    Amava Dio con tutto il cuore ma non aveva mai osato proclamare l’amore che provava per Lui a quelli che lo circondavano.
    Intorno a lui, le persone imprecavano contro Dio e non smettevano di bestemmiare.
    L’uomo non osava rispondere. Era cosciente del suo peccato ma non poteva agire, oppresso com’era dalla paura.
    Una sera ritornò a casa e si gettò sul suo pagliericcio, in lacrime.
    Confidò a Dio le difficoltà che aveva ad ammettere la sua fede davanti agli amici, e disse, piangendo ancora di più, che non vedeva l’ora di annunciarlo ma che aveva paura… Come poteva fare per trovare il coraggio di proclamare la sua fede?
    Non poteva più restare fermo a quel punto, a conservare Dio per se stesso, doveva dirlo e urlarlo a tutto il mondo!
    Allora Dio, sentendo suo figlio, inviò Raffaella dicendole queste parole:
    “Vai Raffaella, ch’egli trionfi!”
    quale una presenza che si percepisce ma che non si può vedere, Raffaella scese vicino all’uomo e lo accompagnò.
    Il giorno dopo, quando andò a trovare i suoi amici, questi cominciarono a riferirsi a Dio con parole spregevoli; egli stava per non dir niente poi, sentendo quella forza invisibile vicino a lui, disse con tono fermo che non voleva si nominasse il suo Dio a sproposito. Aveva finito di stare zitto.
    Dio era il suo Dio, era così, mai più si dovevano dire vergognose bestemmie se egli aveva modo di sentirle!
    In quel momento, mentre i suoi amici gli rivolgevano uno sguardo di disprezzo, mentre rischiava di soccombere sotto il peso della paura, Raffaella lo alimentò col suo soffio e lo incitò.
    Allora, continuò a parlare in modo calmo, ma le sue parole avevano la forza di un grido. “Dio ci ama, non avete alcun diritto di parlare in questo modo di Lui!”
    Allora, gli uomini che gli stavano intorno, non capendo queste parole e non lasciandogli nemmeno la libertà di pensarle, lo assalirono e gli squartarono le membra. Morì quel giorno, dopo atroci sofferenze, ma fiero di aver finalmente potuto onorare le sue convinzioni.
    Raffaella allora prese l’anima di quel buon uomo e la presentò lei stessa all’Altissimo.

    La Preghiera

    Raffaella ispirava ai cuori puri che la pregavano la forza di mantenere le loro convinzioni e di agire di conseguenza, affinché gli uomini fossero in grado di volere il bene ma anche di praticarlo. Ma sebbene ispirasse la convinzione, era Dio a parlare attraverso la sua bocca.
    Dopo che l’anima dell’uomo ispirato da Raffaella ebbe raggiunto il sole, gli assassini si guardarono l’un l’altro. Avevano appena ucciso il loro amico. Allora, il cadavere fu avvolto da una gigantesca fiamma, che sparì quasi subito. Il corpo era rimasto intatto, tranne che sul torso era scritta in lettere d’oro la seguente iscrizione:

    Citation:
    Preghiera di Oscermino a Dio.
    Invocazione di Santa Raffaella:

    O Dio,
    Te in Cui credo,
    Te che guidi i miei passi,
    Dammi la forza di professare la grandezza del Tuo Nome
    Così come l’amore e l’adorazione che provo per Lui.
    Inviami il Tuo arcangelo Raffaella, perché cammini al mio fianco,
    perché non sia più solo davanti al nemico della mia fede e della mia convinzione.
    Che i miei atti obbediscano al mio cuore e che anche la mia mano sinistra segua i comandi della destra.
    Che il mio cuore abbia timore di Te.
    E ch’io annunci il Tuo Santo Nome.
    Dio, degnati di alzare la mano, Perché Raffaella discenda e mi venga in aiuto.
    Così sia!


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MessagePosté le: Lun Juil 24, 2023 10:48 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Agiografia di San Silfaele Arcangelo

    Il rotolo di questo manoscritto fu ritrovato al di là della grande pianura, in una delle antiche grotte di Mogao, a Dunhuang e riportato alla luce da Fra’ Guglielmo di Rubrouck circa duecento anni fa.

    Io, Nemrod Aggadoth che fui testimone della caduta di Oanilonia per castigo divino e devo la mia salvezza solo al fatto che l’Altissimo mi impose di trasmettere questa testimonianza alle generazioni future, consegno, alla fine della mia vita e alla posterità umana, il racconto dettagliato di tutto ciò che ho visto.

    L’incredibile destino di Silfaele di Hedon

    In quei tempi tumultuosi per la città viveva un giovane chiamato Silfaele di Hedon. Sapeva brillare in società, era dotato di talenti in tutte le arti, ma ciò che gli procurava l’ammirazione della sua cerchia era la sua straordinaria capacità di assaporare ogni istante della vita.
    Lo incontriamo spesso in compagnia di due amici di taverna, Colomba la Radiosa e Lucifero il Ciclotimico, ma mentre quest’ultimo si ubriacava eccessivamente fino a diventare violento poco prima del coma etilico (dando luogo al celebre detto “quando Lucifero beve, Colomba paga”) Silfaele, re delle notti di Oanilonia, gustava tutti i vini, poi appena titubante cominciava a dare il suo concerto di lira in favore dell’associazione “saggezza riunita di Oane”. Si vedevano allora le torce dei suoi adulatori sconvolti, inviarlo dritto al firmamento.
    Spesso l’indomani all’aurora e dopo che aveva trovato nuove fonti di piacere studiando con Colomba, non era raro vedere Silfaele preparare una tisana al capezzale di un Lucifero dai tratti rovinati, nauseati, livido.
    “Tu confondi piacere e felicità, mio povero Luc!” lo ammoniva Silf mentre il suo amico si preparava ad una giornata di mortificazioni e autopunizioni di tutti i generi perché come una banderuola folle Lucifero il volubile non cessava di passare da una sete di piacere estremo ad un abbattimento colpevole e deprimente “e così affatichi il tuo corpo molto duramente con incessanti privazioni e eterni eccessi”.
    Qualche tempo dopo, Colomba, cedendo al fascino devastante di Silfaele il voluttuoso, lo sposò.
    Tuttavia nonostante la loro impertinente felicità, i due giovani si preoccupavano per il loro amico, che come altri abitanti di Oanilonia, affondava ogni giorno più profondamente in un abisso senza fondo, confondendo inquietanti costumi sessuali la notte e formulando strane preghiere di giorno, prostrato e nudo, sulla sommità di una colonna sotto l’occhio benevolo della Creatura Senza Nome.
    Questi operava ormai per tutta la città, uscendo nella penombra, fiutando le sue prede tra le rovine sempre più numerose sotto i colpi violenti dell’ira di Dio perché il tempo del castigo era cominciato.

    La ribellione dei corrotti

    La Creatura Senza Nome aveva trovato facilmente i suoi ausiliari tra gli esseri più dissoluti della Città in numero di sette, tra cui Lucifero il Ciclotimico e questi factotum diffondevano i loro malvagi pensieri con sconcertante facilità, instillando negli spiriti smarriti per la paura oscure idee come:
    “Dio ha creato i ricchi per dare ai poveri il paradiso in grande stile”, “l’uomo ritroverà i suoi beni se non dubiterà della debolezza di Dio”, “l’eternità è lunga, soprattutto verso la fine”, tanto e così bene che la collera così attizzata scatenò un massacro.
    Un mattino ritrovammo sventrato tra le rovine e tra molti altri il corpo di Colomba e per la prima volta vidi Silfaele crollare, nel medesimo tempo in cui la città cadeva a pezzi.

    La tentazione

    Due giorni più tardi mentre la città in rovina si svuotava scorsi Silfaele correre in tutte le direzioni in un vicolo. Era pallido. Mi raccontò questo:
    “Stanotte mi sono svegliato di soprassalto sentendo la presenza sul mio lenzuolo di una forma: questa sembrava appoggiarsi ai miei fianchi, poi stringersi intorno alle mie gambe fino a bloccarmi completamente. Fui preso da un’angoscia opprimente tuttavia credevo di riconoscere in questa forma il corpo di Colomba, la mia defunta moglie, e mentre il terrore poco a poco mi invadeva io ero invaso da un fiume di immensa tenerezza nei suoi confronti, ma sapevo che non c’era più e questo sentimento cedeva il posto ad un’impressione di mancanza e un dolore incontrollabile, compresi ad un tratto di essere in preda ad uno straordinario maleficio, di dover lottare con tutte le mie forze per non cedere a questa cosa abominevole. Senza dubbio paralizzato da una paura intensa avevo grandissime difficoltà a muovermi e la cosa mi imprigionava come una morsa. Dopo interminabili secondi riuscì a prendere la lampada ad olio (avevo l’unico pensiero di fare luce per affrontare il sortilegio) ma la fiamma non si accese. Allora, cedendo al panico, mi dibattevo con l’energia della disperazione perché questa volta sarei morto e non smettevo di gridare “vattene”, in una litania ininterrotta sempre più forte, alla forza malefica di cui ero vittima. Il mio polso si imbizzarriva, il mio cuore batteva così veloce che era sul punto di esplodere, la cosa sciolse la sua stretta, poi non sentii più niente, accesi la lampada e questa volta, stranamente, funzionò.
    Per il resto della notte ho meditato su questo tentativo di possessione da parte dell’Innominabile Creatura e sullo stato di accidia che stava quasi per uccidermi quando ero pietrificato dall’angoscia.
    Dobbiamo accettare l’ira di Dio, e questa città, siamo noi che l’abbiamo condannata alla distruzione, io mi ricongiungerò al gruppo dei virtuosi.”.
    “Perdonami, amico mio”gli dissi “ma come speri di incarnare una virtù, tu che hai consacrato la tua intera esistenza ai piaceri?”
    Rispose “ma perché questa virtù è il piacere stesso! Dio ci ha dato i sensi per gustarlo e perché l’amore della vita restasse l’Amore”.
    Senza attardarsi cominciò a pregare per salvare il mondo in compagnia dei Virtuosi riuniti alla settima Porta.

    La città di Oanilonia, di forma quadrata, aveva otto porte corrispondenti alle suddivisioni cardinali e la porta Ovest era la settima, osservai Silfaele allontanarsi verso ponente e questa fu l’ultima volta che lo vidi.
    Infinitamente più codardo, lasciai precipitosamente la città senza armi né bagagli, prima dell’ultimo caos. Così restavano ormai sette virtuosi di fronte a sette corrotti.
    Tra i compagni di fuga che incontrai sulla strada, qualcuno aveva osservato da lontano il cataclisma finale, la città inghiottita dalle onde e le loro testimonianze concordavano su questo punto, sette figure erano sollevate verso il sole da dei fasci ardenti.
    Fui felice pensando alla destinazione finale di Silfaele che per tutta la sua vita era stato splendente.

    All’ultimo soffio della mia vita traccio alla svelta degli schizzi tentando di trasmettere questi ricordi visivi della grande città di Oanilonia al mondo dei sopravvissuti. Possa l’umanità sempre ricordarsi dell’esempio dei virtuosi e del castigo degli orgogliosi.

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