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[1467] Congrégation du Saint-Office
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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 6:28 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:


Congregatio Sacti Officii et de Causis Sanctorum

We, Cathelineau, , Chancellor of the Holy Office, Bishop In Partibus of Acropolis, Duke of Spoleto, Baron of Elz, Teutonic Knight,

Announce the publication of the hagiographies of San Andrea di Gaeto and San Gennaro.


Written & sealed in Rome on Marc 22, 1467.


Citation:
----------------------------------------------------------------------Agiografia di sant'Andrea di Gaeta, patrono dei pescatori.





----------Caro lettore,
questa che stai leggendo è una storia che si tramanda da secoli di generazione in generazione, in ogni porto e su ogni nave del Mare Nostrum.
Le vicende che si raccontano e che ho raccolto in queste pagine, riguardano un grande uomo, tal Andrea, che con la sua flotta solcò i mari, sfidò le tempeste e combatté le bestie marine serve della creatura senza nome. Ancora oggi se entri in una taverna di Gaeta vecchia o se passeggi sul molo, ne sentirai riecheggiar le mirabolanti gesta.




----------Ordunque, senza indugiar troppo, che il sol già cala sul mare devi sapere che…



    ----------Andrea Lucio Aulo, nacque a Gaeta nel 241 d.C, da Marco Tiberio Aulo, prefetto e consigliere della provincia, e da Giuliva Ridolfi, nobildonna In Gratebus di Gaeta e baronessa del piccolo feudo di Rialto.
    La condizione economica della famiglia era agiata, pertanto Andrea frequentò le migliori scuole fianco a fianco con i piccoli delle famiglie aristocratiche che una volta diventati grandi, avrebbero tenuto in mano le redini della provincia e del Regno. Per lo studio delle difficili materie come Fondamenti di storia, Funzionamento delle istituzioni, Fondamenti di diritto e Meccanismi erariali in cui Andrea non brillava molto, fu necessario l’ausilio di un mentore: fu ingaggiato un giovane funzionario statale di nome Raniero con il il quale Marco Tiberio aveva collaborato alcune volte. I due divennero ben presto inseparabili.




    ----------Nonostante Raniero facesse di tutto per correggere ed insegnare le materie della via dello stato ad Andrea, questi era sempre più attratto dalle materie marittime. L’Astronomia, l’Ingegneria navale di base e avanzata e le Competenze marittime di base, quelle avanzate e quelle d'esperienza.
    Seguiva corsi extra o bigiava quelle della sua facoltà per placare la sua segreta passione. E segreta rimase per anni, tranne che per Raniero, fino al giorno della sua laurea, quando con gran sorpresa di tutti alla gran festa di laurea egli esibì la laurea in Scienze Marittime!




    ----------Suo padre Marco Tiberio ebbe un malore, lui che pensava a un suo figlio come degno successore nella vita politica e amministrativa della provincia. Non si riprese mai più e qualche settimana dopo, allo scadere del suo mandato, si ritirò per sempre dalla scena pubblica e invecchiò nella sua modesta villa assieme a sua moglie Giuliva. Si disse che il vero motivo del suo ritiro non fosse il figlio Andrea, bensì la consorte, della quale di li a poco, lo scandalo l’avrebbe portata sulla bocca di tutti.
    Marco Tiberio sicuramente non fu un buon marito né un buon padre, troppo preso dal lavoro, ma quando lo capì era troppo tardi. Ogni giorno, affacciandosi dal terrazzo della sua villa ad osservare il mare, pensava ad Andrea e piangeva.




    ----------Lo stesso mare in cui egli annegava il suo dolore, fu il teatro del successo di suo figlio, il quale dopo un breve periodo in cui lavorò su una nave mercantile che commerciava lane e pelli con i regni d’oriente, riuscì ad entrare nella marina militare di Terra di Lavoro.
    Era entrato in marina come sottufficiale e la sala di comando era la sua meritata reggia.
    Le sue mansioni spaziavano dal tracciamento delle rotte al timone all'ispezione quotidiana dello scafo, all'individuazione della posizione marittima attraverso il sestante: tutte abilità che l’eccellente ateneo di Terra di Lavoro insegnava ai suoi fortunati studenti.
    I primi sei mesi di servizio, quelli più duri per chi si approccia a tale carriera, passarono in fretta e al loro termine Andrea avrebbe avuto la prima promozione e tre mesi di licenza a terra. Invece lo stesso giorno in cui la nave attraccò al porto, firmò per far parte dell’equipaggio di una galea mercantile, sempre facente parte della flotta della marina militare, che avrebbe circumnavigato la penisola italica fino a Venezia, dove avrebbe caricato il sale che,attraverso un accordo commerciale, la Serenissima Repubblica di Venezia, si era impegnata a vendere per sostenere lo sviluppo caseario presente a Sessa Aurunca. La partenza era prevista l’indomani.




    ----------Andrea si diresse verso la casa natale ma, temendo la reazione del padre alla scelta di un cosi veloce reimbarco, pensò di scrivergli una lettera.
    Arrivò fino ai cancelli della residenza. Sua madre era su di un balcone ed il suo cuore si riempi di gioia alla vista del giovane figlio, vestito con l’uniforme.
    Giuliva corse giù fino ai cancelli e lo abbracciò forte.
    Andrea fermò ai cancelli, visibilmente commosso, disse che sarebbe ripartito subito e le consegnò la lettera.
    La mamma rispose: “Hai scelto la tua strada, va' e portaci nel cuore, come io e tuo padre ti portiamo nel nostro. Che l’Altissimo ti protegga.”
    Andrea avrebbe rimpianto tutta la vita il non essere entrato a salutare il padre.




    ----------Dormì poco e male quella notte e all'alba era già sulla nave. Nel frattempo erano giunti gli altri membri dell’equipaggio compreso il capitano, un anziano omaccione con i baffoni e la lunga barba bianca. Fece il saluto militare e si mise sull'attenti.
    Il capitano chiese le sue generalità, grado e numero di matricola. Poi partirono.
    Arrivarono a Venezia in relativamente poco tempo e, dopo che furono sbrigate le pratiche necessarie, la nave attraccò. Le operazioni di carico sarebbero durate un paio di giorni ed Andrea ne approfittò per visitare Venezia e conoscere le sue abitanti. Il viaggio di ritorno si rivelò notevolmente più difficile e rese la nave particolarmente pesante ed instabile. Erano ad un quarto del viaggio, quando capitano e vice capitano ebbero un malore dopo cena, probabilmente a causa di alcune ostriche mal digerite. Andrea fu incaricato di assumere il comando. Per alcune ore il mare fu piatto e la navigazione proseguì senza problemi. Poi la situazione precipitò. Il mare si increspò ed enormi onde iniziarono a sollevarsi, mentre i venti spazzavano il ponte. Alcune sartie saltarono sibilando, ma lui tenne la rotta e forte teneva la presa sul timone. Anche se gli strumenti sembravano impazzititi e la sensibilità del timone era limitata si addentrò senza indugi nella forte tempesta. Fu in quel momento che ebbe un visione e ricevette la vocazione. Passata la tempesta condusse la nave in un porto naturale, e si fece la conta dei danni. Molte vele erano strappate, ed alcuni uomini dispersi in mare, ma nonostante tutto poterono ripartire e giungere in Terra di Lavoro con il prezioso carico e con i superstiti. Il suo gesto divenne leggenda, fu decorato al valore ed a quella cerimonia assistette anche suo padre che, finalmente fiero di suo figlio, pianse mentre lo abbracciava forte.




    ----------Andrea lasciò la via marittima e si dedicò successivamente a diffondere la fede aristotelica. Viaggiò molto. Camminava scalzo, sulla sabbia, costeggiando le terre italiche e numerose chiese e cappelle furono costruite lungo il suo cammino, dalle genti che avevano udito da lui le parole dei Profeti. Fu richiamato al Padre molti anni più tardi, quando la sua missione pastorale era compiuta.



    ----------Era solito raccontare questa parabola:



    Citation:
    "C’era un popolo che era circondato da torrenti e laghi pieni di pesci affamati. Si incontravano regolarmente per discutere della loro chiamata a pescare, dell'abbondanza di pesce e del brivido che si prova quando i pesci abboccano. Erano entusiasti della pesca!"


    ----------Poi proseguiva:

    Citation:
    "Qualcuno suggerì che avevano bisogno di una filosofia della pesca, così si misero ad esaminarla da ogni angolo e con estrema accuratezza: la definirono e ridefinirono in largo e lungo e ne delinearono con chiarezza lo scopo. Svilupparono strategie e tattiche di ogni genere, ma si resero conto che dovevano fare un passo indietro. Si erano avvicinati alla pesca dal punto di vista del pescatore e non da quello dei pesci. Quale visione del mondo hanno i pesci? Come appare il pescatore agli occhi del pesce? Che cosa mangiano i pesci e quando mangiano? Queste sono tutte cose buone a sapersi. Così iniziarono alcuni studi di ricerca e frequentarono conferenze sulla pesca. Alcuni si misero in viaggio verso terre lontane per studiare i diversi tipi di pesce e le loro diverse abitudini. Altri conseguirono la laurea in ittiologia. Ma nessuno di essi era ancora mai andato a pescare.
    Così formarono un comitato per l'invio di pescatori e poiché i potenziali luoghi di pesca erano più numerosi del numero dei pescatori, la commissione dovette determinare le priorità. La lista con i luoghi di pesca prioritari venne esposta sulle bacheche di tutte le sedi della società ma, ancora, non c'era nessuno che andasse a pesca. Allora fu avviata un'indagine per scoprire la causa: la maggior parte non rispose al sondaggio ma tra quelli che lo fecero, si scoprì che alcuni si sentivano chiamati a studiare i pesci, altri a fornire attrezzature per la pesca e molti ad andare in giro per incoraggiare i pescatori. Con tutti quegli incontri, conferenze e seminari semplicemente nessuno aveva il tempo per pescare.
    Poi, poi avvenne qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato: il giovane Luca decise di iscriversi alla società. Sembrava molto interessato e la commissione dei soci fondatori accolse la sua richiesta. Dopo una riunione estremamente motivante della Compagnia, senza dir nulla, andò a pescare e, meraviglia delle meraviglie, prese un grosso pesce!
    Alla riunione successiva, egli raccontò la sua esperienza straordinaria e ricevette il premio per la miglior pesca dell’anno (a dire il vero era anche l’unica!). In tale occasione gli fu detto che aveva un particolare "dono per la pesca" e dunque ritennero necessario che facesse un intervento a tutti i capitoli della Compagnia per raccontare come aveva fatto.
    Con tutti gli inviti a parlare e la sua elezione a membro del consiglio di amministrazione della Compagnia del Pescatore, Luca non aveva più il tempo per andare a pescare e ben presto cominciò ad avvertire un senso di inquietudine e di vuoto dentro di sé. Voleva tornare a sentire ancora una volta il fruscio di quando gettava l’amo, così annullò le conferenze previste, si dimise dal consiglio e disse ad un amico: "Andiamo a pescare". E così fecero, solo loro due, e presero molto pesce. I membri della Compagnia del Pescatore erano molti, i pesci erano abbondanti ma i pescatori erano pochi: troppo impegnati a fare qualcosa di diverso da ciò che prevedeva il loro oggetto sociale."


    Scritto da padre Jean Leonard De-la-Roche, detto "Sir.johnny", arcivescovo di Firenze, nell'Anno del Signore 1461.


Citation:




Agiografia di San Gennaro

I - La nascita

Gennaro nacque nell'anno di Grazia 27 a Torre del Greco, un piccolo borgo di pescatori che si affaccia tutt'ora sul Mar Tirreno.
Sono anni bui per le popolazioni campane, martoriate dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio.
Le condizioni di vita e sanitarie pessime fanno si che Gennarino come verrà chiamato in età infantile per il suo corpo esile e minuto, rimanga orfano di madre sin dalla nascita. Ella infatti muore di parto. Il padre del futuro Santo, come tutti i giorni era uscito in mare. Quando tornò a casa, al tramonto, apprese la terribile notizia dalle donne del paese: sua moglie era morta e c’era una bocca in più da sfamare. Complice la giornata di pesca poco fruttuosa, decise di abbandonare il pargolo fuori dalle mure della città. Qui Gennaro venne raccolto da una pia vedova senza figli di nome Marcella che lo portò nella sua residenza di Napoli.

II - L’infanzia

La donna nutrì subito un profondo affetto per il piccolo: lo accudì e lo crebbe come se fosse suo figlio, quel figlio che non ha mai avuto. Inoltre Marcella, grazie all'indennizzo per la morte del marito - perito anni prima in guerra -, poteva acquistare senza problemi quanta farina volesse quindi il pane non mancava mai visto che la vedova possedeva un piccolo forno a legna. La donna era spesso solita anche preparare il pane per tutti quei poveri che non potevano permetterselo, essendo per molti proibitivo il prezzo della farina - che ogni giorno saliva sempre di più a causa dei vari cataclismi che colpivano la Campania - il che l'aveva reso Marcella molto amata in tutta la città di napoli. Inoltre, ogni mattina ella si trovava sempre fuori casa un cesta piena di pesce che qualcuno lasciava la notte senza dirle nulla. Tutto quel pesce lo fece diventare molto intelligente.

Quando il Santo raggiunse l'età degli studi, Marcella che sognava per il suo figlio adottivo una splendida carriera nel foro partenopeo lo fece studiare presso un famoso avvocato del paese, tal Lucio, che a tutti gli effetti fu suo mentore.

III - L’incontro con Tito

Essendosi la sua madre adottiva ammalata di tisi, Gennaro, che ormai aveva finito il suo apprendistato, e Marcella decisero di partire per Roma. Ivi, gli aveva detto un medico al futuro Santo, si trovavano infatti sorgenti solforose, esattamente nei pressi del Tevere, grazie alla quali la donna sarebbe di certo guarita. Così ogni mattina il giovane accompagnava sua madre a queste terme e poi mentre lei passava lì le ore che abbisognava per sanarli egli raggiungeva il foro romano per migliorare nell'avvocatura. Qualche volta però si metteva sulle pietre poco distanti dalle terme per studiare ed essere vicino alla madre allo stesso tempo, il suo mentore gli aveva lasciato molti libri da studiare ed era molto difficile, in quei giorni, non vederlo immerso in qualche lettura di giurisprudenza.

Fu proprio mentre leggeva che incontrò Tito. Lo vide avvicinarsi ai malati delle terme che si curavano nelle acque termali e gli esortava a confessare i loro peccati all'Altissimo e seguire le parole dei due profeti, Aristotele e Christos, se avessero voluto raggiungere il Paradiso Solare. I malati vennero rapiti dalla religione aristotelica. Gennaro rimase affascinato da quell'uomo e dalle sue parole cosi carismatiche e sagge.
Un giorno Tito si avvicinò a lui, gli disse semplicemente:
“Il mio nome è Tito, sono stato il compagno di viaggio di Christos, il Secondo Profeta, e sono un suo Apostolo.”
Dopo essersi presentato chiese a Gennaro: “Vi vedo ogni giorno qui alla fonte intento sulle vostre letture, siete uno dei romani che raccolgono prove per giustiziarmi?”
Gennaro spiazzato dalle parole di quell'uomo e incredulo rispose: “Non sono qui per voi, sono qui per mia madre, sta molto male e le sono vicino nella sua malattia. Il mio nome è Gennaro.”
Rasserenato l’Apostolo continuò: “Scusatemi se vi ho importunato con una domanda talmente diretta ma non ho potuto far a meno di notare che state leggendo il libro delle accuse e delle pene in vigore … Ho temuto che steste preparando la requisitoria per la mia accusa.”
Gennaro comprese l’equivoco e sorrise alla serenità e alla semplicità di Tito e si offrì, in caso di processo di difenderlo da qualunque accusa gli venisse mossa. I due divennero ben presto amici e Gennaro unì allo studio della giurisprudenza lo studio della parola del Signore e si convertì. Fu proprio Tito nei pressi della fonte solforosa, a battezzarlo e ad introdurlo nella Comunità Aristotelica.
Iniziò ad andare a pesca insieme a Tito, Samot e Anacleto: un giorno, sulle calme rive del Tevere, discutevano tutti e quattro di pesca. Samot scherzosamente fece notare a Tito, che Gennaro molto più pratico di lui, riusciva a prendere pesci più grossi di quelli che prendeva lui e sempre scherzosamente disse: “Quando viene a pescare con noi, prende tutto il pesce che avremmo preso noi…”. Tito rispose: “Il fiume è grande, e ci sono tanti pesci. Se invece di far chiacchiere rimanessi in silenzio, prenderemmo tutti e tre, il triplo di quello che prenderebbe ognuno di noi da solo. Piu' sono i pescatori, maggiore sarà il pescato, è direttamente proporzionale.” Sia Tito che Samot si resero conto che con quella futile conversazione, avevano appena toccato uno degli aspetti cardine della Santa Chiesa Aristotelica, cioè la Diffusione della Fede: i pescatori erano simbolicamente i sacerdoti, i pesci rappresentavano i fedeli.

IV - L’ordinazione

In un caldo giorno d’estate, Tito, pronunciando le stesse parole pronunciate da Christos, si rivolse a Gennaro: "Vuoi unirti a noi? In questo caso avrai molto amore nel tuo cuore e mi seguirai, dandomi un po' del vostro tempo al meglio che potrai. Prendi distanza dai beni, dal lavoro, dagli attrezzi, dici addio alla tua famiglia ... Preferisci la semplicità e l'istruzione rispetto ai ricchi ornamenti e ai bellissimi gioielli. Poiché il nostro compito ci richiederà il sacrificio del bene personale per il bene collettivo, ma, in cambio, sarai accolto in santità tra i figli di Dio.
La strada sarà lunga e tortuosa, la via accidentata, l'orizzonte remoto, la salita ardua, ma il sole che brilla sopra di noi guiderà i nostri passi. Avremo problemi, discussioni, arrabbiature, passioni, esitazioni, ma l'amore e l'amicizia ci uniranno, e Dio ci supporterà.”
Tito accettò e fu ordinato sacerdote.

V - Il miracolo della colomba

Le condizioni di sua madre erano migliorate molto in quei mesi e l’autunno era alle porte. Gennaro comunicò quindi a Tito, Anacleto e Samot qualche giorno prima la decisione di ritornare a Napoli. I due erano dispiaciuti ma sapevano che egli avrebbe continuato a predicare la parola di Christos anche lontano da Roma. Aveva già preparato le valigie e si sarebbe congedato quel giorno stesso da i suoi fratelli.
Si trovavano a pranzo assieme agli altri apostoli quando accadde un evento straordinario. Samot leggeva una lettera di Paolo sulla necessità di scegliere un capo. Una persona ricordò che Christos aveva espressamente designato Tito, ma ciò non era avvenuto all'unanimità. Tito rimase in silenzio.

Fu allora che Gennaro aprì allora una finestra, miracolosamente entrò una colomba dentro la stanza e volò sotto le travi. L'uccello staccò delle erbe che vi erano appese che caddero sulla testa di Tito. Erano rametti di basilico, la spezia dei Re. Tutti riconobbero allora in esso un segno della regalità spirituale di Tito. Questi si alzò e disse:
“Miei amici, fratelli, io non sono un Re! Io non sono che il servo dell’Altissimo, e tutta la potenza quaggiù non viene che dalla riconoscenza per i suoi simili.”
Samot replicò: “Tito, tu sei il nostro Re spirituale. Tutti noi lo riconosciamo. Sei la nostra guida, la roccia della saggezza, nostro padre, il nostro papà."
Fu così che Tito divenne il primo “Papa” della Chiesa. Nominò quindi Gennaro primo Vescovo di Napoli e lo congedò.

VI - Napoli

I primi tempi a Napoli non furono di certo semplici. L’organizzazione della nuova comunità non era facile ma Gennaro poteva contare sempre su Tito, i due infatti continuavano a scambiarsi numerose missive. Assieme a Desiderio e Festo, due sacerdoti che il primo Pontefice gli aveva affidato per aiutarlo nel suo compito, aveva iniziato a far conoscere gli insegnamenti di Aristotele e Christos nel Napoletano, nel Beneventano e nel Casertano battezzando molte persone e portando aiuto ai più poveri.

VII - La fame

Ora accadde che una grave carestia colpisse in quegli anni le terre campane. Il pane ormai era scomparso, il pesce pareva essersene andato dalle acque del golfo, la frutta prima di maturare avvizziva, le bestie si ammalavano e morivano lasciando la loro carne piena di vermi o il loro latte marcio. Ormai per le strade della città di Napoli si lottava per la sopravvivenza e il vicino rubava al vicino, il fratello alla sorella, la moglie al marito. Si diceva addirittura che alcuni si erano messi a divorare i cadaveri pur di placare la fame. La criminalità si sparse e pareva ormai che la legge fosse morta. Il prefetto di Roma, che doveva governare la città, si era rinchiuso nel suo palazzo e cercava da lì di ripristinare l'ordine, ma invano: ogni giorno sempre più guardie disertavano e a malapena né aveva per impedire che la folla impazzita assaltasse la sua residenza.

San Gennaro però camminava per le strade della città portando conforto ai morenti e cercando di rincuorare i disperati, molti davanti al suo buon animo chiesero il battesimo prima di morire tra le sue braccia, nella speranza della vera vita là su nel Sole. E fu durante uno di questi giri che, un giorno, il Santo incontrò dei ragazzi che stavano lapidando un loro coetaneo per rubargli un misero pezzo di pane secco e raffermo.

"Fermatevi, nel nome dell Unico Dio!" disse il Vescovo interponendosi tra i bulli e la vittima.
"Vattene, uomo!" lo apostrofò uno dei ragazzacci "O uccideremo anche te, così ci saranno meno bocche da sfamare e potremo mangiare di più noi!". Gennaro nel frattempo si era tolto il suo mantello e lo aveva poggiato sulla schiena martoriata del povero ragazzo mormorandogli alcune parole all'orecchio. Poi si rivolse a quello che lo aveva apostrofato:
"Che grande sciocchezza mi dici! Uccidere tutti per avere più voi? Fate pure! Alla fine vi troverete ad ammazzarvi da voi fino a che né sarà rimasto uno solo e quando uno solo rimarrà e avrà tutto il cibo del mondo che né avrà avuto? La pancia piena certo, ma poi?".
I bulli rimasero ammutoliti da quelle parole, non sapevano che rispondere.

"Ragazzi" disse quindi il Santo con tono gentile. "Smettete di coltivare il vostro animo con la violenza! Prendete tutti i sassi che avete ancora tra le braccia e che volevate usare per uccidere questo vostro fratello nella disgrazia e seguitemi".
E quelli senza esitare lo seguirono. San Gennaro li condusse fuori dalla città in un campo poco distante. "Ecco, seppellite i sassi per terra, e pregate con me!". I ragazzi fecero quanto diceva il Vescovo, ripeterono le parole che l'uomo diceva e, miracolosamente, delle spighe di grano cominciarono a crescere dove avevano seminato i sassi.
Le colsero per portale al mulino, ma ogni volta che ne coglievano subito un'altra ne ricresceva. Accumularono tanto grano da fare pane per tutti gli abitanti di Napoli e anche per i villaggi vicini. I ragazzi aiutarono per sette giorni San Gennaro a preparare il pane e poi a distribuire a tutti i bisognosi, per ogni via e pertugio fino agli angiporti. Il settimo giorno, quando ebbero finito, il Santo si rivolse a loro con queste parole: "Ecco dunque cosa succede quando si coltiva il proprio animo con la fede! Non c'è più grande nutrimento per noi."

Era il 13 maggio.

VIII - Il fuoco

Le terre della Campania erano spesso funestate dal Vesuvio che molto spesso, in quegli anni, borbottava e sputava fuoco danneggiando molto spesso i campi vicini. Molti erano certi che prima o poi sarebbe esploso e che avrebbe distrutto tutte le città circostanti e impregnato l'aria di cenere e polvere, così alcuni avevano già fatto fagotto e se ne stavano partendo mentre altri che non potevano cambiar casa - per un motivo o per l'altro - rimanettero implorando e pregando gli dei pagani che li proteggessero, in cambio, infatti, sacrificavano il loro capo di bestiame più bello, e tante altre leccornie, condite con spezie pregiate e frutta esotica, e anche collane e suppellettili sacri. Gli abitanti di Napoli prendevano tutto questo e lo bruciavano sperando che il profumo dei loro sacrifici giungesse fino al monte Olimpo e accattivasse loro la benignità dei falsi dei che essi, offuscati dalla menzogne del paganesimo, credevano veri e potenti.

Alcuni però ricordando il miracolo della fame compiuto da San Gennaro e che essendo battezzati ed edotti nella vera fede lo consideravano giustamente un Sant'uomo o chi invece, perseverando nell'errore, lo credeva una specie di stregone o un semi-dio - figlio di Proserpina, che i gentili veneravano per aver buoni raccolti - vennero a implorarlo di calmare il Vesuvio che ogni giorno si faceva sempre più minaccioso. Il Vescovo dava a loro parole di conforto, citazioni dalle parole di Christos che Tito in persona gli aveva insegnato e aggiungeva alla fine:
"Ci compiaccia ciò che Dio vorrà". I questuanti alla sua porta si facevano ogni giorno sempre di più e tutti chiedevano la medesima cosa: che il Santo fermasse il vulcano e che salvasse le città vicine ma Gennaro rispondeva sempre con parole di conforto e finiva il discorso con il suo "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

Un dì, un'intero gruppo di uomini e donne, anziani ed adulti, ricchi e poveri venne a lui nel mentre stava percorrendo la via principale di Napoli facendoli ancora una volta tutti insieme sempre la medesima richiesta ma questa volta Gennaro rispose in modo diverso:
"Marco" chiamò volgendo il capo dentro la bottega accanto a lui. E un uomo ne uscì: era un povero ciabattino che guadagnava appena per nutrire e vestire se stesso e la sua famiglia. "Dimmi ti piacerebbe se chiedessi all'Altissimo di fermare l'eruzione imminente del Vesuvio?" domandò il Santo davanti alle facce stranite del gruppo venuto a fargli la stessa richiesta di sempre. Il ciabattino non ci pensò nemmeno un'attimo:
"No. Io voglio ciò che vuole l'Onnipotente perché egli è un padre benigno, ogni cosa che fa, la fa per il nostro bene.
Se il Vesuvio non erutterà lo ringrazierò per averci risparmiati.
Se esso erutterà e distruggerà i nostri beni ma ci lascerà in vita lo ringrazierò perché ciò che ha distrutto si vede che ci faceva vivere nel peccato senza che ce ne accorgessimo.
Se invece il Vesuvio erutterà provocando la nostra morte lo ringrazierò perché ci ha voluto ritrarre dalla vita per portarci nella sua grazia".

Il gruppo convenuto era esterrefatto, solo ora comprendevano ciò che Gennaro volesse veramente dire con la frase "Ci compiaccia ciò che Dio vorrà".

A quel punto San Gennaro disse: "Marco, prendi la sacca con sette pezzi di pane e il tuo bastone. Ti piacerebbe recarti con me ai piedi del vulcano? Lì pregheremo per sei giorni e per sei notti, il settimo giorno torneremo a casa". Il ciabattino non perse tempo, fece quello che il Santo gli aveva detto e partì con lui. Il settimo giorno tornarono entrambi in città e dal momento in cui Gennaro mise piede a Napoli il Vesuvio smise di fumare e di fare qualunque rumore, pareva essere una montagna come un'altra.

Era il 16 dicembre.

IX - La peste

Una grave pandemia di peste colpì un giorno Napoli. Nessun medico pareva riuscire a trovare una cura, nessuna cura pareva dare la guarigione. Ormai Tito era morto e l'Imperatore Nerone aveva cominciato a perseguire i fedeli dalle chiesa di Christos.

Il Prefetto della città di Napoli però, memore di quanto aiuto gli aristotelici e in special modo Gennaro avevano dato alla città, non aveva osato denunciarli all'autorità imperiale e giacché spettava a lui il compito di amministrare la giustizia all'interno delle mura ogni volta che qualcuno giungeva a denunciare un qualche aristotelico egli gli dava qualche parola gentile, assicurandolo che avrebbe provveduto, ma in realtà lasciava che tali denunce cadessero nel vuoto.

La peste però aveva portato via anche quel buon uomo che sul letto di morte chiese a Gennaro di essere battezzato, potendo così entrare nella comunità dei veri credenti prima di giungere a mirare l'Altissimo nell'aldilà. In sua sostituzione fu mandato un altro uomo, pieno di collera e più che zelante a dare piena esecuzione alle empie volontà dell'Imperatore. Cominciò subito a dare la caccia agli aristotelici di Napoli, facendoli tutti decapitare dopo processi sommari. Sperava di portare a Roma la testa del loro Vescovo su un piatto d'argento da mostrare come un trofeo durante uno dei pantagruelici banchetti dell'Imperatore Nerone, sempre ben incline a queste amenità. Il nuovo Prefetto dovette però rimanere deluso, riusciva, ogni tanto ma non spesso, a scovare qualche adepto di Christos ed Aristotele ma non riusciva mai a trovare Gennaro.

Molti patrizi della città che si erano segretamente convertiti lo nascondevano, infatti, nelle loro dimore usando la loro influenza e prestigio per mettere i bastoni tra le ruote del nuovo Prefetto. Il Santo dal canto suo cercava, nonostante la persecuzione, di continuare la sua opera, sopratutto ora che la peste infuriava.

Il settimo giorno dopo che la pestilenza era iniziata, venne da lui una figlia di un patrizio di Napoli, ella si chiamava Cecilia.
"Ave, o episcopo" lo riconobbe lei per strada insieme a Desiderio e a Festo nel mentre distribuivano del pane a dei poveri appestati che invocavano l'intervento divino perché giungesse a salvarli.
"Ave, o figlia di Dio" rispose lui sorridendole.
"Vengo da te per farti una richiesta".
San Gennaro fece un cenno con la testa e domandò di quale richiesta si trattasse e appena gliela avesse fatta molto gentilmente, se fosse stato nelle sue capacità, l'avrebbe accontentata.
"Vorrei che mi aiutaste a pregare".
"Pregare per cosa, figliola?".
"Pregare per avere il coraggio di accettare il volere di Dio" rispose candidamente lei. Gennaro sorrise.
"Figliola" cominciò "Tu da sola con la tua fede hai salvato Napoli!" gli disse, lei si stupì, era troppo umile per crederlo pensò che il Vescovo avesse un eccesso di gentilezza.

Ma Gennaro alzò le mani al cielo, recitò una preghiera e all'improvviso ogni malato della città smise di tossire e si alzò come se nulla avesse, tutti i morti nei carri destinati ai roghi si levarono come se fino a quel momento avessero soltanto dormito, la peste era sparita e una dolce luce avvolgeva il viso e le vesti del Santo davanti allo stupore dei presenti.

Ma proprio in quel momento delle guardie passarono lì accanto e riconoscendo in lui Gennaro, il capo della setta degli aristotelici, lo arrestarono insieme a Desiderio e Festo, che si erano interposti all'arresto, portandoli tutti e tre al palazzo della prefettura.

Era il 19 settembre.

X - Il martirio

Il prefetto non ci mise molto ad ammettere la sentenza. Nel suo cuore li aveva già condannato tutti da molto tempo.

Fece quindi subito predisporre un ceppo per la decapitazione nel centro della città, la sentenza sarebbe stata eseguita il giorno stesso a sole poche ore dall'arresto e dal processo farsa. I tre Santi furono quindi condotti dalla guardie verso il luogo dove sarebbero morti.
Durante la camminata, un povero mendicante, che era stato tra i primi a convertirsi per mano di Gennaro, chiese al Vescovo di poter prendere un lembo della sua veste per tenerla come reliquia.
"Potrai avere il fazzoletto che useranno per oscurarmi la vista" gli rispose Gennaro sorridendo. Venne a lui quindi anche una pia donna che si era sempre segnalata per la virtù e la carità.
"Eusebia, cara amica e figlia, va a casa tua e prendi due ampolle e con esse raccogli il mio sangue!". Giunsero quindi nella piazza centrale di Napoli. Il boia fece mettere la testa di Gennaro sul ceppo e vibrò il colpo. Proprio in quell'istante però il Santo aveva portato un dito per sistemarsi il fazzoletto sugli occhi, nel scendere la scure gli tranciò il dito. Subito dopo anche Desiderio e Festo furono decapitati.
Eusebia, piangente, era intanto ritornata con le ampolle e le riempì del sangue del Santo come l'era stato chiesto. Venne anche il mendicante per trarre il fazzoletto, come gli era stato permesso ma proprio nell'atto di piegarsi a toglierlo dal viso del vescovo gli venne scrupolo ma all'improvviso apparve davanti a lui l'immagine di Gennaro trionfante, immerso in una luce meravigliosa.
"Prendi pure il fazzoletto" disse al mendicante con il suo sorriso paterno. "E anche il dito. Insieme al mio sangue, saranno grande fonte di salvezza!" aggiunse prima di sparire.

Le reliquie

Nel Duomo di Napoli, sono ancora conservate con pia e grandissima devozione le due ampolle del sangue del Santo che sono oggetto tre volte all'anno di un'incredibile miracolo. Infatti, le settimane antecedenti al 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre il sangue - che durante gli altri dì si presenta nero e secco - torna liquido e rosso come se fosse appena sgorgano dalla testa del Santo. I napoletani riservano in queste settimane e sopratutto nei giorni della commemorazioni di San Gennaro grandi feste e funzioni sacre molto magniloquenti.

Il fazzoletto che bendò gli occhi del Santo sul ceppo ed impregnato del suo sangue è custodito nella città di Roma, presso la Chiesa di San Giovanni dei Martiri. Mentre il dito è custodito nella Cattedrale di Arles.

---

San Gennaro è Patrono delle città di Napoli e Torre del Greco, degli avvocati, degli affamati, dei coltivatori di grano e delle persone colpite dalle calamità naturali.
Giorni di festa: 13 maggio, 19 settembre e 16 dicembre.

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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:18 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:


    Congregatio Sacti Officii et de Causis Sanctorum

    Nomination de SE Portalis comme membre du Saint-Office.


    Je, Cathelineau Botherel de Canihuel, Cardinal-Evêque de Saint Nicolaïde de l'Aventin, Chancelier du Saint-Office, Evêque In Partibus d'Acropolis, Duc de Spolète, Baron d'Elz, Seigneur de Gambettola, Chevalier

      Fais annonce de la nomination de Son Eminence Portalis [Portalis] comme membre de la Congrégation du Saint-Office, ce dernier pourra participer aux différentes missions de la Congrégation.


    Rédigé & scellé à Rome le 4 avril 1467.

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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:21 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Nomination of Kalixtus Alain-Edmond as Theologician of the Holy Office


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo
    Announce the nomination of Kalixtus Alain-Edmond [Kalixtus] as Theologician of the Holy Office.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die XXII mensis IV, X Kalendas Maii, AD MCDLXVII.

+S.Em.Rev.ma Gianvitus Tarcisius Card. De Reame
Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere
Cancelliere della Congregazione del Sant'Uffizio
Arcivescovo Metropolita di Capua
Arcivescovo Sine Cura di Pesaro
Conte e Governatore di Pesaro
Conte di San Costanzo
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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:22 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Theological Reflection about Indulgence


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo

    Announce the validation and reconnaissance of the document on the indulgence, written by His Eminence Arnarion de Valyria-Borgia, as valid and available for publication.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die XXII mensis IV, X Kalendas Maii, AD MCDLXVII.

+S.Em.Rev.ma Gianvitus Tarcisius Card. De Reame
Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere
Cancelliere della Congregazione del Sant'Uffizio
Arcivescovo Metropolita di Capua
Arcivescovo Sine Cura di Pesaro
Conte e Governatore di Pesaro
Conte di San Costanzo


Citation:
Livre de l’Éclipse, Chapitre V - « Le pic » a écrit:
4 Alors que je pensais être arrivé à mi-parcours et que mes muscles me faisaient mal à en pleurer, je vis une corniche non loin de moi. Enchanté par cette découverte inespérée, je m’y dirigeai. Une fois arrivé à bon port, je me décidai enfin à regarder vers le sol, afin de voir quelle hauteur j’avais grimpé. Quelle ne fut pas mon horreur lorsque la lune toute entière apparut à mes yeux, sous des volutes de fumée bleue semblable à des nuages. Aucune montagne sur terre ne pouvait être si haute! J’étais ravi de l’efficacité de mes efforts, mais je me rappelai alors qu’il restait autant à parcourir jusqu’au sommet..

5 Je m’écroulai sur la corniche pour essayer de trouver quelque repos, lorsque j’entendis des pleurs. Je tournai ma tête et vis un vieil homme à la barbe hirsute qui versait de chaudes larmes. Son corps était si sec qu’il en paraissait squelettique. Il me dit: “Je suis Lucifer, Prince de l’Acédie. Sylphaël, Archange du Plaisir, est mon opposé. Celui qui entre en dépression spirituelle, qui reste passif, qui n’a plus goût à la vie, et qui ignore sa propre satisfaction rejoint les rangs de mes damnés, qui jamais n’arrivent à atteindre le soleil.”

6 Je vis une grotte derrière lui. Il me fit signe d’y aller, sans dire un mot. Un long couloir dallé se dirigeait vers une porte de métal, qui présentait une étrange veinure verticale en son milieu. Je cherchai une quelconque poignée, mais n’en trouvai pas. Après de longues recherches, je finis par m’adosser sur un côté de l’encablure, épuisé. J’entendis alors un petit bruit de clochette et la porte s’ouvrit, les deux moitiés de la porte coulissant sur les côtés. Surpris, je regardai à l’intérieur et y vis un miroir magnifique, qui reflétait comme aucun autre mon image.


    Si l'on considère l'absolution, le constat qui est induit est celui d'un conditionnement à la réparation des fautes commises par le péché et qu'il faut purger sur terre afin de gagner le Paradis Solaire. Il arrive toutefois que par manque de moyen l'on se trouve incapable de justement en réparer l'étendue. Néanmoins la réparation est nécessaire et il est inconcevable de pouvoir gagner le Ciel l'âme lourde de péchés et l'esprit taché d'impureté. Dieu qui le sait bien, et toujours mû de cet amour profond pour ses enfants, est indulgent et permet une remise des fautes plus directe.

    De la nature sanctifiante de l'indulgence


    De par sa nature et son effet, l'indulgence ne peut venir que de Dieu. Elle est donc parfaite et absolue en son essence. Elle ne saurait être autre chose qu'un morceau de la grâce divine qui nous permet de nous sanctifier et nous libérer de la tyrannie du péché. Cette grâce est une grâce sanctifiante, autrement dit, provenant du mérite de la Communauté des saints intercédant pour les hommes auprès de la Cour céleste que forme en haut l'Église triomphante dans ses prières incessantes pour l'Église militante que nous sommes ici-bas. C'est ainsi par cette intercession méritoire que la grâce divine subsiste au sein des indulgences.

    De son effet purgatoire

    L'on peut ainsi voir l'indulgence comme la remise des peines temporelles conditionnée à un acte de piété et de dévotion à l'amour de Dieu que forment quelques bonnes oeuvres de ferveur et de charité qui n'auront d'autres effet qu'être sanctifiantes. Et c'est parce que l'indulgence est piété et dévotion que la grâce de Dieu agit en nous et nous purifie de nos fautes. J'en veux pour preuve que celle-ci, une fois reçue, fait reculer en nous le vice et augmente notre vertu et notre Foi.

    L'Eglise, dépositaire de l'indulgence

    De même que Dieu à fait de ses ministres ici-bas les vecteurs sacramentaux de la rémission des péchés, Il a doté de Son Institution le pouvoir de juger et pardonner en Son nom. Le lien ineffable qui relie les deux faces de cette Sainte institution fait de l'Église militante le dépositaire des mérites de l'Église triomphante. Il revient alors à l'Église aristotélicienne et romaine, investie de l'autorité légitime venue de Dieu, d'octroyer une telle grâce rédemptrice. Et c'est le Pape, premier des pasteurs, qu'il revient de promulguer et de distribuer les indulgences. En vertu de la ligne apostolique ininterrompue depuis Saint Titus, à laquelle le pouvoir épiscopal prend sa source et sa légitimité, il revient alors à l'autorité diocésaine de conférer les indulgences à travers les provinces ecclésiastiques et les paroisses.

    Il est alors bien légitime d'affirmer sans détour que tout autre octroi d'indulgence effectué hors de l'Église sera vide d'essence pour la purification des fautes. J'avance cette affirmation par la certitude que la fausse indulgence, ne venant pas de Dieu, ne saurait porter la grâce en elle et l'apporter aux hommes. J'ajouterai même qu'elle est blasphématoire et constitue un grave danger pour l'âme des fidèles et ce, du fait que par un faux-semblant, elle vient parodier vicieusement la grâce de Dieu et induit en erreur. La fausse indulgence, ainsi distribuée à un fidèle de bonne volonté, à défaut de lui apporter la rédemption, met son âme en péril de mort.

    L’unique indulgence effective doit être accordée par l’Église, étant la seule institution représentante spirituelle du Très Haut sur Terre, elle est également la seule à pouvoir agir en faveur des pécheurs demandant indulgence au regard du Très-Haut.


    Arnarion de Valyria-Borgia
    Cardinal de Saint-Ripolin des Anges.




Citation:
Book of the eclipse, Chapter V - « The Peak » a écrit:
4 When I thought that I had reached my own end, and my muscles cried out for me to stop, I saw an outcropping not far from me. Delighted by this unhoped-for discovery, I moved there. Once I arrived at this haven, I finally decided to look toward the ground, in order to see how high I had climbed. When I looked, I saw the entire moon beneath my eyes, under volumes of blue smoke similar to clouds. No mountain on Earth could be so high! I was pleased with the effectiveness of my efforts, but I remembered also that there was much distance yet until the top.

5 I had collapsed on the cornice to try to find some rest, when I heard tears. I turned my head and saw an old man with a thick beard, drenched with his own hot tears. His body was so dry that it appeared skeletal. It said to me: “I am Lucifer, Prince of Apathy. Selaphiel, Archangel of Pleasure, is my opposite. Those who surrender to spiritual depression, who remain passive, who do not have any more taste for life, and who are unaware of their own satisfaction join the rows of my damned, which cannot manage to reach the sun.”

6 I saw a cave behind him. It beckoned to me to go there, without saying a word. A long paved corridor moved towards a metal door, which presented a strange vertical veining in its medium. I sought a handle, but did not find any. After long effort, I collapsed against the side of it, exhausted. I then heard a small noise like a bell and the door opened, split into two, and the two halves of the door slid out into the sides. Much surprised, I looked inside and saw there a splendid mirror, which reflected like any other my image.


    If we consider absolution, the conclusion that is induced is that of a conditioning to the repair of the faults committed by sin and which must be purged on earth in order to reach the Solar Paradise. It happens, however, that for lack of means one is unable to precisely repair the extent. Nevertheless, reparation is necessary, and it is inconceivable to be able to gain Heaven with a soul heavy with sins and a spirit stained with impurity. God who knows it well, and always moved by this deep love for his children, is indulgent and allows a more direct handling of faults.


    About the sanctifying nature of indulgence

    By its nature and effect, indulgence can only come from god. It is therefore perfect and absolute in its essence. It can't be anything but a piece of divine grace that allows us to sanctify ourselves and liberate ourselves from the tyranny of sin. This grace is a sanctifying grace, in other words, derived from the merit of the Community of Saints interceding for men at the Heavenly Court that forms above the triumphant Church in its incessant prayers for the militant Church that we are here below. It is thus by this meritorious intercession that divine grace subsists within indulgences.

    About its purgatory effect

    One can thus see the indulgence as the delivery of temporal punishment conditioned to an act of piety and devotion to the love of God that form some good works of fervor and charity that will have no other effect than to be sanctifying. And it is because indulgence is piety and devotion that the grace of god works in us and purifies us of our faults. I want proof of this, that once it is received, it causes vice to recede in us and increases our virtue and our Faith.

    The Church depository of indulgence

    Just as god made his ministers here below the sacramental vectors of the remission of sins, he endowed his institution with the power to judge and forgive in his name. The ineffable link between the two faces of this holy institution makes the militant Church the custodian of the merits of the triumphant Church. It is then up to the Aristotelian and Roman Church invested with the legitimate authority from god, to grant such redemptive grace. And it is the Pope, the first of the pastors, who is responsible for promulgating and distributing indulgences. By virtue of the uninterrupted apostolic line since Saint Titus, to which the episcopal power takes its source and its legitimacy, it is then up to the diocesan authority to confer indulgences throughout the ecclesiastical provinces and parishes.

    It is then quite legitimate to say bluntly that any other granting of indulgence done outside the Church will be empty of essence for the purification of faults. I advance this assertion by the certainty that false indulgence, not coming from god, can not bring grace into it and bring it to men. I would even add that it is blasphemous and constitutes a serious danger to the souls of the faithful, because, by a pretense, it viciously parodies the grace of god and misleads. False indulgence, thus distributed to a faithful of good will, failing to bring him redemption, puts his soul in peril of death.

    The only effective indulgence must be granted by the Church, being the only spiritual representative institution of the Most High on Earth, it is also the only one able to act in favor of sinners seeking indulgence in the eyes of the Most High.


    Arnarion de Valyria-Borgia
    Cardinal of Saint Ripolin of the Angels.

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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:23 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Pubblication of an Hagiography


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Primate of the Pontifica States and of the Kingdom of Two Sicilies, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Archibishop Sine Cura of Palermo, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo
    Announce the publication of the hagiography of Saint Gregory VII


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die VIII mensis V, VIII Idas Maii, AD MCDLXVII.

+S.Em.Rev.ma Gianvitus Tarcisius Card. De Reame
Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere
Cancelliere della Congregazione del Sant'Uffizio
Primate degli Stati Pontifici e del Regno Duosiciliano
Arcivescovo Metropolita di Capua
Arcivescovo Sine Cura di Pesaro
Arcivescovo Sine Cura di Palermo
Conte e Governatore di Pesaro
Conte di San Costanzo


Citation:

___

Hagiographie du Pape Grégoire VII

« Rares sont les bons que, même en temps de paix, sont capables de servir Dieu. Mais très rares sont ceux qui pour les Vertus ne craignent pas la persécution ou sont prêts à s'opposer aux ennemis de Dieu. »

Présentation


La vie pieuse et productive d'Ildebrando de Soana, qui fut Diacre, Prêtre, Legat Apostolique, Évêque, puis Pape et grand réformateur et défenseur de l'Église. Exemple vivant des Vertus, il n'a jamais hésité à s'opposer aux puissants qui abusent de leur position contre la Foi et les faibles. Aujourd’hui il siège en la communion des saints comme le Saint patron des gouvernants et des législateurs, qu'il conduit par l'exemple et la prière à suivre la Foi et les Vertus dans leurs fonctions.

Enfance

On sait peu de l'enfance d'Ildebrando de Soana, le futur Pape Grégoire VII : naît à Soana en Toscane au plus tard vers 1020 dans une famille d'origines humbles, le fils d'un charpentier comme le Second Prophète.
Enfant, il fut envoyé pour étudier à Rome, où son oncle était abbé d'un monastère sur l'Aventin. Le jeune Ildebrando avait créé un lien très fort avec son professeur, Giovanni Graziano, qui devint plus tard le Pape Grégoire VI.
Le lien entre les deux était si fort que, lorsque le pape Grégoire fut forcé d'abdiquer pour de fausses accusations faites par l'empereur, Ildebrando le suivi en exil en Allemagne.
Ici, le saonais continua ses études et entra en contact avec les mouvements de réforme de l'Église, contacts devenus plus fréquents après son transfert à l'abbaye de Cluny après la mort de son ancien maître.
C'est précisément sur la proposition de ces réformateurs qu'Idebrando fut initié à la carrière ecclésiastique.

Carrière Ecclésiastique

Le premier pas d'Ildebrando fu la nomination au prestigieux poste de Sous-diacre du Saint-Siège, une tâche dans laquelle il s'engagé avec tant de dévouement qu'il fut plus tard nommé légat apostolique en France.
Dans le rôle de légat apostolique, confirmé par plusieurs papes, il réussi à vaincre différentes hérésies et, résultat étonnant pour l'époque, à obtenir par la cour impériale la reconnaissance officielle de l'autonomie du clergé dans l'élection du pape, sur lequel les Allemands faisaient encore des revendications illégitimes.
Seulement deux ans plus tard et à la suite de la reconnaissance obtenue, le Pape publié l'édit qui sanctionnait pour la première fois que seul le Collège des Cardinaux pouvait choisir légitimement le successeur de Titus.
En reconnaissance pour ses excellents services, Ildebrando fut nommé abbé de Saint Sylphaël Hors-les-Murs et devint bientôt le principal promoteur et créateur d'une politique pontificale qui obtint de nombreux succès.
Le 22 avril 1073, juste un jour après la mort de son prédécesseur, l'abbé Ildebrando fut élu Pape par les Cardinaux tandis que le peuple de Rome acclamait déjà son nom dans les rues.
Lettre de Saint Grégoire VII à un ami a écrit:
Vous m'êtes témoin, bienheureux Pierre, que c'est malgré moi que votre sainte Église m'a mis à son gouvernail.

Bien que réticent, il accepte l'élection et choisit le nom pontifical de Grégoire, en hommage à son ancien ami et maître. Un signal au monde entier que son pontificat n'accepterait pas les injustices et les ingérences souffertes dans le passé.

Pontificat

Ayant appris son élection, puisqu'ils avaient peur de sa sévérité en respectant le dogme et le droit canon, de nombreux évêques corrompus et éloignés de la Foi essayèrent de mettre l'empereur Henri IV contre lui, déclarant qu'il n'avait pas autorisé l'élection comme il prétendait pouvoir le faire.
Le nouveau pontife, montrant à nouveau son dévouement et sa confiance dans les Vertus, écrivit au souverain allemand l'informant de son élection à la papauté en accord avec le dogme et les lois de l'Église. Ceci sans faire mention et donc en niant les revendications impériales sur la nomination.
Henri, face aux indéniables raisons de Saint Grégoire, ne pouvait s'empêcher de saluer l'élection du nouveau pape prétendant, avec peu de succès, qu'il avait choisi l'élu.

La lutte contre la simonie et la défense du célibat

Dans les décennies précédentes, profitant de la faiblesse de l'Église, de nombreux souverains avaient illégalement nommé des évêques en échange de grosses sommes d'argent, sans que celles-ci soient dignes de l'épiscopat.
Beaucoup d'entre eux vivaient maintenant comme des comtes laïques, ils avaient pris une femme et quelques-uns encore avaient généré des enfants.
Le résultat fut la présence de nombreux évêques totalement ignorants de la doctrine et des règles de l'Église, qui ne pensaient qu'à s'enrichir et à jouir de leur position.
La priorité du pape Grégoire fut donc de rétablir l'ordre à un clergé complètement éloigné du message des Prophètes et de l'exercice des Vertus afin de restaurer enfin la dignité et la mission de l'Église.
Lettre de Saint Grégoire VII à l'abbé de Cluny a écrit:
Si alors avec les yeux de l'esprit je regarde à l'ouest, au sud ou au nord, à peine je trouve des évêques légitimes par élection et par conduite de vie, qui se laissent guider par les Vertus.

Le pontife convoqua alors un concile au Latran pour prendre des mesures contre la simonie et le concubinage : c'était le début de la Réforme Grégorienne.
Le concile déposé tous les évêques qui avaient acheté leur nomination et condamné à l'excommunication tous ceux qui n'avaient pas renoncé aux avantages obtenus par simonie.
Peu de temps après, Grégoire confirma le célibat pour le clergé en imposant des peines sévères pour ceux qui avaient violé et libérant les fidèles de l'obéissance à ces évêques qui avaient permis aux prêtres de se marier.
Mais surtout, il condamna et interdit, sous peine d'excommunication, la nomination des évêques par les souverains temporels, crime contre l'apostolat et le Très-Haut lui-même.
Cela le mettait inévitablement en contraste avec de nombreux souverains et en particulier avec Henri IV, qui obtenait une énorme richesse des nominations illégitimes des évêques.
Saint Grégoire savait bien que Henry et les évêques qu'il avait nommés feraient tout pour l'arrêter.
Lettre de Saint Grégoire VII à l'évêque de Canterbury a écrit:
Vous comprendrez à quel point il est dangereux pour nous d'agir contre eux et combien il est difficile de leur résister et de juguler leur méchanceté.

Malgré l'opposition, il poursuit son travail de réforme et de renouveau et de nombreux autres souverains, mus par la Foi, se reconnaissent vassaux du Siège Apostolique et se soumettaient à la primauté du Successeur de Saint Titus.
En 1075, le Pape composé le Dictatus Papae : une collection de vingt-sept propositions qui réaffirmèrent les principes sur le rôle de l'Église et du Pape en son sein dictés par les Écritures. (Pour plus d'informations voir le texte et le commentaire)

L'affrontement avec le souverain allemand

Dans un premier temps, Henri, engagé à étouffer les révoltes de ses sujets contre son gouvernement tyrannique, eut prétendu de soutenir le Pape.
Il fait même acte de soumission au Pape et demandé pardon pour les nominations illégitimes qu'il avait faits, promettant de soutenir la réforme de l'Église.
Dès qu'il a résolu les problèmes internes, cependant, il retourné à nommer les évêques et au lieu de maintenir sa promesse il promut des excommuniées comme ses conseillers personnels.
Le pontife, toujours ému par sa forte foi, écrivit une lettre à l'empereur lui demandant de changer son comportement et lui proposant de trouver un compromis pour maintenir l'unité de l'Aristotelité.
La réponse d'Henri ne tarda pas à venir : la nuit de Noël de 1075, pendant la masse, un partisan d'Henri kidnappé Grégoire essayant de le faire sortir de l'église pour le tuer.
Peu de temps après, cependant, Saint Grégoire sorti indemne de l'église et calmait les gens qui s'étaient levés pour défendre leur pasteur.
On dit que l'agresseur se convertit après avoir parlé au pape et qu'il passa le reste de sa vie à prier en tant que moine.
Dès qu'il sut ce qui s'était passé, déçu par l'échec de ses machinations, Henri décidé d'agir ouvertement : le janvier suivant, avec le soutien des évêques qu'il avait nommés, organisa un concile illégal qui déposa Grégoire. Après un crime aussi grave, Grégoire ne pouvait qu'excommunier Henri et le dépouiller de son trône.
Excommunication d'Henri IV, lu par Saint Grégoire VII aux évêques réunis à Rome a écrit:
Confiant dans le povoir de lier et de délier, sur Terre comme au Ciel, que m'a été donné de Dieu, je conteste au roi Henri, fils de l'empereur Henri, qui s'est élevé avec un orgueil sans bornes contre l’Église, sa souveraineté sur l'Allemagne et sur l'Italie, et je délie tous les aristotéliciens du serment qu'ils lui ont ou qu'ils pourraient encore lui prêter, et leur interdis de continuer à le servir comme roi.

Immédiatement tous les sujets de l'empire se révoltèrent contre Henri, même ses amis évêques l'abandonnèrent et il se retrouva complètement seul.
Quand il réunit un synode pour nommer un nouveau pape favorable à lui aucun autre se présenta.

Le pardon de Canossa

Les princes allemands demandèrent à Grégoire la permission de poursuivre Henri et de lui destituer, mais en même temps le souverain allemand arriva en Italie pour demander une rencontre avec le pape.
Le pontife, se trouva alors face à la croisée des chemins : il pourrait laisser poursuivre Henri, obtenir gloire et prestige et briser un rival; ou étendre la main de la miséricorde, offrir à nouveau le pardon à un croyant perdu, indiquer le chemin de la pénitence et de l'absolution.
Saint Grégoire, Pasteur du Monde et Serviteur des Serviteurs de Dieu, inévitablement choisi le second chemin.
Il répondit aux principes, et implicitement à lui même, qu'Henri devait demander pardon et faire pénitence et qu'il l'attendait à Canossa, où il était invité de la femme pieuse qui possédait ces terres.
Henri vint seul aux portes de Canossa comme un humble pénitent, vêtu seulement d'un froc usé. Pendant trois jours, dans le froid de l'hiver, sans nourriture ni eau, il attendu d'être reçu par le pape.
À l'aube du quatrième jour, un messager sortit de Canossa en lui disant que le pape était prêt à lui pardonner et par conséquent Henri fit acte de soumission à la papauté.
Il que pour le propre orgueil avait osé s'élever au Très-Haut lui-même, était contraint à s'humilier s'humilier pour obtenir le pardon et à reconnaître qu'il était loin en dessous de Dieu et de son Vicaire.

Dernières années et Décès

Sa bonté et sa magnanimité, cependant, ne furent pas rendues par Henri, qui après quelques années déclara à nouveau Gregoire déposé et nomma un antipape.
Cette fois, cependant, Henri décida d'éliminer définitivement le pape qui s'était tant battu pour défendre l'Église et s'installa avec son armée contre Rome.
Grégoire, était vieux et fatigué, décidées de laisser la ville pour sauver le peuple de la guerre et il se retira en exil à Salerne.
Le succès d'Henri ne dura pas longtemps : en guerre contre ses propres enfants, il fut finalement déposé et mourut seul et en disgrâce.
Peu de temps après le grand pontife expira sereinement et réconforté par la prière, certain qu'il atteindrait finalement le Paradis Solaire.
Les fidèles, qui avaient tant aimé son bon gouvernement de l'Église, lui rendirent les honneurs dus à un pape et en attendant qu'il pût revenir à Rome ils écrivirent sur son cercueil :
Épitaphe de Saint Grégoire VII a écrit:
Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in esilio.
J'ai aimé la justice et détesté l'iniquité ; c'est pourquoi je meurs en exil.

Son successeur, Victor III, avait toutes ses décisions confirmées et il excommunia et punit l'antipape usurpateur qui avait forcé Gregoire à fuir.
Aujourd'hui, Saint Grégoire est considéré à juste titre comme un grand réformateur et l'initiateur de ce mouvement de renaissance dans l'Église qui a culminé dans le Renouveau de la Foi, dont il est le principal précurseur.


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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:24 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Pubblication of an Hagiography


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Primate of Pontifical States and the Kindgom of Two Sicilies, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Archbisop sine cura of Palermo, Prince of Benevento, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo

    Announce the pubblication of the Hagiography of Saint Mungo, local Saint.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die XVII mensis V, XVI Kalendas Iunii, AD MCDLXVII.




Citation:
Hagiography of Saint Mungo – Saint of Scotland and Glasgow



Here is the bird that never flew
Here is the tree that never grew
Here is the bell that never rang
Here is the fish that never swam


Birth of a Beloved
Saint Mungo, the Beloved, also known as Kentigern which is used by the English, was born around 525 on the riverbank of River Forth, near the small village of Culcross. His mother Tenneu was a princess, daughter of King Lleuddun , who ruled Lothian and was infamous for his fury. Saint Mungo was conceived as the fruit of love of Princess Tenneu and King Owain. However, King Owain was married to another woman at that time and Princess Tenneu was accused of seducing Owain, leading him into sin. Her father Lleuddun, a man of wroth, denounced Tenneu and threw her from the heights of Traprain Law. Through a miracle, she and her unborn child survived the fall and escaped via the River Forth in a coracle. After a day of drifting downstream on the river, Tenneu found her way to the riverbank and discovered an abandoned campfire. There, in the warmth and safety of the fire, she gave birth to Kentigern, meaning 'Big chief' in Tenneu's native tongue. A local farmer, who found mother and child the next day, quickly brought the priest from the nearby village of Culcross, who rushed to give his aid to the mother and the newborn child. As he saw the young boy, he gently took him in his arms. "Mynn cu," he said, "my beloved.” And this nickname slowly changed to Mungo, which he adopted as his own name.

Youth and first Miracle
Saint Mungo was raised in an Aristotelian manner from his mother, who was well-versed in the Dogma and the Holy Scriptures. However, Saint Mungo also learned the old Celtic traditions and the respect for nature. During long walks, he became familiar with all local flora and fauna. One day, a group of robins were pecking on the ground of the village, looking for scraps. Some of his classmates, being young and brazen, began throwing rocks at the birds. One bird was hit by the stones and fell to the ground. The boys ran from the scene. Saint Mungo ran as well, but rather then running away, he ran towards the hit bird. He took the bird in his hands and prayed over it. After a little while, the bird was revived and it flew away as if nothing had happened. The villagers who witnessed the event called it a miracle that the young rushed to the bird's aid and was able to revive it. And thus, Saint Mungo performed his first miracle.

”Ariston's monastery” and the second Miracle
He was educated and trained as a priest of the Ancient Church at the monastery of Ariston at Culross, Fife. His mother's teachings and his childhood experience assured him to follow the path of virtue and he maintained a desire to strengthen his Aristotelian belief. He joined as a disciple and was introduced to the daily routines within the monastery. One winter night, it was the duty of the future Saint to watch over the fire. The fire was the only source of heat and crucial to all who lived inside the monastery. He fell asleep and the precious fire was lost to the cold wind. Even the last sparkle of burning ash was gone. When St. Mungo woke he realized the misery he had created with his negligence and took a thick, ice covered branch and placed it on the fireplace. Some of the monks were already awake and witnessed this miracle. St. Mungo prayed to god.

In deep desperation,
Never more aware of imperfection of myself
Cold by failing my tasks
Everyone counting on me, I disappointed
Not for me, I ask your love.
Deliver them your love, warm them as they are your children
Inflame their hearts and keep them safe
Oh Most High


Called to Rome and Return to Scotland
The time in Ariston's ended and he was ordained as priest. To deepen his faith, he went to Rome and was received by the pope of that time. He proved himself as a cleric worthy to take up the mission to bring the good faith to the people of Scotland. To be able to call the faithfuls to the mass. As it was common at that time, he received a handbell by the pope himself. Returning to Scotland, he was sent to a holy man called Fergus at Kernach. Fergus died the night he arrived and Mungo placed his body on a cart yoked by two wild bulls commanding them to convey it to the place ordained by the Lord. They stopped at Cathures where Fergus was buried and Mungo established a church. Mungo referred to this spot as 'Glasgu' or the beloved green place. This became Glasgow and the church developed into Glasgow Cathedral.

The fish that never swim
'Here's the Fish that never swam' - the fish with a ring in its mouth is a salmon and the ring was a present from Hydderch Hael, King of Cadzow, to his Queen, Languoreth. The Queen gave the ring to a knight to protect it with his life and keep it safe and the King, suspecting an intrigue, took it from him while he slept during a hunting party and threw it into the River Clyde. On returning home the King demanded the ring and threatened Languoreth with death if she could not produce it. The Queen appealed to the knight who, of course, could not help and then confessed to St. Mungo who sent one of his monks to fish in the river, instructing him to bring back the first fish caught. This was done and St Mungo extracted the ring from its mouth. The Queens reputation was restored and the King needed to beg pardon.

Death and influence of the Saint
Mungo lived an ascetic and holy life until his death in 603.
Until today he remains the most influential cleric for the city of Glasgow as all his miracles are still to be found within the Coat of Arms of the city of Glasgow. His body has been buried within the crypt of the cathedral of Glasgow.

Relics and Feast
Feast Day: 13th of January
Relics: His remains within the crypt of the Cathedral of Glasgow, The bell which is displayed in a shrine in the Cathedral.


Citation:
Hagiographie de Saint Mungo – Saint patron de l'Écosse et de Glasgow



Voici l'oiseau qui n'a jamais volé
Voici l'arbre qui n'a jamais poussé
Voici la cloche qui n'a jamais sonné
Voici le poisson qui n'a jamais nagé


La naissance d'un bien-aimé
Saint Mungo, le Bien-aimé, également connu sous le nom de Kentigern par les Anglais, est né vers 525 au bord de la rivière Forth, près du petit village de Culcross. Sa mère Tenneu est une princesse, fille du roi Lleuddun, qui dirigeait Lothian et impopulaire à cause de sa fureur. Saint Mungo a été conçu comme le fruit de l'amour de la princesse Tenneu et du roi Owain. Cependant à cette époque, le roi Owain était marié à une autre femme à cette époque et la princesse Tenneu avait été accusée d'avoir séduit Owain, ce qui les menèrent au péché de la chair. Son père Lleuddun, homme colérique, dénonça Tenneu et la jeta des hauteurs de Traprain Law. Par miracle, elle et son enfant à naître survécurent à la chute et s'échappèrent par la rivière Forth à bord d'une barque. Après une journée de navigation en aval de la rivière, Tenneu se fraya un chemin jusqu'au bord de la rivière et découvrit un feu de camp abandonné. Là, dans la chaleur et la sécurité de ce bon feu, elle donna naissance à Kentigern, ce qui signifie «Grand chef» dans la langue maternelle de Tenneu. Un agriculteur local retrouva sa mère et son enfant le lendemain, et amena rapidement le prêtre du village voisin de Culcross, qui s'était dépêché de venir en aide à la mère et au nouveau-né. En voyant le jeune garçon, il le prit doucement dans ses bras. "Mynn cu," dit-il, "ma bien-aimée." Et ce surnom est lentement devenu Mungo, qu'il a adopté comme étant son propre nom.

Sa jeunesse et son premier miracle
Saint Mungo est élevé de manière aristotélicienne par sa mère, qui connaissait bien le dogme et les Saintes Écritures. Toutefois, Saint Mungo apprend aussi les traditions anciennes celtiques et le respect de la nature. Au cours de longues promenades, il se familiarise avec la flore et la faune locales. Un jour, un groupe de merles picorait sur le sol du village, à la recherche de nourriture. Certains de ses camarades de classe, jeunes et effrontés, commencèrent tout à coup à jeter des pierres sur les oiseaux. Un oiseau fut touché par les pierres et tomba au sol. Les garçons fuirent la scène. Saint Mungo courut également, mais plutôt que de s'enfuir, il courut vers l'oiseau touché. Il prit l'oiseau dans ses mains et pria pour cela. Au bout d'un moment, l'oiseau fut ravivé et s'envola comme si rien ne s'était passé. Les villageois qui assistèrent à l'événement appelèrent cela un miracle. Et c'est ainsi que Saint Mungo a accompli son premier miracle.

« Le monastère d'Ariston » et le second miracle
Son éducation et sa formation de prêtre selon le rite celtique a été faite au monastère de Ariston à Culross, dans le Fife. Les préceptes enseignés par sa mère ainsi que l'expérience de l'enfance lui permettent de suivre le chemin de la Vertu et de renforcer sa croyance aristotélicienne. Il rejoint le groupe en tant que disciple et il est impliqué dans les tâches quotidiennes du monastère. Un soir d'hiver, c'était le devoir du futur saint homme de surveiller le feu car en effet le feu demeurait la seule source de chaleur donc un élément primordial pour les moines habitant l'intérieur de monastère. Il s'endormit et le précieux feu s'éteignit à cause du vent froid, même la dernière braise perdit son incandescence. Lorsque Saint-Mungo se réveilla en réalisant la misère créée en raison de sa négligence, il prit une branche épaisse couverte de glace et la plaça dans la cheminée, sous le regard de moines témoins de son action. Il pria Dieu de redonner vie au feu, en ces termes :

Dans la profondeur du désespoir
Jamais plus conscient de ma propre imperfection
Le froid me faisant échouer à ma tâche
Tout le monde comptant sur moi, j'ai été déçu
Pas pour moi, je te demande ton amour
Livre-moi ton amour, réchauffe les ce sont tes enfants
Enflamme leurs cœurs et protège-les
Oh Très-Haut


L'Appel de Rome et le Retour en Écosse
Le temps à Ariston s'achève, et il se fait ordonner prêtre. Pour approfondir sa foi, il va à Rome et le Pape de ce temps le reçoit. Il se montra digne d'un clerc capable de prendre la mission d'apporter la foi de Dieu au peuple d'Écosse. Pour pouvoir appeler les fidèles à se joindre à la messe. Ainsi que la coutume de l'époque le voulait, il reçut une cloche par le pape lui-même. Au retour en Écosse, il est envoyé par un saint homme portant le nom de Fergus à Kernach. Fergus meurt dans la nuit de son arrivée, et Mungo plaça alors son corps sur une charrette attelée de deux bœufs sauvages à qui il ordonna de transporter la dépouille de Fergus sur l'endroit jugé bon par le Seigneur. Les deux bœufs s'arrêtèrent à Cathures où Fergus a été enterré, et Mungo y décida d'y établir une église. Mungo a donné le nom de « Glasgu » à cet endroit ou Le Pré Bien-Aimé. L'endroit devient Glasgow et une église s'y développe plus tard en siège de la cathédrale de Glasgow.

Le poisson qui ne nage jamais
« Voici le poisson qui n'a jamais nagé »
L'anneau dans la bouche du saumon était un cadeau de Hydderch Hael, Roi de Cadzow à la Reine, Languoreth. La Reine donna l'anneau à un chevalier pour le protéger et le roi la soupçonna d'infidélité. Pendant que le chevalier dormait la nuit d'une partie de chasse, le roi déroba l'anneau et le jeta dans la rivière Clyde. De retour chez lui, le roi demanda l'anneau à Languoreth et la menaça de l'exécuter si elle ne pouvait pas la retrouver. La reine fit appel au chevalier à qui elle avait confié le présent, et bien sûr, ne pouvant pas l'aider, elle avoua tout à St-Mungo. Alors, le saint envoya un de ses moines pêcher dans la rivière, et lui fit ramener le premier poisson capturé. Tout ceci fut fait, et Saint-Mungo retira l'anneau de la bouche du poisson. La reine recouvrit sa bonne réputation et le roi dut demander pardon.

La mort et l'influence du saint
Mungo a vécu une vie sainte et ascétique jusqu'à sa mort en 603. Jusqu'à aujourd'hui, il reste le clerc qui a le plus influencé la ville de Glasgow car tous ses miracles sont retrouvés dans les armoiries actuellles de la ville de Glasgow. Son corps a été enterré dans la crypte de la cathédrale de Glasgow.

Reliques et Fête
Fête: 13 Janvier
Reliques : Ses restes sont à l'intérieur de la crypte de la cathédrale et la cloche est entreposée dans un sanctuaire de la cathédrale.
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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:25 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Nomination of Corimme Shalama Dei Rossi del Drago as Liturgist


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Primate of Pontifical States and the Kindgom of Two Sicilies, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Archbisop sine cura of Palermo, Prince of Benevento, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo

    Announce the appointment of Corimme Shalama Dei Rossi del Drago [shalama] as Liturgist of the Holy Office.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die XIX mensis V, XIV Kalendas Iunii, AD MCDLXVII.


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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:26 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

About Patrons of Bishoprics and Parishes


We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Primate of Pontifical States and the Kindgom of Two Sicilies, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Archbisop sine cura of Palermo, Prince of Benevento, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo

    Have learned that many dioceses and cities are dedicated to men and women who are traditionally recognized as saints, without however being recognized as such by the authority of the Holy Church. We recall that dioceses and parishes must be named after officially canonized saints, inscribed in the universal calendar of the Church. For this reason we grant six (6) months to the Consistories to present to this Congregation the hagiographies of the patron saints of the dioceses in default, whether they are officially recognized blessed or so-called traditional saints. After this period of time, the Consistories are obliged to assign to the diocesan and parish offices in default a holder among the canonized saints registered in the universal calendar.
    Similarly, we strongly urge all those dioceses and parishes that have not yet been assigned a holder to provide for the lack.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die III mensis IX, III Nonas Septembris, AD MCDLXVII.





Citation:

Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

Circa i Patroni di Diocesi e Parrocchie


Noi, Sua Eminenza Reverendissima Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere, Cancelliere del Sant'Uffizio, Primate degli Stati Pontifici e del Regno Duosiciliano, Arcivescovo Metropolita di Capua, Arcivescovo sine cura di Pesaro, Arcivescovo sine cura di Palermo, Principe di Benevento, Conte e Governatore di Pesaro, Conte di San Costanzo

    Siamo venuti a conoscenza che molte diocesi e città sono dedicate a uomini e donne che sono tradizionalmente considerati santi, senza tuttavia essere riconosciuti come tali dall'autorità della Santa Chiesa. Ricordiamo che diocesi e parrocchie devono essere intitolate a santi ufficialmente canonizzati, iscritti nel calendario universale della Chiesa. Per questo motivo concediamo sei (6) mesi ai Concistori per presentare a questa Congregazione le agiografie dei patroni delle diocesi in difetto, siano essi beati ufficialmente riconosciuti o cosiddetti santi tradizionali. Trascorso questo lasso di tempo, è fatto obbligo ai Concistori di assegnare alle sedi diocesane e parrocchiali in difetto un titolare tra i santi canonizzati e iscritti nel calendario universale.
    Analogamente, esortiamo caldamente tutte quelle diocesi e parrocchie cui non è ancora stato attribuito un titolare a provvedere alla mancanza.


Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die III mensis IX, III Nonas Septembris, AD MCDLXVII.


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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:27 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

    Appointment of marquis de franchimont as Writer


    We, His Most Reverend Eminence Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinal Bishop of Saint Adonia in Trastevere, Canchellor of the Holy Office, Primate of Pontifical States and the Kindgom of Two Sicilies, Metropolitan Archibishop of Capua, Archibishop sine cura of Pesaro, Archbisop sine cura of Palermo, Prince of Benevento, Count and Governor of Pesaro, Count of San Costanzo, Canchellor of the Order of Nicolas V

      ANNOUNCE

      the nomination of marquis de franchimont [Marc_franchimont] as writer of the Holy Office.


    Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die XII mensis XI, pridie Idus Novembris, AD MCDLXVII, Anno Pontificatus Sixtus PP IV I.



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Daresha



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:28 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

    Decreto dei Cancellieri su limitazioni ai sacramenti nella Provincia Ecclesiastica di Venezia


    Noi, Sua Eminenza Reverendissima Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere, Cancelliere della Congregazione del Sant'Uffizio, Primate degli Stati Pontifici e del Regno Duosiciliano, Vicarius Urbis Romæ, Arcivescovo Sine Cura di Pesaro, Arcivescovo Sine Cura di Palermo, Principe di Benevento, Conte e Governatore di Pesaro, Conte di San Costanzo, Cancelliere dell'Ordine di Nicolas V,

      AUTORIZZIAMO

      in conformità al Can. 2.1-II-6.6 propius loci il Patriarca di Venezia a porre le seguenti limitazioni alla concessione di sacramenti:
        - possibilità di ricevere il sacramento del battesimo solamente se in possesso di un diploma di pastorale base conseguito presso uno dei seminari riconosciuti dalla Santa Sede;
        - possibilità di ricevere il sacramento del matrimonio solamente se in possesso di un diploma attestante la frequenza di entrambi gli sposi, insieme, ad un corso di preparazione al matrimonio.

      Tutte le eventuali eccezioni, o la possibilità di sopperire al corso di pastorale base o al corso prematrimoniale con corsi di catechesi, devono necessariamente essere approvate dal Patriarca di Venezia.


    Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die VIII mensis XII, VI Idus Decembris, AD MCDLXVII, Anno Pontificatus Sixtus PP IV I.



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MessagePosté le: Sam Avr 18, 2020 10:29 pm    Sujet du message: Répondre en citant

Citation:

    Congregatio Sancti Officii et de Causis Sanctorum

    Decreto dei Cancellieri su limitazioni ai sacramenti nella Provincia Ecclesiastica di Udine


    Noi, Sua Eminenza Reverendissima Gianvitus Tarcisius Cardinal De Reame, Cardinale Vescovo di Sant'Adonia in Trastevere, Cancelliere della Congregazione del Sant'Uffizio, Primate degli Stati Pontifici e del Regno Duosiciliano, Vicarius Urbis Romæ, Arcivescovo Sine Cura di Pesaro, Arcivescovo Sine Cura di Palermo, Principe di Benevento, Conte e Governatore di Pesaro, Conte di San Costanzo, Cancelliere dell'Ordine di Nicolas V,

      AUTORIZZIAMO

      in conformità al Can. 2.1-II-6.6 propius loci l'Arcivescovo Metropolita di Udine a porre le seguenti limitazioni alla concessione di sacramenti:
        - possibilità di ricevere il sacramento del battesimo solamente se in possesso di un diploma di pastorale base conseguito presso uno dei seminari riconosciuti dalla Santa Sede;
        - possibilità di ricevere il sacramento del matrimonio solamente se in possesso di un diploma attestante la frequenza di entrambi gli sposi, insieme, ad un corso di preparazione al matrimonio.

      Tutte le eventuali eccezioni, o la possibilità di sopperire al corso di pastorale base o al corso prematrimoniale con corsi di catechesi, devono necessariamente essere approvate dall'Arcivescovo Metropolita di Udine.


    Datum Romæ, apud Sanctum Officium, die IX mensis XII, V Idus Decembris, AD MCDLXVII, Anno Pontificatus Sixtus PP IV I.



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