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[IT] Il libro delle virtù - L'Assedio di Aornoss

 
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Kalixtus
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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:47 pm    Sujet du message: [IT] Il libro delle virtù - L'Assedio di Aornoss Répondre en citant

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Dernière édition par Kalixtus le Mar Juil 25, 2023 1:58 pm; édité 2 fois
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Kalixtus
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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:49 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    L'Assedio di Aornoss - Capitolo I -

    Io, Epistene, davanti a questa statua di marmo che con la stretta di mano tra Alessandro e Aristotele rende immortale l'amicizia che legava i due uomini, che esisteva tra il discepolo e il suo maestro, scoprendo la quale chi può mai trattenere una lacrima, mi ricordo...

    Mi rcordo del tempo in cui al servizio del Grandissimo Alessandro il terzo, e voglio testimoniare, al crepuscolo della mia vita, gli avvenimenti favolosi di cui fui il testimone, allorché l’armata macedone attaccava Nicea e le rive del Cophen, al di là dei monti Paraponisiadi. Nessuno tra noi conosceva i nemici retrocessi e misteriosi che affrontavamo. Alessandro e io amavamo conversare delle memorie di Ctésia, o degli scritti di Erodoto, che costituivano tutto ciò che si poteva sapere.

    Le condizioni del nostro periplo erano disperatamente cattive. I soldati erano stremati dal calore e dall’aria insalubre. L’umidità si insinuava ovunque, la lordura formava delle patine giallastre sui visi contratti dei soldati, e la più piccola escoriazione si infettava subito. L’acqua potabile veniva a mancare, come il cibo che marciva in pochi giorni. Alcuni furono presi da febbri mortifere che facevano scorrere i loro umori a grandi fiotti da tutti gli orifizi, e li lasciava morti. Lo sfortunato contingente doveva progredire su cammini indegni di questo nome, resi allo stato di pantani dalle piogge diluvianti che si abbattevano, come una fatalità, alla fine di ogni giorno.

    E infine, un buon mattino, attaccammo la città di Aornos, rifugio del popolo Assaceno, che il nostro buon re aveva per nemico. Quattro immense torri d’argento formavano gli angoli di un complesso di fortificazioni, che proteggevano una città singolare nella sua posizione. La città era situata su una collina. Sulla sua sommità, si poteva distinguere quello che doveva essere un tempio, sormontato da una sorta di minareto sfavillante d’oro e pietre preziose, che sovrastava, appesa al fianco del rilievo, la città propriamente detta.

    Alessandro fece un’ispezione minuziosa delle sue truppe, poi tenne un discorso molto avvincente sull’abnegazione alla causa pubblica, per risollevare il loro morale. In seguito fece riunire i suoi generali per discutere della strategia da prendere. Lo stato-maggiore fu d’accordo a organizzare un'assedio, e Alessandro fece quest’obiezione ricca di buon senso: <Gli>. E così fu fatto secondo la volontà del sovrano.

    La prima salva fece reagire in modo particolarmente buono i nostri nemici. Vedemmo venire nella nostra direzione una truppa di tre cavalieri, che costituiva una delegazione Assacena. Uno di essi si diresse dritto verso Aristotele, precettore da sempre di Alessandro, uomo d’incredibile saggezza, e di cui da questi avvenimenti io ne credo la santità. Gettò uno sguardo fermo al nostro filosofo, poi tenne questo tonante discorso: "Noi ti attendiamo, vieni. Il Grande Capo del serpente cosmico ha profetizzato la tua venuta". Poi, si rivolse ad Alessandro in termini così costernanti: "Sovrano di Macedonia, tu potrai distruggere Aornos molto presto, ma prima noi dobbiamo compiere il Grande Disegno, e mostrare ad Aristotele la nostra città e la sua organizzazione. Quando sarà di ritorno le potrai dare l’assalto". Alessandro si insospettì, temendo una trappola, ma Aristotele gli parlò in questi termini: "Se non soddisferò la mia curiosità, non potrò morire in pace".

    Alessandro: "Ma se ci vai, io morirai prima".

    Aristotele: "Se non ci vado morirò più tardi, ma molto peggio della morte, io morirò insoddisfatto. In entrambi i casi io sarò morto".

    Alessandro: "A te la scelta".

    Ecco che ciò sollevò la mia curiosità, e chiesi discretamente al mio re se potevo seguire il filosofo nella sua visita, cosa che egli accettò. Gli Assaceni fecero lo stesso.



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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:51 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    L'Assedio di Aornoss - Capitolo IV -

    Cacciati da Aornos, Aristotele e io stesso raggiungemmo Alessandro, che attendeva con la sua armata a qualche centinaio di cubiti dai bastioni della città. Il re non mancò di interrogarci sulle difese del nemico, cosa alla quale, devo ammetterlo, non avevo prestato la minima attenzione. Evidentemente, non era il caso di Aristotele, che fece una descrizione dettagliata sull’organizzazione militare Assacena. Aggiunse che Aornos non era che una città corrotta, che disconosceva i principi base che devono regolare tutta la comunità, e che non era degna del nome di repubblica. Ne concluse che bisognava distruggerla, e fondare al suo posto una città virtuosa, e che era necessario, secondo le sue stesse parole, "estirpare l’errore degli spiriti deboli, per sostituirli con la convinzione della virtù".

    Ebbi immediatamente uno di quei lampi che vi fanno sperare in una piccola gloria intellettuale, e credetti di poter prendere in fallo il filosofo. Ricordavo, infatti, che egli avesse subito affermato davanti al Grande Capo che la violenza era cosa viziosa poiché rivela la collera, e che, nonostante ciò, incoraggiava Alessandro nella sua voglia di espndersi. Aristotele mi rispose piuttosto seccamente: "La nostra comunità è gloriosa, poiché è virtuosa. Questa costante non ha niente di soggettivo, è una realtà perfettamente tangibile, e che fonda il nostro diritto a stabilire, su tutta la faccia del mondo conosciuto, la nostra repubblica, per la fortuna dei popoli. I nostri principi sono la verità poiché tratti dal naturale ordine delle cose. Noi siamo la repubblica universale dello spirito". Decisi di misurare, in futuro, le mie parole, per evitare così di essere trattato da asino dal filosofo.

    Alessandro non voleva un'assedio sfiancante, visto lo stato delle nostre provviste gli assalitori avrebbero ceduto prima degli assediati. La nostra posizioni erano inoltre non buone, poiché eravamo esposti al tiro degli arcieri nemici, e il Grande Capo era, dopo il nostro incontro, risoluto a combattere. Per metterci al riparo, bisognava indietreggiare, e ritornare nel fango e nei miasmi delle mangrovie da cui venivamo. Gli uomini non avrebbero sopportato tre giorni in queste condizioni, sotto i nugoli di insetti e di serpenti, nell’atmosfera malsana della palude. Lo Stato-Maggiore optò quindi per un attacco la sera stessa contro i primi reparti del dispositivo difensivo. Fu una catastrofe. Centinaia di soldati perirono in un inutile attacco. Gli arcieri e i picchieri nemici erano temibili, e i nostri uomini non avevano il tempo di piazzare le scale: cadevano come mosche. L’ariete ebbe una sorte altrettanto poco invidiabile: circa metà dell’equipaggio fu ucciso prima ancora che la macchina potesse urtare la porta. I sopravvissuti erano così poco numerosi che non riuscirono più a manovrare l’ordigno, che divenne presto come una balena arenata sul ponte levatoio, dato che i soldati l’avevano abbandonata nella loro fuga.

    Alessandro, lodato dai suoi uomini per la sua mansuetudine, fece prontamente cessare il massacro, e suonò la ritirata. Così le perdite furono limitate, ancorché le conseguenze. Lo Stato-Maggiore fu nuovamente riunito, e schernito dal re di Macedonia. Il sovrano sembrava molto contrariato dalla piega che prendevano gli eventi, e confessò che non si aspettava una tale resistenza. Fu allora che un generale intervenne, e ricordò ad Alessandro come era stata vinta la guerra di Troia, e del sotterfugio che Ulisse usò per introdurre dei guerrieri greci nella città. Aristotele lo fece subito tacere: "Queste leggende sono delle cretinate politeiste, e i troiani non possono essere esistiti, poiché nessun popolo può essere così stupido da cadere in un tranello così grossolano. Si sarebbe ben trovato un troiano che avesse avertito i suoi concittadini della loro stupidità, e che un cavallo di legno di dubbia fattura, che suona vuoto, e che del resto era un oggetto di pessimo gusto, inoltre era un’astuzia infantile". Il generale insorse nel sentire le credenze secolari così disprezzate, e Aristotele gli rispose senza arrabbiarsi che una credenza può essere secolare, senza che questo la renda necessariamente vera. Alessandro fece cessare la conversazione che diventava sgradevole, urlando che quelle polemiche non lo aiutavano.
    Aristotele disse allora una frase tonante: "Vado a sfidare il Grande Capo in un combattimento singolare, e da questo scontro dipenderà la sorte della città".

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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:52 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    L'Assedio di Aornoss - Capitolo V -

    Dopo quella terribile notte in cui le truppe furono in parte decimate, Aristotele parlamentò con Alessandro e lo convinse a sfidare il Grande Spirito in singolar tenzone per conquistare la città. Il macedone non era molto entusiasta di questa proposta, ma eravamo stati troppo colpiti per portare avantiun nuovo assalto. Alessandro dovette convincersi e fu così che Aristotele ed io cavalcammo fino alle porte della città, armati di panni bianchi con la speranza di non essere un facile bersaglio per le frecce degli arcieri posizionati in alto. Confesso del resto di aver ben creduto di correre verso la mia rovina in quel momento. Aristotele richiamò l'attenzione delle guardie : "Lasciateci entrare, io sono Aristotele e vengo a negoziare con il Grande Capo del Serpente Cosmico!"

    Le porte della città si aprirono per lasciarci passare, e noi deambulammo attraverso le vie e i quartieri per arrivare fino ai piedi del tempio dove ci condussero dal Capo. Quando ci trovammo di fronte a lui, intravidi la collera nei suoi occhi, mista ad un oncia di orgoglio e piacere, per aver decimato una buona parte delle truppe di Alessandro respingendo l'attacco macedone. Il Capo sembrava attendesse qualcosa da Aristotele, era innegabile che il greco usasse la sua grande saggezza per cogliere questa opportunità, quindi, insultò il mingherlino con voce molto poco gentile : "Grande Capo, ecco cosa noi proponiamo: voi volete che io scriva su Aornos affinchè la città non cada nell'oblio e io voglio cancellarla dal mondo terrestre. Vi sfido in un combattimento oratorio in un luogo pubblico, dinanzi al Vostro popolo per decidere il destino di Aornos, se vincete voi, io scriverò sulla città, e se voi perdete, voi e i vostri uomini la lascerete per sempre !". Il Capo venne preso alla sprovvista e rispose con un sorriso di sottecchi abbastanza malsano : " Affare fatto, se io vinco, voi scrivete e partite senza chiedere nient'altro. Gareggeremo domani, nel frattempo, approfittate di una notte di sonno all'interno del Tempio". Così noi passammo la notte al tempio.

    Il giorno dopo ci dirigemmo verso la pubblica piazza, lungo il cammino Aristotele disse queste parole: "Ecco venuta l'ora della verità contro la persuasione, del ragionamento contro la retorica". La piazza era piena al nostro arrivo, e fummo spintonati da una folla vendicativa. Il filosofo cadde a terra, mi affrettai per aiutarlo a rialzarsi quando il Grande Capo arrivò sfoderando un ampio sorriso. Egli esclamò : "Non hai il tuo Dio per evitarti di cadere in maniera così ridicola?", Aristotele lo salutò e mi fece segno di lasciare posto. Una guardia afferrò Aristotele e gli intimò di rispondere prima di gettarlo a terra con violenza. Tentai allora di raggiungere il mio maestro, ma le guardie mi bloccarono il passaggio, si alzò con calma, molto deciso a non cedere alla violenza, ma era facile comprendere quanto si sentisse frustrato. Il Grande Capo disse infine queste parole : "Perchè non vi difendete invece di lasciarvi soffrire ? Voi avete chiesto un dibattito oratorio, allora parlate! In caso contrario vi considererò come sconfitto e voi dovrete tenere parola e scrivere sulla città." Aristotele guardò l'uomo e gli disse : "Un discorso è vero perchè si umilia il proprio interlocutore? Quale gioia ti da prenderti gioco nel vedere il tuo nemico al suolo? E' questo il modo di evitare di dibattere? Il Vostro popolo ha davvero una guida molto misera!". Il Grande Capo, il viso rosso di collera replicò: Per il mio popolo io sono il soggetto e il verbo, non hanno bisogno di complementi", fu allora che Aristotele, armato di un aria soddisfatta di piacere, rispose: "iI effetti, se il popolo fosse una frase, il suo dirigente ne sarebbe soggetto e verbo, ma occorre anche che tutto sia ben coniugato perchè abbia un senso, e questo tutto io lo chiamo Dio!"

    Io mi tenevo non lontano dalla scena, Aristotele affrontava il Grande Capo ed entrambi, circondati dalle guardie, s'affrontavano dinanzi ad una folla tanto viziosa quanto avida di sangue. Io vidi allora la plebe aderire alle parole del filosofo, ben più carismatico del suo avversario dal momento che, con i suoi grotteschi baffi ed il suo volto rosso dalla frustrazione, si rendevano ridicoli ancora di più.I suoi occhi si riempirono di odio ed Aristotele lo notò. Fece scivolare un'allusione : "Quale guida perde la sua temperanza così?". Nella sua chiaroveggenza, non aveva potuto mancare il cambiamento nell'opinione del popolo, ammassato intorno allo spettacolo, così rincarò la dose:"Popolo di Aornos, guardatelo bene il vostro Capo, con le sue grandi arie ed i suoi ricchi fronzoli, immagini della sua corruzione! Guardate di quale disprezzo fa prova al vostro riguardo!". Il Grande Capo sentì allora che il vento cambiava e, in un accesso di rabbia, decise di farla finita con questo duello, quindi prese la spada di una guardia e si gettò su Aristotele gridando con tutta la sua voce: "Se le cose stanno così, vediamo ciò che il tuo brio farà di questo!". Sfruttando la forza e il peso del suo avversario, il greco afferrò il suo braccio e lo fece roteare nell'aria, difendendosi così dal colpo mortale. Il Capo cadde pesantemente in un scoppio di polvere e la folla applaudì come un solo uomo. Fu con sicurezza nella sua voce che Aristotele proferì : "Vedete con che vizio il vinto tenta di mettere una pezza!". Si rivolse allora alla tigre di carta che si distendeva davanti a lui : "Siete il giocattolo della vostra accidia che, nel vostro stretto cervello, è il riflesso della vostra malattia! Aornos resterà la conseguenza della vostra eterna incompetenza!". Infine, scostò le braccia, e, guardando intorno a lui, fece prendere la decisione alla folla: "Aornos, svegliati e non lasciare più questo infame birichino prendersi gioco di te!". Il cicisbeo dittatore si rialzò con difficoltà, gettò un sguardo riempito di vizio prima di ordinare la messa a morte di Aristotele alle sue guardie. Fu allora che la massa di curiosi, assembrati intorno all'avvenimento, abbracciò la causa di Aristotele. Prima che le guardie potessero sfoderare le loro armi, furono gettati a terra, dovetti scostarmi velocemente per evitare di finire calpestato.

    Così prese fine l'assedio di Aornos, per una vittoria di Aristotele su un tiranno senza consistenza e nella collera di un popolo troppo sfruttato per molto tempo. Il Grand Capo fu, con alcune guardie che gli rimasero ancora fedeli, cacciato da una massa in furia. Aristotele quando a lui, fu eretto ad eroe, e, tale il trionfatore del male, fu portato dalla folla fino al porte della città. Alessandro assistette a bocca aperta a questo spettacolo, e dovette, una volta ancora, riconoscere il talento inestimabile del suo amico, portato dalla sua Fede in Dio. Così, il macedone ordinò al resto delle sue truppe di investire Aornos. Aristotele assicurò al popolo, convertito alla parola dell'Altissimo, che lasciava un male per un bene.

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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:53 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    L'Assedio di Aornoss - Capitolo VI -

    La sera di questa vittoria dal verbo, Alessandro, accompagnato da me e da Aristotele, potè constatare il fermento che regnava nella città d'Aornos. Les parole del profeta erano state così forti che tutti gli abitanti erano venuti a vedere quest'uomo, che già tutti consideravano come una nuova guida. A distanza di tempo, io mi ricordo ancora perfettamente di questo sentimento di libertà e di gioia che avvolgeva allora Aornos, i potenti corrotti ancora presenti erano stati cacciati dalla plebe e gli altri si erano tutti riuniti ai piedi del tempio del Grande Capo, dove Aristotele, nonchè Alessandro e i suoi generali, avevano stabilito il loro quartier generale. Un rappresentante fu invitato ad incontrare il greco e discutere delle sorti della città.

    L'uomo che si presentò dinanzi a noi era giovane, si chiamava Geremia, era vestito con abiti semplici ed era stato scelto perchè egli aveva sempre capito che Aornos cadeva nell'abbandono. Geremia era un filosofo e respirava la virtù. Si avvicinò umilmente ad Aristotele e lo salutò con deferenza prima di pronunciare queste parole: "Aristotele, la vostra vittoria ci ha aperto gli occhi, la città è ormai lavata da ogni macchia con la scomparsa del Grande Capo. Noi ci rimettiamo alla vostra saggezza per guidarci nel nostro futuro". Aristotele restò in silenzio un lungo momento, nemmeno Alessandro intervenne, lasciando al filosofo il successo di questa vittoria, altrettanto importante per quest'ultimo. Il greco usò tutta la sua magnificenza per rispondere a colui che gli stava difronte: "Aornos è stata la sede di tutti i vizi e tutti i peccati, la città è stata guidata dalla corruzione e la pigrizia, ora, tutto questo è finito.Una volta, feci un sogno, quello di una città ideale, che credevo di aver trovato arrivando a Aornos, la mia paura fu quella di vedere quello che ho visto. Ora noi dobbiamo costruire questa nuova vita insieme, è per questo che vi scriverò i precetti che faranno d'Aornos la città dei miei sogni."

    Nel corso dei giorni che seguirono, Aristote chiese a chiunque di non essere disturbato per alcuna ragione e si chiuse in una stanza con alcuni viveri e un po' d'acqua. Io approfittai di questa tregua per percorrere su e giu le viuzze strette d'Aornos e ascoltare ciò che si diceva. Il popolo aveva ritrovato l'amicizia, le classi potenti erano state abolite e tutti condividevano un unico progetto : vivere insieme in perfetta armonia. Ero certo che non sarebbe durato e che ciò che era lo era soprattutto a causa dei recenti avvenimenti. Geremia aveva spiegato al popolo ciò che Aristotele gli aveva detto, e tutti non attendevano che una cosa, mettere in pratica i precetti di cui parlava il profeta. Alessandro, quanto a lui. godeva dei benefici di una vittoria inaspettata e approfittava di un po' di riposo, mettendo i suoi generali al comando per mantenere l'ordine in caso di bisogno. In poche parole, io posso dirvi oggi, che questi momenti scorrono nella mia mente come un punto di svolta per la storia d'Aornos.

    Esattamente sette giorni dopo la vittoria di Aristotele, quest'ultimo, che non aveva dato segni di vita durante tutto questo lasso di tempo, uscì infine dal suo ritiro. Chiese ad Alessandro di far venire Geremia ed espose i frutti del suo lavoro con aria placata e certezza nello sguardo: "Aornos sarà una città ideale e perfetta, dove tutti vivranno in armonia. Ci sarà un equilibrio così solido che niente lo potrà rompere, e ciascuno sarà accolto come un fratello. Questa città sarà organizzata secondo il principio di tre cerchi concentrici, oppure tre classi di cittadini." E Aristotele espose anche tutti i passi dell'organizzazione della nuova Aornos. Spiegò che la città doveva conservare lo stesso nome, per provare a tutti che il cuore dell'uomo può cambiare e, dall'ombra, ritornare alla luce. Geremia e Alessandro accolsero queste parole piene di saggezza e noi comprendemmo tutti che non c'era altra alternativa che applicare questi giusti precetti.

    Noi restammo sei mesi ad Aornos, aiutando Geremia a mettere in opera ciò che Aristotele aveva scritto, lavorando senza riposo per ricreare questa città che il profeta aveva sognato e discutendo con tutti le ragioni di ogni decisione. Ora mi è più facile capire quanto quel lavoro fu immenso, perchè al momento in cui scrivo queste righe, Aornos brilla ancora della fiamma che Aristotele ha fatto nascere in essa. Alessandro aveva dato la sua approvazione ad ogni cosa, ogni punto era stato accettato, sembrava d'altronde che lo dovesse al suo amico. A cavallo di una conversazione, vedendo con quale interesse io portavo alle sagge parole del profeta, Alessandro mi spiegò che egli non avrebbe ostacolato il suo amico nella realizzazione della città ideale. In effetti, mi aveva indicato che non l'aveva mai visto tanto determinato a distruggere il vizio prima del suo ritorno in città.

    Durante questi sei mesi, Aristotele insegnò a Geremia e a tutti gli altri abitanti della città la complessità della fede, diede loro un assaggio della bellezza di amore dell'Altissimo e ancorò saldamente nel loro cuore il fervore e l'amicizia. Essi costituivano la classe d'oro, quella dei re filosofi, il terzo cerchio d'Aornos, praticavano tutti le virtù con grande umiltà. Ognuno divenne Sacerdote e insieme guidarono Aornos vers verso la luce. Ci furono coloro che, con l'aiuto di Aristotele, costituirono gli altri due cerchi : la classe d'argento, composta da cittadini-soldati e la classe di bronzo, composta dai produttori. Così, Aronos visse un era di splendore, insieme di fede e di amicizia ove ciascuno trovava naturalmente il suo posto. Appena questa opera grandiosa fu completata e prospera, noi decidemmo di riprendere il lungo cammino che avevamo intrapreso. Aristotele, che aveva sognato questa città ideale, spiegò che lui doveva ancora continuare la sua opera attraverso i Regni e Alessandro ripartì con i suoi eserciti. Noi lasciammo quindi Aornos nelle mani di Geremia e dei re filosofi per non tornare mai più. Il Nostro cammino ci ha portato fino alle porte di Atene che avevamo lasciato molto tempo prima, l'anima piena di ricordi ricchi e duraturi.

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MessagePosté le: Mar Juil 25, 2023 1:56 pm    Sujet du message: Répondre en citant

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    Gli ultimi giorni del Profeta

    Gli ultimi giorni

    Io, Posidonia, nipote del profeta di Dio, Aristotele, figlia di Nicomaco, voglio raccontarvi gli ultimi giorni della vita di mio nonno.

    Dopo la morte di Alessandro di Macedonia, Aristotele fu obbligato a fuggire precipitosamente da Atene.

    Infatti, Alessandro lo aveva sempre protetto, ma con la scomparsa di quest'ultimo, i suoi oppositori non avevano esitato a trattare mio nonno come un matto pericoloso a causa dell'insegnamento che dispensava sull'esistenza di un Dio unico.

    I sostenitori della religione ufficiale non lo sopportavano più e dopo la notizia della morte di Alessandro, liberarono tutto il loro rancore ed iniziarono a montare la popolazione contro mio nonno.

    La sua casa fu incendiata, e a mio padre, Nicomaco, furono cavati gli occhi.

    Aristotele decise allora di lasciare Atene per raggiungere Calcide.

    Una volta sistemati, li raggiunsi, ma gli ultimi eventi avevano molto incupito mio nonno e perse molto rapidamente le sue forze.

    Fu allora che apprendemmo della nascita del figlio di Seleuco, il compagno di Alessandro che era sempre stato il più ricettivo agli insegnamenti di mio nonno. Sua moglie Apama aveva appena messo al mondo un bambino che era stato chiamato Antioco del nome del padre di Seleuco.

    Mio nonno ebbe allora gli occhi che si misero a brillare come illuminati da Dio, mi annunciò che doveva assolutamente vedere questo bambino.

    Feci allora inviare un messaggero a Seleuco e lo invitai con suo figlio a venire a rendere visita a Aristotele.

    Seleuco accettò con gioia ed arrivò un mese più tardi accompagnato da sua moglie e da suo figlio.

    Durante questo periodo, Aristotele s’intrattenne spesso con mio padre per prepararlo alla sua futura missione: diventare il precettore del giovane Antioco.

    Ma la sua salute peggiorò bruscamente di nuovo e mio nonno fu costretto a letto quando rientrai nella sua camera per annunciargli l'arrivo di Seleuco, da quel momento il suo viso si illuminò e ritrovò improvvisamente le sue forze.

    Mi chiese di aiutarlo a vestirsi quindi raggiunse Seleuco che fu molto felice di rivedere il suo vecchio maestro dell'epoca in cui lui ed Alessandro erano stato i suoi allievi...

    Aristotele lo abbracciò e gli disse:

      "Seleuco sono così felice di rivederti ed ho grandi cose da dirti ma prima mostrami tuo figlio. "


    Seleuco si girò verso Apama che avvicinò Antioco a mio nonno.

    Aristotele lo osservò con intensità e disse

      "Giovane Antioco, il tuo destino sarà ispirato da Dio. Per mezzo di te, migliaia di uomini di popoli diversi si convertiranno alla parola del vero Dio. E fra questi popoli se ne troverà uno nel quale nascerà colui che finirà ciò che ho cominciato. "



    Quindi girandosi verso Seleuco aggiunse:

      "Alleverò tuo figlio nella Fede in Dio, apprenderà gli insegnamenti che ti ho dispensato, preparandolo per la missione che Dio gli ha affidato. Per aiutarti, ti dono mio figlio, Nicomaco, che sarà il precettore di tuo figlio. "



    Seleuco rimase senza voce dinanzi alla profezia che il grande Aristotele aveva appena rivelato, così suo figlio era stato scelto da Dio per una così una grande missione.

    Aristotele gli consegnò una lettera sigillata con scritto sopra "per Antioco" e gli precisò che avrebbe dovuto consegnare questa lettera a suo figlio quando avesse compiuto 15 anni.

    Seleuco lo ringraziò e lo abbracciò calorosamente. Mio nonno disse allora addio a suo figlio, lo aveva preparato per un mese a questa separazione che sapeva definitiva.
    Li osservò allontanarsi, quindi, preso da una grande stanchezza, si assopì.

    Un po' più tardi, in serata, lo schiavo Perfidias venuto da Atene con un'anfora di vino nel cui contenuto sconosciuto fioriva la cicuta, lasciava la sala con la soddisfazione per il lavoro ben fatto e per il dovere compiuto. Dopo sette giorni d'incoscienza, Aristotele si svegliò mentre ero in lacrime al suo fianco, egli aprì la bocca ed in un soffio mi disse queste parole:

      "Il mio cammino sulla Terra è finito, occorre fare ancora tanto, ma la parte che Dio mi aveva assegnato è terminata. Antioco farà germogliare il seme che fiorirà con Christos... "



    Aveva detto quest'ultimo nome in modo appena udibile, ed il suo spirito l’aveva lasciato... Non conoscevo Christos e non so dunque che volesse dire...

    Oggi sono vecchia, e presto ritroverò mio nonno. Come Aristotele aveva detto, ho visto Antioco, preparato da mio padre, divenire Re di un grande Impero, l’ho visto trasformare in religione di Stato gli insegnamenti di mio nonno, ho visto migliaia di uomini di popoli così diversi convertirsi.
    Ho visto la parola di Dio diffondersi nel nostro mondo. Ma di Christos non ho mai saputo niente...

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